Viaggiare è un atto d’amore

Cantano i Litfiba: “La mia valigia, casa a tracolla (…) La mia valigia, treno dei sogni (…) viaggiare è sognare, è un atto d’amore (…) la mia valigia è il vento, pronta a deviare di terra e a deviare di mare (…) La valigia è il mondo è il mondo da amare.”

I bagagli sono racconti di vita. 

C’è quella piccola, colorata, di plastica, che appartiene a un bambino, c’è quella vecchia trovata in soffitta che è un deposito di ricordi, c’è quella pensata per il viaggio di nozze ed è felice nel suo carico di sogni. C’è quella, pronta, ai piedi d’un letto, è la valigia di una donna che a breve sarà madre. E poi c’è quella sofferta di un soldato, di un esule, di un prigioniero….

La valigia è il simbolo del viaggio, custodia di memorie, talvolta metafora per raccontare il proprio essere, la propria identità: “Due anni prima di morire mio padre mi affidò una valigetta piena di suoi scritti, manoscritti, taccuini” raccontò Orhan Pamuk alla cerimonia di conferimento del premio Nobel; discorso che confluì poi nel libro “La valigia di mio padre” dove lo scrittore compie il suo personale viaggio nella scrittura.

Purtroppo, non sappiamo nulla del proprietario di questa valigia personalizzata, nemmeno se ha effettivamente soggiornato in tutti e 35 gli alberghi pubblicizzati sulle etichette.

“Mio Dio, cosa mi combina questo paese? Dal momento che mi respinge, osserviamolo freddamente, guardiamolo mentre perde l’onore e la vita”, struggente la valigia-testamento della scrittrice ebrea Irène Némirovsky. Arrestata, deportata ad Auschwitz, morirà poche ore dopo, ma non le sue memorie che erano in una piccola valigia che la donna affidò alle figlie. Quella valigia rimase chiusa per molti molti anni, prima che le bambine, divenute donne, riuscissero ad affrontare il dolore della perdita e poi la meraviglia di scoprire – al pari di un tesoro – decine di pagine scritte con un inchiostro azzurro: saranno i primi tomi dell’opera la Suite francese.

Ha la serratura rotta ed è tenuta insieme con una corda da bucato la valigia (protagonista del titolo del romanzo) dello scrittore russo Sergej Dovlatov nel mentre sta per emigrare e lasciare l’Unione sovietica. Distacco, esilio e l’amara constatazione che un’intera vita si può ridurre a poche cose stipate in una valigia: “Pensai: ma davvero è tutto qui? E risposi: sì, è tutto qui.”

Le valigie, i bagagli con il loro carico di storie, sono oggetti evocativi molto amati da scrittori, filosofi e artisti che ne hanno narrato la simbologia in modi diversi, talvolta contrastanti, spesso in bilico tra simboli di libertà o prigionia.

Le ali stilizzate erano il marchio delle Ferrovie dello Stato (FS) negli anni Settanta, quando l’azienda gestiva ancora in proprio il servizio portabagagli (in Alto Adige, nelle stazioni di Bolzano e Merano).

Una catasta di valigie alta quattro metri è “Il Muro del Pianto” di Fabio Mauri, un rimando al muro dove gli israeliti infilano piccoli rotoli di carta contenenti preghiere e che l’artista ci invita a pensare a una preghiera per l’arte, per le ingiustizie, per l’umanità tutta. 

Le valigie di pietra di Andrei Roiter risultano pesanti e inservibili, perchè – suggerisce l’autore – si viaggia solo con l’anima. O quelle complesse e bellissime di Chiharu Shiota sospese con migliaia di fili rossi in volo verso il futuro. Futuro? Forse. 

Nondimeno la famosa valigia di Marcel Duchamp che simile a una “matriosca” si apre su sessantuno riproduzioni dei suoi lavori. E che dire delle valigie oniriche di Jean Folon così leggiadre e levitanti… o dello scarno uomo, appesantito da due valigie di Antoine Jossé che cammina solo sul mondo.

Tilmann Waldthaler, nato nel 1942 a Monaco di Baviera da padre altoatesino, ebbe un’infanzia difficile. Preso il diploma di pasticciere e cuoco, scelse una vita senza legami che lo condusse in Sudafrica, in Rhodesia e in Australia. All’età di 35 anni, la seconda svolta: un viaggio agli antipodi, da solo, in sella alla sua bicicletta. L’impresa durò quattro anni e includeva una tappa in Iran dove, ne 1980, Tilmann fu testimone dello scoppio della prima Guerra del Golfo.

Il bagaglio è antico, antichissimo, forse il primo della storia possiamo farlo risalire a migliaia di anni fa. A quando i grandi faraoni d’Egitto, convinti che esistesse una vita oltre la morte, solevano portare con sé il necessaire. Nella straordinaria tomba di Tutankhamon sono stati rinvenuti una cinquantina di bauletti contenenti gli ushabti: le statuine che avrebbero svolto i lavori dei campi nell’aldilà al posto del loro proprietario, per allietare in eterno la vita del defunto e poi: cofanetti, mobili, letti, stoffe e abiti, attrezzi, vasellame e anche oggetti per la scrittura, si credeva infatti che nel aldilà il faraone potesse divenire uno scriba del dio del Sole.

L’evoluzione dei bagagli racconta e ricostruisce il modo in cui si viaggiava. E l’evoluzione dei viaggi ha provocato di concerto l’evoluzione dei bagagli: dalle casse in legno, ai bauli, alle cappelliere, alle valigie di cartone… si è passati alla ventiquattr’ore, al trolley con le rotelle, gli zaini, i beauty case…

Nel corso dei secoli, i bagagli hanno accompagnato l’uomo raccontandone l’identità, in un dialogo intimo tra il viaggiatore e gli oggetti a lui così necessari e cari da portare con sé. 

Parlarne, scriverne oggi, è riandare con la memoria ai nostri viaggi. A ricostruirli con la memoria, un invito prezioso in questo tempo claustrofobico. Ma, se ancora non si potesse viaggiare liberamente, esiste il viaggio intimo, immaginario, che non ha confini, non ha passaporti, solo infinite possibilità. E quale sarebbe la giusta valigia? 

Colorata, sognante, luminosa… perfetta a custodire i nostri sogni.

Questa valigia ricca di accessori apparteneva a Casimiro Rossi (1907–1964), un insegnante trentino trapiantato in Alto Adige durante il fascismo.
la mostra
Le immagini di queste pagine sono tratte dell’esposizione si intitola “Borse, trolley e valigie – Viaggio nella storia dei bagagli” ed è visitabile al Touriseum, museo situato all’interno della splendida struttura di Castel Trauttmansdorff, Merano.
(Orario: ogni giorno 9.00 – 19.00)

Il Touriseum e i «Giardini di Castel Trauttmansdorff» sono visitabili insieme. Il biglietto d’ingresso, infatti, vale per entrambe le attrazioni.
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Pubblicato da Patrizia Belli

Giornalista, scrittrice. La prima volta che scrissi un pensiero davvero e interamente mio accadde sui banchi del liceo. Prima di allora, i temi di italiano - confesso - erano scopiazzature, ma quella volta no. Ricordo l'ansia e l'intensità con cui attesi il giudizio e quando arrivò, si rivelò una profezia: “Buono, sebbene il gergo sia troppo giornalistico”. Fu in quel momento che capì che la scrittura sarebbe stata compagna di vita. Una passione prepotente, fedele, traditrice, mai domata. Un baricentro che morde il cuore e scava, scava rincorrendo l'inesprimibile. Poi, può succedere che una parola perduta e riacciuffata illumini il pensiero e allora è pura felicità. È lì, è nella scrittura, in lei che sa tutto di me, che mi trovate.