Trentini a New York: «Qui tutti possono essere liberi»

Le torri di Manhattan, la Quinta strada, Broadway, Brooklyn, il cinema di Woody Allen, la Statua della Libertà. Quando si pensa a New York, si pensa alla “Capitale del mondo”, città che non è solo un luogo geografico, ma anche e soprattutto uno spazio dell’immaginario. Quello a cui si pensa meno è che la straordinaria “Città che non dorme mai” è stata costruita e resa grande dalla fatica e dai sacrifici degli emigrati che l’hanno resa vitale, ricca, moderna, dinamica. Tra questi, anche tantissimi trentini, che si stabilirono nella “Grande mela” soprattutto tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento. Gli uomini trentini fecero i minatori e gli edili, ma anche le donne lavorarono, spesso in fabbrica oppure nella piccola economia dei lavori a domicilio. Il nostro viaggio alla ricerca dei discendenti della diaspora trentina nel mondo prosegue e fa tappa a New York City. Abbiamo conversato con Michael Pancheri, presidente del Club Trentino New York, affiliato a Trentini nel Mondo, e con Josephine Leonardelli, ex presidente dello stesso circolo. Ciò che abbiamo scoperto, grazie al loro racconto, è l’epopea straordinaria di una città senza pari nel mondo e che ancora oggi continua ad attirare tanti giovani trentini alla ricerca di successo e libertà.

Halloween e polenta: al Club Trentino tradizioni statunitensi e trentine si mescolano. E dal 2018 una strada è dedicata al diacono di origini trentine Fabio Flaim, riferimento dei cattolici di Brooklyn

MICHAEL PANCHERI: «ANCHE OGGI NEW YORK È NOSTRA META»

Michael Pancheri è un imprenditore, nato e cresciuto a New York, figlio di migranti nonesi. Michael è un newyorchese orgoglioso delle peculiarità della sua città, ma è anche appassionato della storia e della cultura trentina: «I miei genitori arrivarono negli Stati Uniti negli anni Sessanta, volevano cercare una vita migliore. Mio padre faceva il falegname, mentre mia madre era una casalinga. Si conobbero a New York nel 1964 e nel 1972 nacqui io. Ho vissuto quasi sempre a New York, tranne qualche periodo a Boston e Washington DC». 

Michael racconta che l’emigrazione trentina verso la “Grande mela” si concentrò in due grandi ondate, per quanto la città sia ancora meta dei trentini interessati a cambiare vita: «Una prima ondata si registrò dal 1880 al 1920 e la seconda tra il 1950 e 1970, ma sta arrivando una piccola ondata di ventenni che vengono a New York per seguire il loro sogno». Ciò che spinge ancora oggi i trentini a costruirsi una nuova vita sul fiume Hudson è il desiderio di successo economico e l’ansia di libertà: «Ancora oggi persone di tutto il mondo vengono a New York per cogliere l’opportunità di diventare ricchi o per vivere una vita libera. Qui si può essere autenticamente se stessi». 

Sono numerose le iniziative ricreative che portano i trentini ad incontrarsi, coinvolgendo anche le famiglie allargate, che non hanno particolari legami con il Trentino, ma che così ne scoprono la cultura e le tradizioni

«COSTRUIRONO LA METROPOLITANA E LE STRADE»

Ma i trentini che si trasferirono nel Nord Est degli Stati Uniti incontrarono spesso lavori faticosi: «La prima generazione di trentini che arrivò qui tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si trovava spesso impiegata nelle miniere, con le mogli che facevano le casalinghe, visto che all’epoca gli stipendi erano molto buoni. I trentini che arrivarono a metà del secolo scorso, invece, lavoravano nel settore edilizio: negli anni Cinquanta hanno contribuito a costruire le gallerie della metropolitana e le strade». 

E se l’integrazione con la società americana non era facile, non era nemmeno scontato che si creasse un senso di “fratellanza” con gli altri italiani: «I trentini andavano ad abitare in luoghi che si trovavano nel mezzo tra la comunità italiana e quella tedesca. Tante ditte non assumevano gli italiani e i trentini sottolineavano il loro essere tirolesi per non subire quella discriminazione».

«CHE SUCCESSO L’INTEGRAZIONE, MA NON DIMENTICHIAMO IL PASSATO»

Con il passare dei decenni però i trentini hanno trovato una piena integrazione nella società newyorchese: «Oggi i discendenti dei trentini stanno tutti bene, sono laureati e si sentono al cento per cento americani». L’effetto collaterale di questa piena assimilazione è d’altro canto la perdita di centralità del Club Trentino, frequentato sempre meno dai giovani: «Del circolo trentino di New York fanno parte 180 iscritti – ha spiegato Michael – All’inizio il circolo rappresentava una società di assistenza che aiutava a trovare lavoro, ma oggi il circolo serve soprattutto per organizzare attività culturali ed imparare la lingua». Se però i figli e i nipoti degli emigrati percepiscono meno il rilievo della loro eredità culturale, ci sono i nuovi emigrati, ventenni e trentenni che scelgono New York per inseguire il loro sogno: «Seguiamo i nuovi arrivati e con Internet e il telefonino ci sono tanti mezzi in più per assisterli anche senza passare fisicamente per il circolo».

JOSEPHINE LEONARDELLI: «A NEW YORK ANCHE LE DONNE LAVORAVANO»

Josephine Leonardelli è nata negli Stati Uniti dopo che la famiglia si era stabilita lì nel 1940: «Mio padre si era stabilito a Minersville in Pennsylvania (la città dei minatori, ndr), ma era tornato in Trentino senza trovare fortuna, e tornò definitivamente negli Stati Uniti. Mia madre invece era nata a Spormaggiore». Non era insolito che i trentini finissero a lavorare nelle miniere: «La maggior parte dei trentini arrivavano dalla Val di Non e dalle Giudicarie – ha raccontato Josephine – E molti finivano nelle miniere della Pennsylvania». Ma anche le donne trentine spesso lavoravano, dando un contributo all’economia familiare: «Alcune donne lavoravano nelle fabbriche, mentre altre realizzavano lavori al cucito da domicilio».

«ANCORA OGGI UN “CAMPANILISMO” DEI TRENTINI»

Tra gli emigrati trentini si instaurarono ben presto relazioni di reciproco sostegno: «Tutti abitavano nella stessa zona, in particolare a Brooklyn – ha evidenziato Josephine – Gli uomini si organizzarono in una società di auto mutuo aiuto ed anche le donne iniziarono a frequentarsi, facendo insieme lavoretti a maglia e chiacchierando». Furono anni difficili per le comunità di origine italiana, con episodi non rari di razzismo: «Personalmente non ho ricevuto nessuna discriminazione, ma altri sì», ricorda Josephine, che sottolinea come anche i rapporti con gli italiani provenienti da altre regioni non fossero sempre semplici: «Quando ci si relaziona con gli altri italoamericani, c’è ancora oggi un forte campanilismo. Quando ci presentiamo, diciamo prima la regione di provenienza e solo dopo ci si riconosce come italiani. Lo stesso vale anche nel circolo trentino, c’è un forte campanilismo tra giudicariesi e nonesi».

«IO, DA INSEGNANTE, MOSTRAI IL TRENTINO AI NEWYORCHESI»

Josephine ha assunto un rilievo importante nella sua comunità in quanto è stata per tanti anni un’insegnante, ruolo che le permise di vivere a stretto contatto con la società newyorchese nel suo insieme: «Gli studenti reagivano con curiosità al mio essere italiana. Ricordo che una volta scrissero una relazione in cui lamentavano che gli insegnanti erano sciatti e vestivano male. Tutti tranne la sottoscritta, apprezzavano il mio modo di vestire e dicevano, “è ovvio che ha stile, è italiana!». D’altro canto, è scarsa la percezione da parte degli americani della “particolarità” trentina nel contesto della comunità italiana: «Per gli americani l’Italia coincide con la Sicilia, perciò ai miei studenti facevo vedere i filmini del Trentino, per dimostrare come l’Italia è molto di più». Nota dolente è il progressivo allontanamento delle giovani generazioni di discendenti di origine trentina dal loro retaggio culturale: «I figli e i nipoti dei trentini oggi sono pienamente integrati nella società americana. Tanti raccontano di avere interesse per la riscoperta delle loro origini, ma poi l’entusiasmo sparisce rapidamente». Sarebbe perciò importante che il circolo trentino riuscisse ad accendere l’interesse dei giovani: «Servono iniziative culturali, altrimenti il circolo diventa solo il luogo di ritrovo degli anziani dove trovarsi e giocare a carte!».

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Pubblicato da Fabio Peterlongo

Nato nel 1987, dal 2012 è giornalista pubblicista. Nel 2013 si laurea in Filosofia all'Università di Trento con una tesi sull'ecologismo sociale americano. Oltre alla scrittura giornalistica, la sua grande passione è la scrittura narrativa. È conduttore radiofonico e dal 2014 fa parte della squadra di Radio Dolomiti. Cronista per il quotidiano Trentino dal 2016, collabora con Trentinomese dal 2017 Nutre particolare interesse verso il giornalismo politico e i temi della sostenibilità ambientale. Appassionato lettore di saggi storici sul Risorgimento e delle opere di Italo Calvino.