Vincere? È una conseguenza. La versione di Sinner

Iniziare l’anno parlando di tennis, e in particolare di Jannik Sinner, miglior tennista del momento, potrebbe sembrare un inno al mondo dello Starsystem. Ma non è così. Non tutte le “star” dello sport strapagato mandano lo stesso messaggio.

Alcuni atleti riescono a dare l’impressione che “vincere” non sia il fine ultimo di ogni impegno o competizione, ma una conseguenza, sperabile ma non indispensabile, dell’uso ottimale del proprio talento. Anche il talento per il tennis, come qualsiasi altro, va coltivato e messo in gioco, perché in fondo è questo che dà significato all’esistenza.

Adriano Panatta, grande ex tennista, ha descritto più volte il talento di Sinner: “Si muove moltissimo, anticipa la giocata andando là dove arriverà la palla. È intuizione.” E tecnicamente, è proprio così. Ma c’è qualcosa di più, un aspetto che rende quasi magico il suo modo di giocare. Quando l’avversario lo mette in difficoltà, Sinner non si limita a contenere il gioco, ma aumenta intenzionalmente il livello tecnico. Sembra una banalità: gioca meglio per vincere, ma non è così.

Molti giocatori seguono una tattica più conservativa: chi ha la tecnica migliore si adatta e attende l’errore dell’avversario, cercando di sbagliare il meno possibile. È una modalità più semplice, che premia il risultato con il minimo sforzo. Ma non aggiunge nulla al mondo, non offre nessun contributo significativo, perché porta soddisfazione solo a chi vince.

Sinner, alzando l’asticella della difficoltà, invita il suo avversario a dare il meglio di sé, e costringe se stesso a utilizzare pienamente il proprio talento, scegliendo colpi sempre più difficili e spettacolari. In questo modo, tutti traggono beneficio: l’avversario, anche se sconfitto, avrà avuto l’onore di giocare ai suoi massimi livelli; Sinner migliorerà il suo gioco, e il pubblico assisterà a uno spettacolo di grande qualità.

Rispetto per il gioco e per sé stessi: niente trucchetti o tattiche facili. L’invito è a essere la versione migliore di sé. Un buon proposito per tutti, anche per chi, come me, ha il vizio di parlare bene e razzolare male.

Ce la faremo, almeno un po’, nell’anno entrante?

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Pubblicato da Stefano Pantezzi

È nato a Rovereto nel 1956 e cresciuto a Trento, vive a Pergine Valsugana. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna, è avvocato da una vita. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Come una nave d’acqua” (2018) e alcuni racconti in antologie locali. “Siamo inciampati nel vento” (Edizioni del Faro) è il suo primo romanzo.