Di recente un articolo illustrava in modo impeccabile come l’avvento di internet e delle piattaforme musicali online abbia completamente modificato il volto del commercio musicale a livello mondiale. E di certo questa cosa mi ha colpito, sapendo bene come ormai noi tutti usiamo tali piattaforme quotidianamente e senza pensare alle intenzioni di chi in origine le ha create.
In questi ultimi anni, però, si sono aggiunti altri servizi e altre funzionalità alla rete, alcune a quasi esclusivo appannaggio dei giovani. Ovviamente sto parlando dei social, e in particolare di Tik Tok, che sta diventando sempre di più promotore di una rivoluzione che sta interessando l’intero mercato musicale. Questa cosa può sembrare ovvia con tutti gli altri social, ed infatti è stata trattata in altri articoli, in documentari e, d’altronde, noi sappiamo bene che le pubblicità sono fondamentali per il guadagno di queste piattaforme. Ma Tik Tok è “diverso”, in quanto la pubblicità che propone, almeno in ambito musicale, è del tutto diversa, e si concretizza attraverso i famosi video che da anni ormai spopolano in internet, iniziando a comparire anche in alcuni film. Come esempio si potrebbe citare “Astronaut in the Ocean”, al momento in cui si scrive al numero 11 della “Billboard hot 100”, la classifica americana, ma in discesa rispetto a qualche settimana fa (ha toccato il sesto posto). Il meccanismo in realtà è semplice, e sfrutta l’algoritmo della piattaforma, che permette un’alta rotazione dei video all’interno del social stesso. Un utente registra un video con quella canzone in sottofondo, questo gira tra gli utenti, che possono salvare l’audio per riutilizzarlo in seguito. Facendo così si crea un circolo sempre più ampio di visualizzazioni e ascolti, assicurando un ottimo successo alla canzone (e al video), che venendo ascoltata su altre piattaforme online di musica entra in classifica. Indubbiamente però c’è un risvolto negativo: le canzoni devono per forza essere “commerciabili” per entrare a far parte di un giro pubblicitario così attivo da parte dei clienti. Questo in buona parte a differenza del passato, quando una canzone doveva fare una buona impressione a professionisti quali Disc Jockey o produttori, che passavano alla radio gli LP o presentavano la band a programmi televisivi come l’iconico inglese “top of the pops”, che ha fatto conoscere al pubblico artisti del calibro dei Blur, o dei Queen addirittura. Certo, non è un segreto che anche in passato esistessero canzoni più “commerciali”, ma la differenza sta nel fatto che di questi tempi il business musicale si concentra per lo più proprio su questo lato delle nuove uscite, piuttosto che cantautori o band emergenti, molto più “rischiose” a livello di guadagno, piazzandoli in secondo piano. Questo fatto è accentuato moltissimo nei cosiddetti tormentoni estivi, da sempre più ballabili rispetto alle novità invernali uscite anche grazie al festival di Sanremo, da sempre promotore di musica leggera.
Altra riflessione sul modus operandi di Tik Tok è stimolata dal “fenomeno” Khaby Lame: un ragazzo qualunque, poco più che ventenne, che si filma mentre compie azioni banalissime (come sbucciare una banana o mangiare una zuppa con un cucchiaio), come risposta ad altri video di utenti della piattaforma che compiono le stesse azioni in maniera molto più articolata e complessa. Questa trovata, unita alla irresistibile mimica facciale del ragazzo, ha fatto si che milioni di persone accorressero a vederlo e a mettere like ai suoi video, rendendolo così nel giro di poco tempo ricco e famoso.
Chissà se pensavano a qualcosa di questo tipo i Buggles quando nel 1979 cantavano “Video killed the radio star”…