Ieri come oggi, il rischio di dire: “minoranza”

L‘uso del termine “minoranza” è di solito collegato all’affermazione di un diritto, ed invece, magari non ce ne accorgiamo, ma nasconde profonde insidie. Che stiamo parlando di un‘isola linguistica, o di un gruppo di donne appassionate della montagna o ancora di animali selvatici – i caprioli – costretti ad abbandonare il proprio habitat, la parola “minoranza” cela sempre un senso di discriminazione e separazione. Lo sapeva bene Christian Schneller che a metà dell‘Ottocento, non senza peccare di partigianeria, indagò le aree germanofone dei distretti italiani. Ma non è solo sull‘appartenenza di genere, nazionalità, etnia o di specie che si gioca questa sorta di partita a scacchi. L’ambito va allargato al pensiero, certo, alle convinzioni più profonde e radicate dell’animo umano. Loreta Failoni, ad esempio, – manager teatrale, insegnante e scrittrice – ci fa capire come a volte basta anche una passione a relegarti in una sorta di “minoranza-recinto”. Parlando della matematica, la sua materia, infatti, racconta che essa non è solo formule astratte che studiamo a scuola, bensì la realtà stessa: la matematica può “indicarci una strada”.

E in tutto, c‘entra il rapporto di ognuno con il passato: il proprio e quello più ampio, legato ad una collettività. Allora, se da una parte Marco Pontoni fa conoscere la curiosa storia di un confronto temporale, in cui oggetto dell’analisi è proprio la cultura di un territorio (Gardumo, Val di Gresta), un nuovo servizio di Google, chiamato “Time lapse”, consente di portare indietro l‘orologio niente meno che al 1984 di Orwelliana memoria. Il risultato? Beh, al di là dei regalini della tempesta Vaia, che pur sono tremendi, è l‘opera dell’umanità che ancora una volta sta facendo la differenza. Il confronto tra ieri e oggi è impietoso. Per fortuna, magra consolazione, nel nostro essere moltitudine distruttrice, restiamo solo una sparuta “minoranza” nell’immensità dello sconfinato universo.

direttore@trentinomese.it

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