Un’esperienza mistica

La tecnologia digitale ha portato alla fotografia molti vantaggi, ma ha generato anche un certo numero di effetti collaterali poco sani. Due fra questi sono l’ansia e la bulimia. Il primo è diretta conseguenza dell’abnorme numero di opzioni che i menu delle fotocamere digitali propongono all’utente, illudendolo sul fatto che questa dotazione garantisca risultati migliori, con la nefasta conseguenza che il fotografo resti perennemente in apnea per decidere quale sia la regolazione da preferire. La seconda sindrome deriva dalla gratuità economica dello scatto che favorisce la produzione di un numero insensato di immagini.

Per guarire da queste due gravi patologie propongo ai lettori più coraggiosi un’esperienza un po’ mistica e un po’ psicoterapeutica, sicuramente portatrice di utili riflessioni e insospettabili risultati (mi perdonino i protettori dell’ambiente per questo piccolo e veniale peccato): l’usa e getta. Sì, proprio lei, lo strumento assurto a simbolo della fotografia più derelitta!

Fate una gitarella fuori porta portandovi in tasca una di quelle vituperate macchinette (si trovano ancora in qualche negozio). Vivrete una condizione dimenticata e cioè la leggerezza, fisica e psichica. Non avrete ingombranti borse, non pretenderete da voi stessi di produrre capolavori. Non dovrete più porvi quesiti. Non avrete più bisogno di zoomare, diaframmare, focheggiare, correggere… Dovrete solamente guardare (a lungo), pensare, puntare e scattare. E in quel semplice gesto si condenserà tutto quello che serve alla fotografia e cioè: l’individuazione di un soggetto che vi parli e che possa parlare a chi vedrà la vostra foto, una luce che lo scolpisce, un colore che lo pennella, un’azione che lo dinamizza, un sorriso che ci faccia sorridere, un fiume che scorre, una foglia al vento… Non aggiungerete conoscenze tecniche a quelle che già possedete ma sperimenterete in maniera trasparente l’essenza della fotografia: il vostro sguardo.

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Pubblicato da Adriano Frisanco

Biologo mancato, fotografo per destino, da decenni diffonde la fotoepidemia nella popolazione trentina, attraverso corsi e progetti altamente contagiosi. Ha una folle convinzione: che la fotografia sia un linguaggio da imparare.