Primavera, tempo di passeggiate, tempo di visite, tempo di ammirare la ricchezza che la nostra regione possiede. Il Trentino Alto Adige, più di altri paesi alpini, è terra di castelli. La loro presenza è iscritta nel territorio, ne ha conformato pinnacoli, dossi, colline e montagne. Si può dire che la nostra terra è stata “vocata”, grazie agli ambienti naturali, alla difesa dell’uomo e del potere, a partire dalla preistoria fino all’età moderna passando per l’apogeo dell’età di mezzo, il medioevo. Il loro numero supera di gran lunga il centinaio, alcuni trasformati in musei, qualcuno in sede espositiva, altri in abitazione privata, altri ancora lasciati nelle braccia del destino meteorologico. Qualcuno, ridotto a semplice torre, sta lì ad indicare antiche vie di transito, ricordo di controlli daziari, lugubri carceri, ossessione del controllo.
La quantità di fortificazioni – di castra, castella o curtis regis – è tale che, nel medioevo, poteva far sembrare la nostra regione una bolgia dell’inferno dantesco, dal momento che questa era progettata alla stregua d’un luogo cinto e munito come un castello, le cui mura erano protette da un dispositivo di sicurezza, “fortezze” dotate da fossati. Imprendibile e dalla quale era al contempo impossibile da fuggire. Chi entrava nell’inferno non aveva via di scampo. Chi oltrepassava la soglia della prigione del castello non sperava altro che la morte lo portasse via il più presto possibile. I ricordi, i lamenti, i dolori degli uomini imprigionati sono rimasti impressi sulle pareti di molti manieri e hanno concorso ad arricchire innumerevoli leggende e storie.
Il castello rimane un massiccio insieme di legno, roccia, foresta, pietra. La tradizione delle tecniche del legno si conserva a lungo nelle nostre valli, sostituita però dalla pietra, la quale esercita la sua supremazia simbolica: insieme fattore di “monumentalità” e concentrazione di valori. Il modo in cui la si lavora e la forma che le si dà non cessano di perfezionarsi. La dimensione dei blocchi aumenta, ci si va a rifornire più lontano di materia più dura, più audacemente lavorata, sempre più adatta a dare risalto alle differenze sociali e ai livelli di supremazia morale o politica. L’edificio castellano dà una forma allo spazio per esercitare una funzione. Nello stesso tempo implica una costruzione di universo e un giudizio sul mondo. La costruzione, come l’athanor alchemico, manifesta la quintessenza del reale. Persino il semplice gusto dell’inutile – alcuni castelli trasformati in epoca barocca e rococò in dimore baronali – diventano elementi che determinato una predominanza del monumentale sul funzionale, del simbolismo sull’“abitabilità”. La facciata cessa di essere un muro: diventa geroglifico, ogni tratto del quale ha un senso in rapporto a ciascuno degli altri. Le proporzioni che si instaurano tra le masse costruite, tra torri, palazzi, guardiole, prigioni, cappelle, spalti, mura e cantine, sono organizzate all’interno di una gerarchia instabile di cui la sola geometria non basta a rendere conto dell’esistente.
Sono queste le costruzioni che si ammirano e di cui ci parla la fantasia dei poeti, convinti che oltre alla dimensione materiale il castello racchiuda in sé una potente magia metaforica e allegorica. Le innumerevoli leggende che aleggiano sopra ogni minimo resto ci aiutano a percorrere le strade della storia e della fantasia.
Il Castello è impenetrabile allo sguardo e, secondo l’impostazione dello spettatore, aggredisce o promette consolazione, è luogo di paura o di sogno, forse di delizie… Sicuramente è luogo di riunione dei desideri, raggiungibile una volta che si è scavalcato il ponte levatoio, oltrepassata la saracinesca, entrati dalla porta, piegando il capo perché al di sopra di queste frontiere ci sono, a protezione, statue, affreschi, stemmi, reliquiari. E poi, mentre ci avviciniamo, rigorosamente a piedi, ci accorgiamo di un elemento che il moderno ha secolarizzato: la verticalità. Il partire dal basso, con le radici affondate nella madre terra, e l’elevarsi verso il cielo, l’empireo, esigeva un tempo una visione particolare, limitata certamente ma sicuramente diretta verso l’alto. L’ascensione, la risalita, con una proiezione fuori di sé. Il castello emerge da una voragine inferiore e mira al cielo, che sembra minaccia o spazio da conquistare. In primis con la torre, scorta già da lontano, ovunque presente, eretta in cima a castelli, palazzi principeschi o municipali, luogo di desiderio per eccellenza: eretta ma, all’opposto delle antiche piramidi, non finita nelle sue linee parallele, aperta sul cielo, per l’adorazione o la bestemmia. Vi fu Babele, certo, all’alba della nostra storia, ma anche le litanie della Vergine Madre la invocano sotto il nome di Torre eburnea e Torre di David, cioè l’indistruttibile ed Eletta di Dio. La funzione difensiva dei masti non neutralizza questi simbolismi. La maggior parte dei castelli e palazzi situano nella torre l’alloggio del signore, che viene così espressamente designata come sede di un potere da cui discendono le gerarchie terrene.
Quando entriamo nei grandi saloni, accolti da un’aria fresca perfino nell’incipiente estate, non possiamo non dimenticare che qui si sono discussi, organizzati, immaginati, gli affari dei principati-vescovili di Trento e Bressanone, gli interessi dello stato e di imperi oppure semplicemente le angherie nei confronti del villaggio sottostante, della valle. Queste sale, in latino, si chiamavano palatium, corrispondente al francese palais e al tedesco Palast. Erano comunque collocate ai piani superiori. Per arrivarvi bisognava percorrere una scalinata che conduce verso l’alto luogo del potere per sottolineare la maestà, la superiorità. E se non è una scalinata è una scala a chiocciola, accomunando il castello ad un sistema architettonico comune alla chiesa gotica: ambedue luoghi della dispersione e della concentrazione, del meandro, del chiaroscuro, delle ombre, dei fantasmi e delle anime purganti. Si sale e al contempo si sprofonda dentro l’anima.
All’interno di questo mondo si instaurano le famiglie aristocratiche. Sono moltissime nella nostra regione, che si susseguono, nascono e spariscono. Una folta schiera di signorotti ambiziosi, prepotenti, violenti, quasi sempre rivali, che affidarono generalmente alle armi la soluzione dei loro contrasti. Ma che seppero anche creare, per il loro prestigio, una cultura di corte che ci ha offerto pitture, sculture, costumi, architetture e arti applicate d’impareggiabile ricchezza e fantasia. Sui muri e dentro le pareti dei castelli si coniugarono imprese di stirpi celebri come il ciclo bretone con l’estrema ferocia dei signorotti, tornei cavallereschi sovrastati da draghi ed esseri immaginari. Corti dove dominava, sia pur poeticamente e narrativamente, l’esaltazione della femminilità, di un amore della donna trionfante su ogni convenienza sociale e perfino morale, fatto di rispetto, fedeltà, devozione, manifestati con costanza e portati fino all’estremo sacrificio. Una visione della donna in contrasto con quanto veniva dipinto invece nella cappella dove la donna, nella tradizione biblica, veniva vista attraverso l’immagine tentatrice e peccaminosa di Eva causa di tutti i mali dell’umanità. I blasoni e l’araldica rimangono muti testimoni di molteplici storie parallele portate, al di là dell’amore e della vita, fino all’esasperazione, alla distruzione, alla morte.
Quando si entra in un castello è la storia che ci viene addosso, che ci penetra fin dentro negli abissi reconditi della nostra memoria. I clangori metallici di innumerevoli battaglie si mescolano alle lacrime di dame perdute negli amori floreali e la bellezza estasiata dei luoghi apre le porte sulle suggestioni romantiche. Il castello diventa la casa degli Usher e le finestre si spalancano per far entrare la Morte Rossa; dentro il pozzo un pendolo scandisce il mistero e il terrore annidati nel nostro inconscio. E l’architettura castellana diventa d’un tratto come il paradiso di Arnheim descritto da Edgar Allan Poe ne Il dominio di Arnheim, e diafano sorgente sopra tutto ciò, prodigiosamente librandosi a mezz’aria, splendida nella rossa luce del sole con i suoi cento loggiati, minareti e pinnacoli, un’immensa architettura semi gotica semi saracena. E par la fantastica creazione cui abbiamo posto mano insieme Silfidi, Fate, Geni e Gnomi.
La storia e la misura della nostra terra è fatta anche di questo impatto emotivo in cui i castelli, forze creatrici, ci aiutano ad entrare, trasportati su tappeti volanti della fantasia, aprendoci le porte ai luoghi della storia, della cronaca, dell’immaginario. ■