Un’inedita forma di comprensione

“Ce l’ho sulla punta della lingua”. Quante volte ci siamo sorpresi nel ripetere questa curiosa frase? Si è certi di aver ben chiaro il concetto, ma un gradino – uno solo, molto basso – impedisce di esprimerlo. Ebbene, la nascita della scienza moderna è un periodo disseminato di genialoidi, studiosi eccentrici e disadattati, spiriti liberi e visionari che hanno trascorso l’intera vita a cercare di venire a capo di quel gradino. A tanto così da verità gigantesche e sconvolgenti, per la mente soprattutto. Tanto è vero che molti di loro hanno spesso dovuto frequentare gli ospedali psichiatrici. Se la pazzia sia la più alta forma di intelligenza o meno; se le manifestazioni più profonde dell’ingegno umano non nascano da una deformazione morbosa del pensiero, se lo chiedeva già due secoli fa Edgar Allan Poe. Ma non è di questo che si intende disquisire in “Quando abbiamo smesso di capire il mondo” (Adelphi, pag. 180, € 18), bensì di come il secolo breve abbia sconvolto la conoscenza. 

Benjamín Labatut (nato a Rotterdam nel 1980, vive attualmente in Cile) ci prende per mano e ci accompagna al freak show di chimici, fisici, scienziati, quasi mistici, che nei primi anni del Novecento si sono persuasi a smettere di capire il mondo come lo si era capito fino a quel momento, avventurandosi verso una forma di comprensione inedita. I loro nomi? Fritz Haber, Werner Karl Heisenberg, Erwin Schrödinger e tanti altri. Nomi che dicono poco ai più, ma le cui intuizioni danno direzione e vita alle speranze dell’umanità. Anche adesso, nel momento esatto in cui avete terminato di leggere questo piccolo, confusionario scritto.

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