Stop smart working: non è una brutta notizia

Amazon mette la parola fine al lavoro da remoto, pratica esplosa con la pandemia e diventata la normalità. In questi anni, chiunque lavori a una scrivania ha potuto svolgere il suo lavoro da casa, o dal bar preferito, o dalle spiagge. Amazon ha deciso di riportare i suoi impiegati in ufficio, con il fine di “migliorare la collaborazione tra le persone”. Il lavoro da remoto risulta sconnesso, sterile e alienante, sostiene la multinazionale del commercio digitale. Ora, non vogliamo dare ragione a Amazon, il cui metodo di gestire la forza-lavoro, soprattutto la manodopera, è – per usare l’eufemismo del secolo – problematico. Tuttavia il lavoro da casa si è rivelato molto differente rispetto alla meravigliosa utopia immaginata: papà e mamme che volteggiano a passo di danza tra il tavolo della cucina e la scrivania, mentre in una mano reggono il computer in videochiamata e con l’altra distribuiscono carezze e amorevoli buffetti ai pargoli veneranti. Abbiamo imparato quanta fatica si faccia a tenere insieme affetti e lavoro. Aggiungerei: è doveroso tenerli separati, almeno un po’. È il famoso diritto alla disconnessione di cui non si parla abbastanza. È vero che passare dieci ore al giorno chiusi in un ufficio è tedioso. Si finisce per portare a casa la frustrazione e a risentirne sono le relazioni affettive. Ma mescolare i piani è altrettanto frustrante. Il lavoro da casa distrugge l’intimità dei propri spazi di relax. E il lavoro in remoto da luoghi “terzi” (il bar, l’open space…) alla lunga porta un senso di alienazione, perché certamente i colleghi possono essere antipatici e i “capi” dei rompiscatole, ma non è che a essere antipatici sono sempre “gli altri”. E non è detto che essere tartassati di messaggi e telefonate sia meno ansiogeno della cara vecchia litigata vis à vis. Dai colleghi si può imparare qualcosa che non si sapeva, si può perfezionare un’idea attraverso una chiacchierata, si può comunicare con il linguaggio del corpo. Molto di tutto ciò si può fare anche in remoto, è vero, mentre si sta in ciabatte e non si indossano i pantaloni. Ma questo non è “lavoro”: il lavoro è anche decoro, è forma, è condivisione, non è solo “prodotto”. Il lavoro ci nobilita come esseri umani, non è solo produrre una determinata prestazione. Altrimenti, se fosse veramente solo questo il lavoro, “produttività “, l’intelligenza artificiale ci sostituirà, perché a livello di mera prestazione quella è davvero imbattibile.

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Pubblicato da Fabio Peterlongo

Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino.