Tutti nati e morti in città. Negli altri paesi? Si vive e basta

Certo, lo so, l’Italia e il mondo di problemi da risolvere ne hanno di più urgenti, tuttavia la questione, specie nei centri abitati più piccoli, è molto sentita dalla popolazione.

C’è stato un tempo in cui i parti avvenivano in casa. E quella casa era situata in un Comune. Pertanto non vi erano dubbi sul toponimo da inserire sulla carta d’identità.

Con l’avvento del Servizio Sanitario Nazionale, la quasi totalità dei bambini nasce nel reparto maternità di un ospedale, laddove – assieme alla madre – può ricevere tutta l’assistenza di cui necessita. Le conseguenze di questo fatto sono state essenzialmente due. La prima è la diminuzione della mortalità infantile. La seconda è che i nuovi nati risultano venuti al mondo nel Comune in cui è situato l’ospedale e non, come sarebbe più logico, in quello dove trascorrerà (probabilmente) tutta la propria esistenza. Così, per fare l’esempio trentino, abbiamo oggi migliaia di bambini che risultano “nati” a Trento, Cles, Cavalese e Riva del Garda e solo rarissime nascite “casalinghe” in tutti gli altri centri della provincia. La stessa cosa (anche se per motivazioni diverse) avviene per la morte. Fino a non molto tempo fa, il moribondo di turno veniva accompagnato nel grande passo dalle litanie delle prefiche. Oggi una corsa disperata all’ospedale più vicino non la si nega a nessuno, anzi ho il sospetto che sia obbligatoria per legge (che si rischi l’omissione di soccorso? Boh). E allora, ecco anche qui una sfilza di deceduti a… 

Si tratta di due dei tanti paradossi provocati dalla modernità, ovvero dalla necessità di far quadrare i sempre traballanti bilanci della Sanità italica.

Una piccola privazione identitaria di cui molti farebbero volentieri a meno, considerato che il rapporto stringente con la Comunità in cui vivono e nella quale radicano i propri affetti nulla ha a che vedere con il fantomatico e oscuro “comune di nascita” indicato sui documenti. 

A dire la verità, il regolamento sullo stato civile, adottato il 3 novembre 2000 (n.396), prevede che l’atto di dichiarazione della nascita possa andare, su richiesta dei genitori, non al Comune dell’ospedale in cui essa è avvenuta, ma a quello della madre. Tuttavia sui certificati e nei rilevamenti Istat comparirà sempre e soltanto il Comune del parto o della dipartita.

Un’ingiustizia solo micro, per carità. Ma un’ingiustizia è sempre un’ingiustizia. Ogni ospedale è di fatto extraterritoriale in quanto è, sì, allocato in un Comune, ma serve tutti gli altri centri del territorio. Sarebbe bello, insomma, che almeno questa briciola di identità non ci venisse tolta. Una Comunità si costruisce sul senso di appartenenza. Se in quella Comunità non ci nasce e muore più nessuno, la Comunità non può più essere sicura nemmeno di esistere. 

E voi, dove siete nati?

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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.