

Si trova a Trento presso l’antico convento dei frati minori la storica Biblioteca di San Bernardino. Attorno alla “Sala Antica”, che sembra tratta da un libro di fiabe, è conservato un patrimonio inestimabile tra incunaboli, manoscritti e opere d’arte. Ne abbiamo parlato con il direttore Italo Franceschini
Appena fuori del centro storico di Trento sorge uno scrigno di bellezza che passa inosservato ai più. È la storica Biblioteca di San Bernardino, che ospita un inestimabile archivio di opere a stampa della prima età moderna e numerosi manoscritti medievali. Ma ciò che colpisce maggiormente è la sobria eleganza della “sala antica” risalente al Settecento, che raccoglie e incornicia i preziosi incunaboli. A pochi passi da via Grazioli, l’antica biblioteca dei frati francescani ospita anche numerose opere d’arte: si tratta principalmente d’oggetti d’arte sacra, ma anche dipinti e sculture, provenienti dai conventi del territorio. La biblioteca è aperta al pubblico, aderisce al Sistema bibliografico trentino e, previa comunicazione con opportuno anticipo, gli appassionati possono anche visitarne i tesori artistici. Il direttore Italo Franceschini ci ha rivelato la storia della biblioteca, sorta nel Medioevo ed arrivata ad abbracciare l’era digitale.
«Il convento dei frati minori è attestato fin dal 1452 e la presenza della biblioteca risale almeno al 1494 – ha spiegato Franceschini – Nel corso dei secoli si è accumulato un grande patrimonio archivistico, anche di pregio: 220mila volumi, di cui circa 30mila edizioni antiche, ovvero precedenti all’Ottocento». Nel dettaglio, i manoscritti sono circa 1500, tra cui 220 pergamene, 16 codici medievali, oltre cento volumi del padre Giangrisostomo Tovazzi (1731-1806) e molti lavori del padre Benedetto Bonelli (1704-1783). In questo fondo è stato inserito anche l’archivio personale del filosofo padre Emilio Chiocchetti (1880-1951).

Il caso volle che negli stessi anni in cui sorgeva il convento, in Europa iniziasse a diffondersi quell’innovazione strabiliante che era la stampa a caratteri mobili (Gutenberg, circa 1455): «La biblioteca è specializzata nelle opere a stampa della prima età moderna – ha confermato Franceschini – I francescani furono da subito dei sostenitori entusiasti della nuova tecnologia, perché rendeva i libri infinitamente meno costosi, il che era anche in linea con il voto di povertà dei frati».
Franceschini ha spiegato come l’utilizzo della biblioteca sia mutato nel corso dei secoli: «La biblioteca era luogo di studio per i frati che si istruivano in tante discipline, sotto la guida di un “lector”. Fino agli anni Settanta del Novecento la biblioteca era ad uso prevalentemente interno dei francescani, ma già nel Settecento venivano ospitati anche i visitatori laici. L’apertura totale al pubblico avviene con l’adesione al Cbt del 1996, quando si iniziano a catalogare i libri con sistemi di catalogazione moderna e anche in formato elettronico».
Franceschini rivela che conservare in maniera adeguata i libri antichi è un’impresa delicata, ma meno ostica di quanto possa sembrare: «Fortunatamente, i materiali usati per confezionare i libri fino al Settecento sono molto stabili e per quanto vadano trattati con attenzione, subiscono un minor deperimento di quanto capiti ai moderni Oscar Mondadori».

Oggigiorno, l’accesso ai libri della biblioteca è prerogativa degli studiosi di scienze religiose e storia locale, con alcune richieste sorprendenti: «Di recente uno studioso dell’Università del Kansas, specialista in storia della scienza, ci ha chiesto l’invio di un testo di urologia medievale – ha rivelato Franceschini – Un professore di chirurgia dell’Università di Pavia voleva vedere il primo trattato pubblicato in italiano sulle ferite da armi da fuoco. In questi casi per noi è agevole mandare le scansioni fotografiche delle pagine richieste. Così riusciamo a raggiungere gli studiosi in ogni parte del mondo». Minore è invece l’accesso da parte degli studenti universitari impegnati nell’elaborazione della loro tesi: «Con la riforma dei corsi di laurea, si è ridimensionata l’importanza della tesi – riflette Franceschini – Inoltre con l’accesso alla rete internet, gli studenti si accontentano di utilizzare gli strumenti digitali».
A proposito di elettronica, il direttore Franceschini non si scompone quando gli chiediamo che effetto fa considerare che tutto il sapere presente nei libri della biblioteca oggi potrebbe essere conservato all’interno di qualche chiavetta usb: «Non esageriamo, servirebbe almeno qualche disco rigido – sorride Franceschini – Un conto è il testo, per il quale i supporti cambiano con il mutare delle tecnologie, un conto è l’oggetto. Noi ci occupiamo della conservazione degli oggetti, anche di pregio». Chiediamo al direttore se abbia un libro preferito tra quelli conservati: «Non si fa preferenze tra i figli! Ma c’è un set di volumi che si prestano particolarmente all’attività didattica e che mostrano meglio di altri l’evoluzione del libro. Uno di questi è il “Bedae Presbyte” del 1529».

