Storia, leggende e delizie di Palazzo Lodron

Lo sguardo di Nicolò Lodron è eloquente. Il suv coreano sta provando ad infilarsi in un portale di pietra, certamente non progettato per mezzi di queste dimensioni. Naturalmente non parliamo del vero Nicolò, morto esattamente da 400 anni, signore del Feudo di Castelnuovo, ma della sua statua in grandezza naturale, posta in una nicchia sopra il portale principale. A dire il vero, anche i padroni di casa Johannes e Olivia Volpini de Maestri osservano preoccupati la manovra, ma la sfanghiamo alfine, entrando nell’ampio cortile di Palazzo Lodron a Nogaredo. Per intenderci, uno di quei luoghi in cui la storia cessa di essere un concetto astratto, per mutare in tenui immagini, densità tangibile. Non si può certo rimanere indifferenti, conoscendo quel che qui accadde e chi ci abitò, tanto più che a più riprese si viene colti dalla percezione che quel che accade non è detto che accada una volta sola. Tutto qui sembra parlare di due cose: di Paride e del vino.

Il primo – lo avrete capito – è il figlio dello statuario Niccolò di inizio articolo, e risponde all’omerico nome di Paride. Ovvero l’artefice della meraviglia architettonica in cui ci troviamo, proprio sotto Castel Noarna. Il secondo, il vino, è quello prodotto dai simpaticissimi proprietari della storica magione, i coniugi salisburghesi che mi invitano a salire su una delle torrette della tenuta, per sorseggiare un calice del robusto rosato di loro produzione. Lui, Johannes Volpini de Maestri, detto Pipo, discendente diretto della nobile famiglia (per parte di Cristoforo, fratello di Paride), di lavoro fa il commercialista. Nel 2015, naturalmente assieme alla consorte, sotto l’egida del maestro enologo Walter Schullian di Caldaro, ha deciso di mettere mano al Palazzo e di dare vita al sogno di una vita, ovvero produrre vini di altissima qualità (Merlot, Cabernet Franc, Sauvignon e un po’ di Carménère, circa 10mila bottiglie all’anno, esclusivamente rosso e rosato).

Ma cosa c’entra Salisburgo con Nogaredo? Beh, l’anello di congiunzione è proprio Paride Lodron, che nella città austriaca è un po’ come Michelangelo e Dante da noi. Tutti lo conoscono, la sede dell’Università – ovviamente a lui intitolata – è niente meno che la sua abitazione originaria. Anche il Palazzo degli Arcivescovi è stata opera sua. Sempre con l’aiuto decisivo del capomastro bergamasco Santino Solari, il cui genio risplende anche nella residenza trentina (e nei dintorni: è sua anche la chiesa di Villa Lagarina). Fu proprio Paride a commissionargli il lavoro, appena terminato il progetto del Duomo di Salisburgo. Non solo la struttura, ma anche fior fiore di opere interne, dalle sale da pranzo alla sala del giudizio (sì, proprio quella che ospitò il processo alle cosiddette “streghe”, del 13 aprile 1647). L’imperatore aveva infatti concesso a Paride Lodron il potere giudiziario. Ma a quei tempi, un po’ tutto da queste parti era dei Lodron. E nella linea dinastica, Paride fu l’elemento che meglio si distinse per importanza. Perfino Wolfgang Amadeus Mozart (le famiglie erano letteralmente vicine di casa) volle dedicargli un divertimento, la celebre “Sonata Lodron” (KV 247).

Tenuta Lodron a Nogaredo

L’interno della casa mostra una conservazione invidiabile. Pare che non sia passato nemmeno un minuto dall’epoca di Paride. Una cappella finemente decorata dagli artigiani del cantiere del Duomo di Salisburgo, con al centro la pala che ritrare S. Carlo Borromeo dipinta del celebre Donato Arsenio Mascagni. Quindi altre sale, con stemmi e affreschi da deliziare la vista. Fino a scendere in basso, verso le cantine profonde che ospitano il vino della seconda annata di Casa Volpini-Lodron.

Ma torniamo fuori. A guardare le splendide vigne impiantate dei signori proprietari, torna difficile immaginare quale fosse l’aspetto del luogo nel XVII secolo. Non si ha certezza sul fatto che vi fossero vigne già a quell’epoca. Quel che si sa è che l’architetto Solari provò a ricreare, seppure in sedicesimo, gli scenari del Castello di Hellbrunn di Salisburgo. Della sua opera oggi rimane un imponente ninfeo che offre una suggestiva visione prospettica dei vigneti, protetti da due piccole torri di osservazione. Sul prato in basso, davanti alla casa, domina una grande statua dello stemma lodroniano. Sul lato posto a nord, la vecchia caserma dei pompieri che oggi ospita le botti d’acciaio per la fermentazione. Quindi, sulla destra, alcune abitazioni private. Sono gli alloggi della stessa famiglia che – particolare curioso – da secoli fornisce fattori e contadini alla Tenuta.

Storia ed enologia, si sarà capito, vanno a braccetto in questo articolo, e si intendono a meraviglia. Johannes dice di voler fare un vino trentino che sia anche di gran classe, ovvero un po’ alla “francese”. In ogni caso: un grande vino trentino! Per questo la resa viene tenuta molto bassa e la raccolta effettuata il più tardi possibile. Le uve acerbe e marce vengono selezionate nel vigneto, una seconda volta davanti alla diraspatrice.

Per conto suo, l’auspicio di Olivia (che ha messo momentaneamente da parte la sua attività di scrittrice per dedicarsi alle vendite) è che il vino prodotto da questo territorio arrivi finalmente nelle Carte dei migliori ristoranti internazionali che, come è risaputo, ignorano completamente (con l’eccezione forse del Trentodoc) le etichette di casa nostra. Un progetto ambizioso, certo. Ma la fortuna, come si dice, aiuta gli audaci. Prosit! E in bocca al lupo!     

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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.