Ultimate: l’unica regola è la lealtà

Un giocatore e una giocatrice degli UFO (Ultimate Frisbee Oltrefersina), dopo una meta, nei Campionati Mixed

La Frisbie Pie Company è un’azienda del Connecticut fondata nel 1871. La sua principale occupazione era la produzione di crostate per mense scolastiche. La particolarità stava nei contenitori nei quali venivano confezionati i loro prodotti. Per la loro forma, infatti, erano particolarmente adatti al volo. Vi sono varie teorie e versioni di come questi contenitori siano diventati oggetto di un passatempo e poi di uno sport a tutti gli effetti. Alcuni infatti affermano che fossero i lavoratori stessi dell’azienda che, durante le loro pause pranzo, avessero iniziato a lanciarsi questi contenitori. Altri invece riconoscono che fossero gli studenti che, finito il pranzo e con il contenitore della crostata ormai vuoto, provarono a lanciarselo. Fatto sta che questo lancio, per via del suo particolare fascino, si è poi rapidamente trasmesso ai college nelle vicinanze. Risale al 1957, invece, la prima produzione di un disco. Si tratta di un disco di plastica, dal peso di circa 175 g con una struttura aerodinamica. In seguito, nel 1968, un gruppo di studenti ha sviluppato uno sport che aveva come strumento principale proprio questo oggetto. Il nome Ultimate Frisbee parrebbe risalire a Jared Kass, uno di questi studenti, che dopo aver ricevuto un passaggio avrebbe pensato “this is the ultimate game” (questo è lo sport definitivo!).

Ma come funziona nella pratica? Sostanzialmente le regole sono costituite da una sintesi tra diversi sport, nello specifico football americano, pallacanestro e calcio. Solitamente la grandezza del campo è paragonabile a quella di un campo da calcio in lunghezza, mentre è largo quasi la metà. Le squadre sono invece composte da 7 giocatori. Lo scopo del gioco è fare “meta” passando il disco oltre una zona prestabilita. Non è possibile camminare quando si ha il disco in mano, ed ogni volta in cui un passaggio non risulta completo si cambia il possesso. Ma la cosa più straordinaria, e che rende questo sport unico, è che non vi è alcuna figura preposta a far rispettare queste regole. Nell’Ultimate frisbee infatti, i responsabili per il rispetto delle regole – ovvero gli arbitri – sono tutti i giocatori presenti in campo in quel momento. E questo vale sia dalla partita tra amici sia alla finale mondiale. Uno sport quindi che, oltre all’aspetto agonistico, punta a responsabilizzare ogni individuo. E come si fanno a risolvere eventuali situazioni nelle quali, magari, non ci si trova d’accordo, specie in fasi concitate della partita dove l’adrenalina può prendere il sopravvento? Esistono delle chiamate che sospendono immediatamente il gioco, e i due interessati dalla chiamata si ritrovano a discutere nel modo più rispettoso e al contempo celere possibile dell’avvenimento. Se viene trovato un accordo, solitamente si riprende con un cambio di possesso, nel caso contrario si ritorna alla situazione di gioco precedente. Durante il gioco possono dunque essere fatte delle chiamate. Questo è reso possibile dal fatto che la filosofia di fondo che ispira e muove questo sport si basa sullo Spirito del Gioco. Si tratta di una serie di comportamenti e regole che tutti i giocatori devono conoscere e, quindi, rispettare. Al termine di ogni incontro, le squadre si ritrovano in cerchio e i capitani discutono facendo un breve resoconto sulla partita, mettendo in evidenza eventuali situazioni di incomprensione o al tempo stesso momenti di lodevole sportività. Al termine di questo ogni squadra si ritira per compilare il punteggio dello spirito del gioco degli avversari. Questo avviene basandosi principalmente su cinque criteri: lealtà e correttezza, capacità di comunicare con gli avversari, contatto fisico, conoscenza delle regole, intensità e spirito positivo. Questi punteggi formeranno una classifica ed un premio finale. Esisteranno quindi, al termine di ogni competizione, non una ma ben due classifiche. Una per quanto riguarda il punteggio maturato sul campo, un’altra che riguarderà il rispetto ed il fair-play dimostrato durante le partite dai membri di ogni squadra.

La squadra Europeo Beach Mixed, in Portogallo

IN ITALIA DAL 1979, in Trentino dal 2006

L’Ultimate frisbee è arrivato in Italia per la prima volta nel 1979, con la fondazione della FIFD (Federazione Italiana Flying Disc). L’associazione al suo interno contiene diverse discipline oltre all’ultimate, tra cui il freestyle e il discgolf. Attualmente in Italia sono presenti circa una trentina di squadre che in questi mesi stanno passando alla FIGEST (Federazione Italiana Giochi e Sport Tradizionali), cosa che permetterà a tutti di entrare finalmente nel CONI. Tra queste la squadra degli UFO (Ultimate Frisbee Oltrefersina), sezione della Polisportiva Oltrefersina di Pergine Valsugana, ad oggi unica rappresentante regionale di questa disciplina, fondata nel 2006 da alcuni amici, tra i quali Roberto Calzà, ancora oggi responsabile della squadra.

Roberto, come nasce l’idea di portare l’ultimate frisbee in Trentino, più precisamente in Valsugana?

Tutto nacque molto tempo fa da una festa dello sport e del volontariato, in cui alcuni universitari presentarono questa disciplina. Andai con qualche amico e con mio figlio tredicenne (oggi allenatore/giocatore UFO) e la cosa ci incuriosì molto. L’anno dopo convinsi qualche nipote e altri amici a partecipare nuovamente. Gli universitari cercavano di ingrandire il gruppo, serviva un campo, io chiesi aiuto alla Polisportiva Oltrefersina e cominciammo ad allenarci con regolarità. Nel frattempo, scoprii un mondo che non conoscevo, fatto di tornei, squadre e uno spirito sportivo che – per me che venivo da anni di calcio – mi sorprese molto, soprattutto per i valori che racchiudeva in sé.

La squadra femminile, promossa in seria A

Ha mai notato una particolare difficoltà ad adattarsi alla maggior peculiarità di questa disciplina, ovvero l’assenza dell’arbitro, per chi, magari, proveniva da altri sport? E si riesce comunque a mantenere un equilibrio tra il sano agonismo e l’assenza di un arbitro?

Sicuramente. Inizialmente per tutti coloro che vengono da un altro sport l’assenza dell’arbitro è spiazzante: non è facile ad esempio far capire ai ragazzini (ma anche ai più grandi), che non c’è un arbitro da chiamare in causa e che possono fare una chiamata e motivarla, invece che brontolare contro l’avversario. Ma una volta capito come funziona, tutti hanno un unico obiettivo: continuare a giocare, il più lealmente possibile. Non è tutto rose e fiori, in campo c’è grande agonismo e – per quanto il contatto non sia consentito – anche una certa fisicità. Qualche chiamata “marcia” (scorretta, fatta per convenienza o per fermare l’azione degli avversari o semplicemente perché presi dalla foga) esiste, a volte c’è nervosismo, ma alla fine lo Spirito del Gioco vince. Rarissimamente, anche ai massimi livelli, si assiste a discussioni o a comportamenti sopra le righe.

Un’altra caratteristica che rende questo sport unico nel suo genere sta nel fatto che, tra le varie categorie, ne esiste una anche cosiddetta mixed, ovvero che contempla una squadra composta da uomini e donne insieme. Quale è l’occasione che nasce da queste squadre mixed?

Insieme all’autoarbitraggio il gioco mixed è l’altro aspetto che rende unico l’ultimate frisbee e che amplifica la sua valenza educativa. Oggi si fa un gran parlare di parità di genere, di gender equity, ma l’ultimate frisbee realizza questi principi sul campo, in ogni allenamento, in ogni torneo (ricordiamo che in una squadra Open – generalmente composta da maschi – è sempre possibile schierare delle ragazze). Si gioca valorizzando le caratteristiche dell’altro sesso, misurandosi con esso e cogliendone le diverse sfumature, le potenzialità e le capacità. Questo è il miglior modo per imparare a rispettarsi e per prevenire discriminazioni.

Da qualche anno organizzate il DDT, torneo di frisbee che ha spesso accolto squadre anche dall’estero. Come mai l’idea di organizzare questo torneo? Che atmosfera si respira in quel contesto?

Siamo orgogliosi di un evento che – soprattutto nella sua versione indoor – è divenuto un appuntamento fisso dell’ultimate italiano e non solo. Dopo due anni di stop per la pandemia, appena aperte le iscrizioni per la decima edizione fatta in dicembre, in due settimane abbiamo avuto il sold out, battendo ogni record di partecipazione (24 squadre, 270 atleti). Negli anni abbiamo sviluppato una formula vincente che abbina lo sport in ottime strutture ad un’attenzione all’ospitalità che premia. La gente gioca, si diverte, mangia bene e torna ogni anno.

Ormai l’associazione esiste da 15 anni e negli ultimi anni si è sempre più allargata, sia in fatto di partecipazione che di competitività. Quali sono state le chiavi di questo successo?

Gli elementi che ci hanno permesso di continuare ed avere da qualche anno una cinquantina di tesserati e tesserate, tra cui anche molti giovani, sono diversi. Innanzitutto, poter contare su una società solida come la Polisportiva Oltrefersina, sulle sue strutture e la sua organizzazione, per noi è una certezza. Poi ci son state alcune scelte: quella di farci conoscere anche a Trento e non solo a Pergine, il costante contatto col mondo scolastico (abbiamo già tenuto due corsi di aggiornamento ai docenti di educazione motoria e supportato il Dipartimento istruzione nei campionati studenteschi oltre ad aver vinto un bando per la promozione dell’ultimate nelle scuole); infine, una guida tecnica stabile e competente che ha permesso di cominciare a cogliere risultati importanti sul campo (es. la promozione in serie A della squadra femminile), cosa che ha creato una consapevolezza di essere un team di buon livello e – nonostante il fatto di essere gli unici in regione e decentrati rispetto al resto delle squadre italiane – capace di crescere e togliersi delle soddisfazioni.

Si tratta di uno sport accessibile a chiunque oppure sono necessari diversi requisiti? (età, determinate qualità fisiche, etc etc)

Innanzitutto ricordiamo che l’ultimate non ha bisogno di strutture o attrezzature particolari: un campo, un disco e qualcosa per delimitare le mete e si può giocare. Le regole base dello sport sono piuttosto semplici, non è previsto il contatto fisico (se non in modo casuale) e la tecnica di lancio, che all’inizio sembra la parte più difficile, si impara e si affina con l’allenamento. È uno sport dove si corre molto, quindi ci vogliono un minimo di capacità di corsa e coordinazione. Da un paio di anni abbiamo aperto anche ai ragazzini e ragazzine U15, quindi dagli 11 anni in su si può iniziare a conoscere questo ambiente che, davvero, cambia il modo di intendere lo sport.

Partita degli UfoTN 360MI agli ultimi campionati italiani
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Pubblicato da Fabio Loperfido

Nato allo scadere del millennio, Fabio è uno studente errante che ancora non ha ben chiaro cosa potrebbe volere il mondo da uno come lui. Nel mentre prova ad offrire ciò che vede con i suoi occhi tramite una sua lettura, con la speranza che il suo punto di vista possa essere d'aiuto a qualcuno martellato dai suoi stessi interrogativi.