Sulla riva della Fersina

Stava seduto sul sasso levigato dall’acqua, vicino alla cascatella del torrente.

Dalla montagna uscivano gli ultimi raggi di sole, prima dell’imbrunire e le gocce che si staccavano dalla cascata si ricongiungevano all’acqua più in basso, dove era più calma. Più che un rumore era un suono piacevole, a volte intenso altre volte flebile, come consonanti confuse. Ogni tanto una goccia era più armonica delle altre e suonava come una vocale ed allora unendosi alle consonanti, come per una scrittura automatica, si generavano parole. Confuse all’inizio e poi, come per incanto, frasi, che si componevano con un senso, con ritmo, come una melodia o una poesia  e l’acqua scorreva così senza fermarsi, nell’infinito pensiero. Stava immobile ed assorto in quella giostra di suoni e pensieri, cullato dai sussurri della Fersina e sfiorato dalla luce calante.

Non era né triste né felice, ma sentiva un vuoto, al livello dello sterno. O forse era dentro al cuore. O nei meandri dell’intestino. Un vuoto che gli girava nelle vene, assieme al sangue e andava ad irrorare tutti i suoi organi interni.

Era così immerso dentro di sé, alla ricerca di quella mancanza, che non si accorse della creatura.

Essa lo guardava tranquilla, dall’altra riva del torrente, la postura nobile e il muso immobile.

Gli occhi scintillavano nella luce del tramonto, gialli come il sole e screziati di nero come la notte.

Il pelo era fluente, di colore grigio scuro con un’ampia macchia bianca sotto al collo. Aveva una corporatura snella e muscolosa, tipica degli animali predatori, che percorrono ampi spazi alla ricerca di cibo e intrusi nel loro territorio. Le sue orecchie erano dritte ed attente e si muovevano in continuazione, raccogliendo i mormorii dell’acqua e i mille suoni della selva retrostante.

Ad un certo punto lui alzò gli occhi ed incontrò lo sguardo dorato della creatura. La riconobbe come lupo, ma anche qualcosa di diverso, perché irradiava un’energia primordiale, una specie di vulcano in ebollizione ansioso di iniziare la sua rovente metamorfosi.

Non gli incuteva paura, anzi. Avrebbe voluto sdraiarsi accanto a lei e….ma perché pensava ad una “lei”? Perché la creatura avrebbe dovuto essere una lupa anziché un lupo? Tornò ad ascoltare il sangue che viaggiava dentro il suo sistema venoso portandosi in giro il vuoto, quel vuoto che ormai da anni non riusciva a riempire e nemmeno a capire.

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 “Chi sei?” pensò. “Cosa vuoi da me?”

La lupa continuava ad osservarlo, con attenzione e si era avvicinata lentamente all’acqua.

La sua intenzione era chiara: voleva attraversare il torrente.

Lui iniziò ad agitarsi un po’. Perché se ne stava lì immobile? Pensò. Avrebbe potuto scappare, far rumore, urlare. Invece nulla.

La lupa indietreggiò di alcuni metri.

“Torna nella foresta dai, non c’è nulla per te qui, tra questi umani disumani, in questo mondo di guerra e follia” mormorò.

La lupa corse verso la foresta, ma poi si girò di scatto verso il torrente e si lanciò come un fulmine in direzione della riva. Più che una corsa, sembrava un volo e le zampe si muovevano veloci, quasi irreali, sospinte da un’esplosiva carica vitale.

Poi la vide saltare e stendersi in aria, come la freccia scoccata dall’arco di Dioniso. Quando atterrò leggera sull’altra sponda, non era più una lupa, bensì una donna. O meglio una donna-lupa.

Aveva ancora le orecchie e una folta peluria su tutto il corpo snello. I seni erano piccoli e sodi, le gambe muscolose, i capelli lunghissimi, di colore grigio scuro.

Lui rimase col fiato sospeso e paralizzato dalla sorpresa. I suoi occhi azzurri cercarono gli occhi gialli della donna-lupo e quando li trovarono, sentì che la mancanza, quella che da sempre circolava nel suo sangue, se n’era andata.

La donna lupo lo prese per mano e assieme scomparvero nella selva.

Sulla riva della Fersina rimasero la borsa della macchina fotografica e un microfono, usato per registrare il mormorio dell’acqua. Fu tutto ciò che, dopo lunghe ricerche, trovarono di lui.

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Questo racconto è ispirato e dedicato al caro amico Luciano Olzer, fotografo e videomaker, che da anni passeggia sulle rive della Fersina, cogliendone i mutevoli riflessi e registrando il suo amorevole mormorio.

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Pubblicato da Deva Brunelli

Deva Brunelli è artigiana ceramista, nel resto del tempo le piace esplorare l’invisibile. Vive e lavora nei boschi sopra il lago di Caldonazzo, all’ombra di larici, faggi e castagni. Nel suo giardino abbondano api e farfalle, perché Deva adora i fiori. E anche raccontare storie, di tanto in tanto.