Spaventapasseri: fantocci “terribili”

Brusago

Gli agricoltori sono, o dovrebbero essere, gli esteti del territorio, gli architetti della natura. Ma c’è un momento in cui si trasformano in valenti assemblatori, in artisti creativi, inserendosi di diritto in quello spazio dove l’artigiano diventa artista e i saperi si offrono nella loro essenziale visibilità. Questo attimo, solitamente, si colloca in primavera, ed è quando si dà vita, o nuova vita, ai tanti golem sparsi sui terreni, negli orti, lungo i filari di ribes e lamponi, appesi agli alberi, affinché compiano nuovamente il loro lavoro: sono gli spaventapasseri, un tempo chiamati “spauracchi”.

Probabilmente alle origini di questo cumulo di stracci che sventola al vento e che macchia di colore la terra e i prati ci sta una piccola statua lignea con un grande fallo sporgente, appesa agli angoli dei campi o sugli stipiti di entrata negli orti. Il personaggio, Priapo, era il figlio di Dioniso e di Afrodite, una sorta di satiro a metà strada tra l’umano, il selvaggio e l’animale, famoso per la grandezza del suo pene. Svolgeva la funzione di termine, di confine ma anche di sorvegliante, atto a scacciare i ladri e a tener lontano gli uccelli dai frutti portando con sé la vis genitalis della natura stessa, simbolo-statua dello strumento della generazione e della fecondità: “… sono un dio grandissimo spauracchio di ladri ed uccelli … ed a bada li tiene il rosso palo che si rizza dall’inguine osceno/Gli uccelli importuni li spaventa il fastello di canne che ho legato sul capo/e gli impedisce di posarsi su questi orti recenti”.

San Genesio (Bz)

Priapo era l’alter ego di Mutunus Tutunus, dio che presiedeva il ciclo vegetativo e stimolava magicamente la crescita arborea e la fruttificazione. Ma Priapo svolgeva la funzione anche di sorvegliante, di colui che scaccia, come avrebbero fatto poi gli spaventapasseri o i “caccia-oceddi” sonori, sorta di girandole in ferula delle campagne siciliane. Nel corso dei secoli gli spauracchi sono diventati opere d’arte, con una ridotta durata nel tempo, in grado di sopravvivere generalmente solo per un ciclo del raccolto stagionale. Questo senso dell’effimero lo aveva ben capito il fotografo trentino Flavio Faganello che ne era diventato il silenzioso testimone fotografandone centinaia in tutta la regione.

Gli agricoltori sapevano che le sagome antropomorfe erano inefficaci nei confronti degli animali predatori. Allora i fantocci che popolano ancor oggi le campagne e gli orti hanno ben altro significato.

Infatti la funzione di tener lontano i ladri, sia quelli umani che uccelli, volpi, martore, ecc. era stata affidata ad un personaggio liminare come il Saltner/saltaro. 

Val Gardena

Probabilmente l’inglese John Ray (1628-1705), della Royal Society, in viaggio in Italia e diretto a Merano, rimase sbigottito di fronte ad una scena che sembrava lo proiettasse in un accampamento pellerossa piuttosto che in un vigneto. Durante la vendemmia un folto gruppo di contadini danzava tra le vigne. La danza sfrenata, ricca di movenze casuali, era condotta da un uomo addobbato in maniera curiosa, con un copricapo elaborato fatto di stoffa e piume. Portava sul suo corpo amuleti e croci dotati di poteri magici. Si dimenava sbattendo le mani, scuotendo ripetutamente e ritmicamente le variegate e colorate piume del cappello. Si muoveva veloce tra i filari e ogni tanto sparava verso il cielo un colpo di pistola. Non era uno stregone o uno sciamano: semplicemente John Ray si era imbattuto in un Saltner, un Saltaro, colto nello svolgimento della sua funzione, quella di difendere i vigneti dal pericoloso assalto degli uccelli quando l’uva era matura o durante la vendemmia. Il suo vivere giorno e notte tra la natura lo portava a convivere con le forze demoniache che vi abitavano e i talismani di cui si circondava servivano proprio a tener lontani diavoli, folletti, streghe ed esseri fatati. 

Gli spaventapasseri, lo spaventacchio o spavracchio, cencio di straccio che si scuote al vento, tramandano una paura legata al potere degli antenati e al ritorno dei defunti su questa terra, terrore rimasto impresso nelle maschere che, un tempo, ricoprivano i visi di pezza e di erba degli spaventapasseri. Per tener lontano il male, il diabolico, il maligno.

Il museo di Roncegno
Il “Centro di esperienze Mulino Angeli”, ovvero la “Casa degli spaventapasseri”, si trova in Valsugana a Marter, frazione di Roncegno, Via S. Silvestro n 2. Dentro ci sono le opere fotografiche più care a Flavio Faganello, frutto di una ricerca etnografica protrattasi per quasi vent’anni. Più di 5700 documenti fotografici in vario formato, rimasti qui in dotazione al museo dopo aver partecipato a mostre importanti presso il Museo di Scienze Naturali di Trento, a Merano, presso Castel Roncolo a Bolzano, a villa Welsperg in Primiero, al Tiroler Volkskunstmuseum di Innsbruck, ecc. forniscono una documentazione importantissima del rapporto uomo-natura e del mondo dell’immaginario delle valli della nostra regione. All’esterno 50 spaventapasseri-oggetti, una commistione tra elementi antropomorfi, girandole e meccanismi vari, ci fanno capire come l’ingegno montanaro viene applicato per tener lontani coloro che potevano portare alla fame un’intera famiglia: gli uccelli. Info: 0461 764387, roncegno@biblio.infotn.it oppure consultare il sito www.lacasadeglispaventapasseri.net

Sulle tracce delle presenze mitiche

La monocoltura, la coltivazione intensiva e l’industrializzazione delle campagne ha portato con sé il declino e la lenta scomparsa degli spaventapasseri. Gli spaventapasseri resistono ancora nei masi in quota, nelle terre coltivate con amore oltre che per soldi. Vivono lì dove l’uomo interagisce ancora con la natura in maniera armonica, dove l’agricoltura riscopre le sue origini vere di cultura, di educazione a rapporti equilibrati fra le forze genetiche delle piante ed il contesto umano. In fin dei conti lo spaventapasseri è l’alter ego del contadino, specchio degli “ultimi” come diceva Aldo Gorfer. Girovagando per i masi altoatesini o nelle campagne trentine se ne trovano ancora molte di queste presenze mitiche, elaborate o povere, arricchite da suoni provocati dal sibilare del vento o luccicanti da banderuole di stagnola che come bandiere sventolano verso il cielo. Loro segnano uno spazio che altrimenti sarebbe indistinto, sono soglie: proteggono ciò che è dentro e danno significato a ciò che è fuori. Dietro ad ogni personaggio c’è una storia: gli stracci sono carichi di memoria, le scarpe rotte sono il frutto di migliaia di passi, i cappelli di paglia hanno raccolto il sudore per anni e le orbite vuote sono l’accanimento con cui il contadino montano rimane avvinghiato al suo maso e alla sua terra.

Un tempo gli spaventapasseri servivano anche come sentinelle di un invisibile che faceva paura perché non lo si conosceva. Nei giardini di Ruffré, in alta val di Non, gli allegri spaventapasseri sorvegliavano i masi del paese dagli uccelli e dalle streghe che si aggiravano sull’antico sentiero del Lez che menava a Cavareno. Ma basta seguire il sentiero che da S. Genesio conduce alla chiesa di S. Giacomo a Lavenna: ci si imbatte in decine di figure di stracci, suonatori, streghe, orchi, aguane, seduti ai tavolini oppure appesi ai dorati rami di larice. Per la gioia di piccini e dei grandi che hanno ancora voglia di far volare la fantasia e l’immaginazione, questi personaggi fiabeschi si sono trasformati in spaventapasseri e gli uomini mascherati si confondono con l’umano e il selvaggio.

Al maso Platider, sull’altopiano dello Sciliar, c’era una strega che tormentava la contadina rovinandole il burro. La strega Tschelmerin di Fiè faceva parte delle cosiddette streghe del burro, che si ritrovavano a Saltria per poi spiccare il volo verso il Monte Pez, sullo Sciliar, per i loro sabba notturni. Usava cantare “contadina del Platider, che vuole fare il burro, burro lei non farà, oplà! Solo crema impazzita farà, aha! E un topo nel secchio troverà!”. Dopo diversi topi ritrovati nel latte e ripetute creme impazzite la contadina pensò bene di mettere alcuni spaventapasseri con funzione di spaventa-streghe attorno al maso. Erano così brutti che la gobba e guercia strega Tschelmerin se ne volò via e mai più tornò a rovinare il burro del maso.

Presule
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Pubblicato da Fiorenzo Degasperi

Fiorenzo Degasperi vive e lavora a Borgo Sacco, sulle rive del fiume Adige. Fin da piccolo è stato catturato dalla “curiosità” e dal demone della lettura, che l’hanno spinto a viaggiare per valli, villaggi e continenti alla ricerca di luoghi che abbiano per lui un senso: bastano un graffito, un volto, una scultura o un tempio per catapultarlo in paesi dietro casa oppure in deserti, foreste e architetture esotiche. I suoi cammini attraversano l’arte, il paesaggio mitologico e la geografia sacra con un unico obiettivo: raccontare ciò che vede e sente tentando di ricucire lo strappo tra uomo e natura, tra terra e cielo, immergendosi nel folklore, nei miti e nelle leggende. fiorenzo.degasperi4@gmail.com