Quel giorno, Mario e Primo mi sorrisero

Primo Levi e Mario Rigoni Stern

Sono lontani, ma li riconosce ugualmente quei due uomini adulti in cima alla salita, immobili e assorti contro il cielo che annotta.  

Il giovane maestro di sci di fondo baratterebbe giorni o mesi, anni persino, della sua breve esistenza per poter ascoltare una sola sillaba di quel silenzioso parlarsi in cui i due sono avvolti.  

Sa il ragazzo che non si fermerà quando sarà loro accanto, ma vuole comunque mettersi alla prova: 

«Se riesco a farcela in meno di cinque minuti a salire, allora mi fermo».

Poi è un turbinare di braccia e gambe e un vorticoso battere del cuore che, seppur pronto, sembra non reggere lo sforzo spasmodico a cui è chiamato e implora il ragazzo di rallentare la corsa. Invano.

«Se ce la faccio! Se ce la faccio mi fermo e li saluto. Ecco, sì, li saluto e poi vado via». 

La fatica dilaga tra i muscoli e prepotente penetra il cervello, indistinto diventa lo spazio d’intorno e, simile all’alba è l’imbrunire, che deflagra di colore e brina sospesa. 

«Se ce la faccio. Se ce la faccio!»

Sa il ragazzo cosa vorrebbe dire a quei due uomini; vorrebbe dire loro che li ha riconosciuti, che ha letto i loro libri, che conosce la loro storia; vorrebbe dire che le loro parole lo guideranno per sempre nella vita, che non le dimenticherà mai. E che quelle parole le porta scolpite nel cuore e che se le ripete andando per via e quando si corica e quando si alza e che se un giorno, non si sa mai, avrà dei figli, gliele ripeterà finché anche loro non le avranno mandate a memoria. E anche che la Storia di Tönlexe anca la mia storia”. Questo vorrebbe dire il ragazzo.

Eccoli, adesso sono più vicini e si distinguono i fiati che nel gelo del tramonto, ormai compiuto, si condensano per diventare anch’essi brina sospesa. «Se ce la faccio. Se ce la faccio!»

Eccoli, adesso ne coglie chiaramente i volti, così simili e così diversi. Volto pallido di città il primo, volto solido di montanaro il secondo e la barba per entrambi, la barba come ragnatela di ghiaccio. 

La fatica appesantisce il passo e allora il ragazzo ricorda le parole del suo istruttore al corso maestri: «Quando non ce la fai più ricordati che sei un maestro e che puoi supplire alla mancanza di forza con la tecnica». E allora cerca di allungare la scivolata il giovane maestro senza dimenticare di mettere in bella vista quello scudetto con l’aquila di San Venceslao e il tricolore e la scritta Maestro di sci del Trentino, che nella vita di tutti i giorni non vuol dire nulla, ma su di una pista con gli sci stretti ai piedi e diciotto anni compiuti da poco vuol dire tutto.  

Uno sguardo appena al cronografo mancino che porta al polso destro e la certezza di farcela, sono trascorsi esattamente quattro minuti e trentotto secondi da quando lo ha fatto scattare e i due uomini sono proprio alla sua destra è il momento di fermarsi, di guardarli negli occhi e scusarsi per il disturbo che arreca.

Eccoli, gli sorridono e fanno un gesto silenzioso con il capo a cui lui risponde con un gesto uguale continuando senza rallentare la sua corsa

La pista sale ancora e poi con uno stretto tornante ritorna e il ragazzo si trova più in alto, ma di nuovo a poca distanza dai due è allora che l’uomo con il volto pallido di città, gli grida: «Forza maestro, dai dai!»

Il ragazzo sente le lacrime ghiacciare ai bordi degli occhi e insieme alle lacrime avverte la consapevolezza di aver perduto qualcosa che non ritroverà mai più dovesse vivere cento e più anni.  

Diventato a sua volta uomo adulto, il ragazzo continuerà a chiedersi se quel giorno avesse sbagliato a non fermarsi, a non parlare con Primo Levi e Mario Rigoni Stern, ma poi si consola pensando che è stato solo un inganno dei sensi dovuto alla fatica e a quella strana luce che stana i fantasmi e le volpi sul far della notte. Solo i fantasmi e le volpi. 

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