Tra solitudine e socialità: il difficile equilibrio delle relazioni umane

Per un essere umano pensare alle relazioni è come per un pesce pensare all’acqua: esse sono il nostro intero mondo. Sarebbe impossibile pensare a sé senza relazioni – e non solo perché i pensieri richiedono le parole, che abbiamo appreso nelle relazioni, ma più in generale perché l’uomo è per natura un animale sociale: il suo compito è vivere nella comunità e contribuire al bene comune. 

Nella socialità si giocano tutte le nostre partite più importanti: vogliamo essere visti, essere “inclusi”, essere apprezzati e amati, salire di status. Vogliamo esercitare il nostro influsso sugli altri. 

L’esclusione e la marginalità, i lutti e le rotture con le persone amate ci lacerano. Gli amori e le amicizie, per contro, ci fanno sopportare qualsiasi pena e ci ricompensano dei più grandi sforzi.

Ma ogni relazione sociale positiva comporta fatica. È un impegno fare la propria parte mantenendosi all’altezza delle aspettative su di noi – le nostre e quelle altrui. E lo è anche perché la “civiltà” ci costringe a inibire i nostri impulsi, i quali a briglia sciolta porterebbero a conflitti disgreganti. Occorre fare una cernita tra tutte le cose che ci verrebbe da dire e da fare. Dobbiamo domare antipatie e tenere a bada nervosismi, inibire protagonismi e prevaricazioni, invidie, ambizioni eccessive. E bisogna tenersi in piedi quando si tenderebbe ad andare giù, perché qualcuno ci vuole sottomettere o perché tendiamo a farlo noi stessi, mediante confronti impietosi con chi ci pare essere, avere o sapere più di noi. 

Appartarsi può servire, oltre che a riprendersi da tutto questo, anche a riflettere, concedendosi di rivedere le esperienze fatte con i propri tempi. “Che cosa si sta muovendo ora dentro di me? Chi o cosa lo ha mosso? Come accoglierlo senza irrigidirmi? Come rispondere?”. Nella solitudine possiamo valutare più serenamente e obiettivamente se, e in che modo, è necessario correggersi, migliorarsi. Si può ripensare a ciò che è stato detto e fatto e ponderarlo con calma. Ci si può rimettere in piedi se si vacilla o, se è necessario, ci si può preparare a cadere. Si può correggere la rotta formulando intenzioni nuove o confermando le vecchie. 

Riassunse bene Seneca, nel De tranquillitate animi, la ricerca di questo difficile equilibrio: “Vanno opportunamente alternate le due dimensioni della solitudine e della socialità: la prima ci fa farà provare nostalgia dei nostri simili, l’altra di noi stessi; in questo modo, l’una sarà proficuo rimedio dell’altra”. Lo anticipò 500 anni prima, Ione di Chio, con una sintesi paradossale: “L’amico se viene disturba, se non viene affligge”.

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Pubblicato da Gabriele Lo Iacono

Ama leggere, riflettere, parlare e scrivere sulla vita umana e su ciò che le conferisce senso, esplorando il piacere e la sofferenza. Ha scritto diversi articoli, in parte disponibili sul suo sito e blog. Oltre a essere psicoterapeuta, si occupa anche di traduzione di saggi psicologici, mantenendosi aggiornato sugli sviluppi recenti in psicologia, psicoterapia, psichiatria e neuroscienze. Apprezza camminare in montagna, ma la sua vera passione è l’acqua, e nuota regolarmente da più di dieci anni. Ha unito l'amore per il nuoto, la scrittura e la psicologia, scrivendo un romanzo autobiografico e un saggio sul nuoto come meditazione di consapevolezza. Nel tempo libero, si dedica al disegno, alla pittura e alla lavorazione dell'argilla. Adora il legno e il suo odore, e realizza oggetti in legno nella sua piccola falegnameria, come librerie e scatole. Tuttavia, ciò che considera davvero importante sono gli amici, gli affetti e le relazioni.