SPID: come Giuseppe e Maria, 2000 anni fa

Brevi note impolitiche in margine all’ultima tornata elettorale. Nell’era degli Spid, delle identità digitali, dei Pin, ma anche della “società liquida”, quindi fluida, mobile, ci sono cose che rimangono tenacemente uguali a 50 o 100 anni fa. Il che potrebbe farci piacere, ma anche no. Una di queste è il voto. Che comporta, ancora oggi, il tracciare un segno, una x, con una matita copiativa, su una tessera di carta, dentro un gabbiotto di legno protetto da una tenda. Esclusivamente nel proprio luogo di residenza. Ora, già per certi dettagli questa prassi, ancorché gloriosa (ci mancherebbe!), appare un po’ desueta. Ma il desueto diventa qualcosa di più se teniamo conto che può rappresentare un reale impedimento all’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito.  Sì, perché per votare, a tutt’oggi, se si è distanti dal luogo in cui si è fissata la residenza, bisogna prendere la propria auto, un treno, un aereo, un bus, un passaggio in bla bla car o quello che volete voi, e spostarsi. Quante persone vivono in un luogo diverso rispetto a quello in cui ufficialmente risiedono? Quanti devono quindi mettersi in marcia, come Giuseppe e Maria 2000 anni fa, per il censimento imposto dall’imperatore romano? Secondo la relazione di una commissione istituita dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, con l’obiettivo di contrastare l’astensionismo, ci sono circa 4,9 milioni di elettori che svolgono la propria attività lavorativa o studiano in luoghi diversi dal proprio comune di residenza. Non pochi, in un paese di 60 milioni, minorenni compresi. Per essi, è vero, sono previste tariffe dei mezzi di trasporto agevolate (per alcuni mezzi). Tuttavia, siamo ancora lontani dal fare scelte che sarebbero senz’altro più inclusive, come il voto “fuorisede” (possibile solo per militari, addetti alle forze dell’ordine e marinai), per corrispondenza (già possibile per chi vive all’estero), o il voto elettronico, che risolverebbe definitivamente la questione. 

Votare utilizzando le reti, ci viene detto, è allo stato attuale ancora troppo rischioso. Tuttavia il rischio non dovrebbero essere tanto più alto rispetto a quelli che corriamo quotidianamente eseguendo on-line pagamenti, prenotazioni e iscrizioni, accedendo al nostro profilo sanitario o maneggiando altri dati sensibili. 

Chi scrive, sia chiaro, non è un fanatico dell’informatica. Esserci affidati fin troppo a sistemi di registrazione e prenotazione elettronici, call center automatici e quant’altro non è detto abbia sempre favorito l’efficienza dei servizi, né la sanità mentale delle persone (che alla quinta password rifiutata sono da ricoverare). Ma in questo caso, la scelta mi sembrerebbe giustificata. Anche perché la questione del voto “fisico” ne chiama in causa un’altra, quella della  residenza unica. 

Sappiamo che, in Italia, una persona può avere la residenza in un luogo ed essere domiciliata, magari per questioni di lavoro, in un altro. Ma quello che conta, per l’esercizio del diritto di voto, così come per il fisco o il medico di base, è solo la residenza. Leggo in internet una spiegazione lapidaria di questo istituto: “La doppia residenza in Italia non è ammessa in quanto ammetterla significherebbe riconoscere due dimore abituali della stessa persona, il che, a meno che non si abbia il dono dell’ubiquità, è di fatto impossibile”. L’idea che non si possa vivere in due o anche più posti diversi, a meno di non avere il magico dono dell’ubiquità, è altrettanto vecchia della matita copiativa. È un’idea novecentesca, propria di una società statica e sospettosa, fatta di contratti a tempo indeterminato, di cartellini da timbrare, di pratiche amministrative gestite per via postale, di sopraluoghi di vigili e ufficiali giudiziari. Ormai dovrebbe essere chiaro che le persone trascorrono gran parte della loro esistenza in luoghi tutt’altro che fisici, come il proprio smartphone, la propria casella di posta elettronica, il proprio cassetto fiscale. Luoghi immateriali, adatti ad una società sempre più fluida, e a cui i confini vanno sempre più stretti. Compresi quelli delle circoscrizioni elettorali.

nell’era dello spid, come Giuseppe e Maria, 2000 anni FA

Brevi note impolitiche in margine all’ultima tornata elettorale. Nell’era degli Spid, delle identità digitali, dei Pin, ma anche della “società liquida”, quindi fluida, mobile, ci sono cose che rimangono tenacemente uguali a 50 o 100 anni fa. Il che potrebbe farci piacere, ma anche no. Una di queste è il voto. Che comporta, ancora oggi, il tracciare un segno, una x, con una matita copiativa, su una tessera di carta, dentro un gabbiotto di legno protetto da una tenda. Esclusivamente nel proprio luogo di residenza. Ora, già per certi dettagli questa prassi, ancorché gloriosa (ci mancherebbe!), appare un po’ desueta. Ma il desueto diventa qualcosa di più se teniamo conto che può rappresentare un reale impedimento all’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito.  Sì, perché per votare, a tutt’oggi, se si è distanti dal luogo in cui si è fissata la residenza, bisogna prendere la propria auto, un treno, un aereo, un bus, un passaggio in bla bla car o quello che volete voi, e spostarsi. Quante persone vivono in un luogo diverso rispetto a quello in cui ufficialmente risiedono? Quanti devono quindi mettersi in marcia, come Giuseppe e Maria 2000 anni fa, per il censimento imposto dall’imperatore romano? Secondo la relazione di una commissione istituita dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, con l’obiettivo di contrastare l’astensionismo, ci sono circa 4,9 milioni di elettori che svolgono la propria attività lavorativa o studiano in luoghi diversi dal proprio comune di residenza. Non pochi, in un paese di 60 milioni, minorenni compresi. Per essi, è vero, sono previste tariffe dei mezzi di trasporto agevolate (per alcuni mezzi). Tuttavia, siamo ancora lontani dal fare scelte che sarebbero senz’altro più inclusive, come il voto “fuorisede” (possibile solo per militari, addetti alle forze dell’ordine e marinai), per corrispondenza (già possibile per chi vive all’estero), o il voto elettronico, che risolverebbe definitivamente la questione. 

Votare utilizzando le reti, ci viene detto, è allo stato attuale ancora troppo rischioso. Tuttavia il rischio non dovrebbero essere tanto più alto rispetto a quelli che corriamo quotidianamente eseguendo on-line pagamenti, prenotazioni e iscrizioni, accedendo al nostro profilo sanitario o maneggiando altri dati sensibili. 

Chi scrive, sia chiaro, non è un fanatico dell’informatica. Esserci affidati fin troppo a sistemi di registrazione e prenotazione elettronici, call center automatici e quant’altro non è detto abbia sempre favorito l’efficienza dei servizi, né la sanità mentale delle persone (che alla quinta password rifiutata sono da ricoverare). Ma in questo caso, la scelta mi sembrerebbe giustificata. Anche perché la questione del voto “fisico” ne chiama in causa un’altra, quella della  residenza unica. 

Sappiamo che, in Italia, una persona può avere la residenza in un luogo ed essere domiciliata, magari per questioni di lavoro, in un altro. Ma quello che conta, per l’esercizio del diritto di voto, così come per il fisco o il medico di base, è solo la residenza. Leggo in internet una spiegazione lapidaria di questo istituto: “La doppia residenza in Italia non è ammessa in quanto ammetterla significherebbe riconoscere due dimore abituali della stessa persona, il che, a meno che non si abbia il dono dell’ubiquità, è di fatto impossibile”. L’idea che non si possa vivere in due o anche più posti diversi, a meno di non avere il magico dono dell’ubiquità, è altrettanto vecchia della matita copiativa. È un’idea novecentesca, propria di una società statica e sospettosa, fatta di contratti a tempo indeterminato, di cartellini da timbrare, di pratiche amministrative gestite per via postale, di sopraluoghi di vigili e ufficiali giudiziari. Ormai dovrebbe essere chiaro che le persone trascorrono gran parte della loro esistenza in luoghi tutt’altro che fisici, come il proprio smartphone, la propria casella di posta elettronica, il proprio cassetto fiscale. Luoghi immateriali, adatti ad una società sempre più fluida, e a cui i confini vanno sempre più stretti. Compresi quelli delle circoscrizioni elettorali.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.