Uno spazio per i desideri

Se si dovesse provare a spiegare perché agli italiani il cinema italiano spesso non piace, credo si finirebbe quasi necessariamente per dire “perché nessuno parla davvero così”. Il grande difetto dei film del nostro Paese e del nostro tempo, sono i dialoghi. “Margini”, opera prima di Niccolò Falsetti, nonché unico lungometraggio italiano in concorso alla 37esima edizione della Settimana Internazionale della Critica a Venezia, dove si è aggiudicato il premio di pubblico, si colloca invece sul versante opposto.

“Margini”, distribuito da Fandango nelle scorse settimane, non è un film che vuole insegnare qualcosa allo spettatore, non è un film che vuole condurre da qualche parte, è solo e soltanto un onesto, puro, sincero spaccato di una provincia – che poi potrebbero essere mille altre –, di una gioventù, di un’amicizia. A fare da perno, il tentativo da parte di tre amici di portare la band punk hardcore americana The Defense a suonare a Grosseto. Niente più niente meno di questo: una serie di follie, di incoscienze, di gesti esagerati che li conducono a rischiare tutto (economicamente e legalmente). Perché lo cantavano già i Clash: “I fought the low and the low won”, solo per vedere realizzato, per un istante, per letteralmente una notte, il proprio sogno. Niente più niente meno di quel senso profondissimo, condiviso da chiunque sia nato e cresciuto in provincia, di rivalsa, di rivincita sul proprio paesino o sulla propria città, che sembrano non capire, non dare spazio ai desideri. Soprattutto dei più giovani. E allora forse il “punk non è morto”, fino a quando vive la voglia di ribellione. È questo profondo senso di vita, quello che allora “Margini” lascia in chi lo guarda. Quell’emozione, quella volontà di cambiare le cose, di combattere coi mulini a vento, così propri dei vent’anni di tutti. Con una marcia emotiva in più sui Millennials, figli di quelle Bull Boys citate fuori campo nei titoli di testa, degli Estathé bevuti su sedie di plastica, degli MP3 a pile da attaccare al mangianastri in macchina. È un brivido di nostalgia, che arriva dritto a segno grazie all’assoluta onestà di una sceneggiatura che non fa sconti alle bestemmie e alle parolacce (perché in Italia, così si parla), ma che soprattutto ricrea in maniera perfetta la sagacia, lo scherzo, la verità di momenti tra amici.

La rivincita del fumetto

C’è l’affiche del film “Margini”, e c’è una locandina, disegnata per il grande arrivo dei The Defense a Grosseto (come in un gioco metatestuale). In entrambi i casi nessun occhio attento stenta a riconoscerne l’autore. A fugare ogni dubbio, del resto, c’è anche una telefonata dell’artista ai tre amici: stiamo parlando di Zerocalcare. Diventato negli ultimi anni uno dei più noti portabandiera della rivincita del fumetto e della graphic novel in Italia, Michele Rech è autore anche di alcune trasposizioni – una filmica e una in animazione – delle sue vicende: “La profezia dell’armadillo”, film del 2018 di Emanuele Scaringi, ma soprattutto, in una versione più riuscita, anche in termini di quella profonda onestà e veridicità di cui sopra, “Strappare lungo i bordi”, serie Netflix di successo uscita lo scorso anno.

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Pubblicato da Katia Dell'Eva

Laureata in Arti dello spettacolo prima, e in Giornalismo poi, nel quotidiano si destreggia tra cronaca e comunicazione, sognando d’indossare un Fedora col cartellino “Press” come nelle vecchie pellicole. Ogni volta in cui è possibile, fugge a fantasticare, piangere e ridere nel buio di una sala cinematografica. Spassionati amori: Marcello Mastroianni, la new wave romena e i blockbuster anni ‘80.