Zenone, filosofo “per naufragio”

Una cosa è certa: non lo aveva mica messo in programma di diventare filosofo. Figlio di mercanti di Cizio (oggi, Larnaca, terza città di Cipro), Zenone si era perfino imbarcato come commerciante. Ma, ahilui, la nave su cui veleggiava fece naufragio, costringendolo ad approdare in quel di Atene. 

In una libreria della città, rimane folgorato da un testo che Senofonte dedica al grande Socrate. Al punto che nel 300 a.C. apre una sua scuola, e la chiama stoicismo (dal nome della sede, “Stoà Pecile”, ovvero “portico dipinto”). Vivere secondo Natura diventa il principio fondamentale del suo insegnamento, una sorta di ascetismo che permette di emanciparsi dalle emozioni. Un giorno – a 70 o forse 98 anni – cade e accidentalmente si rompe un dito. Interpretando l’accaduto come un segno del Fato, decide di lasciarsi morire, di fame secondo alcuni, impiccandosi secondo altri. Quel che è certo è che spira pronunciando, anzi gridando, un verso della Niobe, una tragediadi Eschilo: “Vengo, perché mi chiami gridando?”

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