“Chiara Lubich”: ritratto di una donna controcorrente

La fiction Rai “Chiara Lubich – L’amore vince tutto” ha convinto 5 milioni di spettatori. L’ispirata interpretazione di Cristiana Capotondi restituisce il ritratto umano di una donna “scomoda” e controcorrente, che con il suo carisma ha dato il via al Movimento dei Focolari, oggi presente in 182 paesi. Parola allo storico Maurizio Gentilini e alle attrici Chiara Turrini e Roberta Potrich…

Sono stati cinque milioni gli spettatori che il 3 gennaio 2021 erano sintonizzati su Rai1 per seguire la fiction “Chiara Lubich – L’amore vince tutto”. Un ottimo successo di pubblico, in cui il regista Giacomo Campiotti ha voluto raccontare la vicenda di Chiara Lubich, la trentina fondatrice del Movimento dei Focolari, interpretata da Cristiana Capotondi. Sullo sfondo di una Trento devastata dalla Seconda guerra mondiale, la fiction racconta gli scontri con le gerarchie ecclesiastiche e il processo di fronte al Tribunale del Sant’Uffizio, da cui i focolarini uscirono “assolti” e liberi di promuovere la loro lettura del Vangelo. Oggi, il Movimento dei Focolari è presente in 182 paesi del mondo e per Chiara Lubich è in corso il processo di beatificazione.

Abbiamo chiesto allo storico Maurizio Gentilini, autore del saggio “Chiara Lubich – La via dell’unità, tra storia e profezia” (edito da “Città nuova”) di ricostruire le vicende storiche che hanno visto la nascita e lo sviluppo della personalità di Chiara Lubich.

Abbiamo incontrato le attrici Chiara Turrini e Roberta Potrich, che hanno preso parte alla realizzazione della fiction e che ci hanno raccontato l’atmosfera del set e in che modo si sono approcciate al racconto della vita e del lascito di Chiara Lubich.

Lubich-Capotondi accudisce i bambini sfollati

LO STORICO: «IL TRENTINO FATICAVA AD ACCETTARE CHIARA»

Maurizio Gentilini ha sottolineato come nell’ambiente familiare di Chiara si respirasse un clima di confronto costante: «Chiara Lubich è nata a Trento nel 1920 da una famiglia in cui le idee socialiste e quelle cattoliche si incontravano. Il fratello Gino sarebbe stato comunista e partigiano. Chiara nasce e cresce in una terra di frontiera, segnata dalla tragedia della Grande guerra». La religiosità popolare radicata tra i trentini di quei decenni pose più d’una volta qualche ostacolo verso il messaggio di Chiara Lubich: «Il Trentino era una terra dove il cattolicesimo sociale aveva riscattato dalla povertà intere generazioni, educato al senso della laicità e del bene comune – ha spiegato lo storico – Ciò nonostante lo stile di vita delle prime focolarine suscitò nella società trentina critiche e incomprensioni». Non solo per i trentini, anche per le gerarchie ecclesiastiche questo connubio tra evangelismo e comunitarismo risultava sospetto addirittura d’eresia: «I focolarini in quell’epoca erano un gruppo di giovani, guidato per giunta da una donna laica, che cercavano di vivere alla lettera il Vangelo e vennero così accusati di protestantesimo; la comunione dei beni faceva sospettare che si ispirino a dottrine comuniste». Sul nascente movimento dei focolarini si accende la lente indagatrice del Tribunale del Sant’Uffizio: «Nel 1948 il Vaticano avvia un’inchiesta che si conclude con l’assoluzione. Ma i focolarini rimangono osservati speciali. Chiara viene più volte interrogata e nel 1952 le viene imposto di lasciare la guida del movimento, che fu più volte minacciato di scioglimento. Questo fino al riconoscimento ufficiale nel 1962 e nel 1964, reso possibile dal clima di riforma portato dal Concilio Vaticano II», ha spiegato Gentilini. Non tutta la Chiesa si dimostrava però ostile alle idee di Chiara, che trovò un alleato nell’allora vescovo di Trento Carlo De Ferrari, l’ultimo principe-vescovo: «Dopo la guerra il vescovo De Ferrari volle conoscere queste donne. Ne approvava la spiritualità, commentando: “Qui c’è il dito di Dio”». Un alleato influente anche durante i processi portati avanti dal Tribunale del Sant’Uffizio: «De Ferrari interviene, ora con coraggio, ora con prudenza, dimostrando di conoscere il diritto canonico e i linguaggi della diplomazia», conclude Gentilini.

La fondatrice dei “focolarini”, Chiara Lubich (1920-2008)

LUCIA FRONZA: «SIAMO PER L’ESTREMISMO DEL DIALOGO»

L’adesione al Movimento dei Focolari richiede l’impegno e la capacità di conformare le proprie abitudini ad una lettura radicale del Vangelo, ma consente di recuperare la capacità di «dialogo» e »comprensione» in un’epoca storica caratterizzata dalla costante ricerca dello scontro. È questo il messaggio che Lucia Fronza Crepaz, pediatra, formatrice, ex parlamentare e responsabile della scuola di formazione politica del Movimento dei Focolari, ha voluto sottolineare all’indomani dell’andata in onda della fiction “L’amore vince su tutto”, dedicata alla figura della fondatrice Chiara Lubich: «Lei ci ha insegnato a scegliere sempre il confronto aperto – riflette Fronza – Coltivando quello che oggi definiamo proprio “estremismo del dialogo». Un approccio incline al confronto sistematico, che si riflette anche sulle condotte di vita dei “focolarini”: «Ricordo che, mentre ero impegnata nel “Movimento politico per l’unità”, chiesi a Chiara Lubich se dovessi intraprendere un viaggio in Sud America per una missione. Lei mi ha risposto: “Serve all’unità, alla fraternità universale? Se sì allora vai e non preoccuparti dei soldi e del tempo, li troveremo!»           

Cristiana Capotondi interpreta Chiara Lubich: alle prese con il dramma della guerra, inizia il suo percorso di fede.

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CHIARA TURRINI: «DA LAICA HO RISCOPERTO CHIARA LUBICH»

«Recitando nella fiction dedicata a Chiara Lubich ho riscoperto, da laica, questa storia interessante popolata da donne coraggiose, che sono arrivate a creare un movimento presente in 182 paesi». Così l’attrice trentina Chiara Turrini ha commentato il “lascito” del film Rai “Chiara Lubich. L’amore vince tutto”, nel quale ha vestito i panni di Iole, una povera signora che bussa alla porta del primo “Focolare” nelle scene girate a metà agosto a Pergine, sotto i portici di via Maier. Turrini ha al suo attivo una notevole serie di partecipazioni importanti: “Vincere”, del regista Marco Bellocchio, ma soprattutto, diretta dalla grande Liliana Cavani, la fiction Rai “De Gasperi, l’uomo della speranza” in cui interpretava la madre del futuro statista democratico-cristiano. Del film dedicato a Lubich, Chiara ha apprezzato in particolare la possibilità di recitare in dialetto trentino: «Una scelta apprezzata da molti. Questo film mi ha regalato la compagnia fantastica delle altre attrici, della troupe e del regista Giacomo Campiotti. Mi sono sentita molto benvoluta». Pur partendo da una diversa sensibilità, laica, Chiara ha potuto riscoprire il personaggio di Lubich: «Chiara Lubich e le sue compagne erano destabilizzanti, leggevano il Vangelo senza l’accompagnamento dei sacerdoti, praticavano la comunione dei beni, cosa che valse loro l’appellativo di “comuniste”. Questo costò loro la diffidenza non solo della Chiesa ma anche di ampie fasce della società trentina, che era molto conservatrice».

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ROBERTA POTRICH: «BENE LE FICTION IN TRENTINO, TERRA ANCORA AUTENTICA»

Roberta Potrich, attrice, modella e conduttrice tv, ha raccontato l’esperienza del set, condiviso per la prima volta con suo figlio Carlo, all’esordio filmico. «Nella mia carriera ho spaziato molto, passando dai fotoromanzi, agli spot, al cinema, ma per mio figlio era la prima esperienza in un film». Il piccolo Carlo ha vissuto un’esperienza intensa e divertente: «Era preoccupato quando ha scoperto che ai bambini sarebbero stati tagliati i capelli molto corti, ma alla fine si è divertito molto ed ora mi chiede quando sarà la prossima produzione». Roberta ha ricoperto il ruolo di una madre che sotto le bombe doveva portare al sicuro i bambini all’interno del rifugio anti-aereo di piazza Venezia a Trento: «Nella scena dovevo piangere e mi è risultato facile, perché mi è bastato pensare alla sofferenza di quelle mamme che cercavano di salvare la vita ai loro figli». Roberta ha raccontato alcuni episodi tratti dal set, quando si è trovata alle prese con costumi di scena un po’ “scomodi”: «Abbiamo girato ai primi di agosto ed indossavamo i costumi originali dell’epoca. Erano di vera lana ruvida, che pizzicava. Fin quando si è recitato nel fresco del bunker, si stava anche bene. Ma all’esterno si pativa un caldo…!». Roberta ha sottolineato quanto sia speciale girare un film in Trentino, territorio ancora non del tutto abituato ad ospitare produzioni cinematografiche: «Qui i produttori trovano paesaggi e ambienti autentici. Inoltre si percepisce ancora l’emozione della popolazione di fronte a un set cinematografico, a Milano sono abituati».

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