Il prof. Roberto Pignatelli dell’Università di Trento ci guida tra luoghi comuni, sfide didattiche e il legame indissolubile tra numeri e realtà
Professor Pignatelli, quanto conta il metodo, quanto il talento innato (se esiste)?
Come in tutte le cose, servono entrambi. Senza talento non arriverai mai oltre un certo punto, senza metodo il talento viene in gran parte sprecato. Importante è capire cosa si intende per metodo e cosa per talento.
Il “metodo” corrisponde in parte a quella formalizzazione che tanto spaventa quelli che dicono (spesso orgogliosamente, purtroppo) “io di matematica non capisco niente”. Il metodo si impara. Io, come molti matematici, sono una persona molto ordinata e sistematica nel mio lavoro, ma da giovane ero disordinatissimo, la matematica mi ha insegnato l’importanza del metodo per mettere a frutto le mie idee e il mio tempo.
Il “talento” esiste, ma riconoscerlo è difficile, e persino tra noi matematici non c’è unanimità su cosa esso sia. Un mio collega di fama internazionale è orgogliosamente discalculico, non corrisponde certo all’idea diffusa di talento matematico. Parafrasando Kiesswetter, direi che importante è la capacità di riconoscere regole e schemi nascosti, vedere quando problemi diversi seguono regole e schemi comuni, la flessibilità mentale che consente di cambiare punto di vista, cambiare la rappresentazione di un problema, e considerare i nuovi schemi corrispondenti.
Ha senso l’affermazione “essere portati per la matematica”?
Certo non tutti hanno il “talento matematico”, come non tutti hanno il talento di Messi per il calcio, ma tutti possono giocare a pallone. Analogamente io direi di no, non ha senso. Tutti possono capire la matematica, quella che si insegna a scuola e quella che si incontra nella vita di tutti i giorni. Serve una dose di impegno, variabile a seconda della matematica coinvolta e delle proprie attitudini. E aiuta, ma tanto, avere un buon insegnante, che sappia farti divertire mentre impari. Perché se non ti diverti, la voglia di imparare passa in fretta, ed è naturale convincersi di non essere portati per poi serenamente dedicarsi a qualcosa che ti dà più soddisfazioni.
Nella “Notte prima degli esami”, Venditti canta “Notte di lacrime e preghiere. La matematica non sarà mai il mio mestiere”: non è un po’ presto per dirlo a 18 anni?
Secondo me Venditti a 18 anni aveva già scoperto di avere altri talenti, e da suo fan, non posso che essere felice che li abbia seguiti. Il 18enne medio di solito i suoi talenti è lungi dallo scoprirli, quindi direi di si, è presto. In effetti ci capita spesso di vedere studenti di altre lauree scientifiche chiedere dopo il primo anno, in cui hanno avuto modo di “vedere” della matematica che non avevano mai visto prima, di passare alla nostra Laurea in Matematica. Hanno scoperto un anno dopo che la matematica sarà il loro mestiere.
Certo oggi la società ti chiede di fare delle scelte importanti, nel senso degli studi, già a quell’età, e il tempo per cambiare strada non è tantissimo.
Come possiamo aiutare gli studenti a non avere paura di fare errori e a vedere gli sbagli come un’opportunità per imparare?
Didattica laboratoriale. Il laboratorio di matematica è un’innovazione relativamente recente nel campo della didattica della matematica, che sta lentamente facendosi strada. Se devi applicare la formula insegnata dal docente, e sbagli, il docente può “indorare la pillola” ma il punto è che non ti ricordavi la formula, o non hai capito come applicarla. Ma se la formula la devi scoprire tu, magari in un lavoro di gruppo con compagni ai quali sai di poter dire tutte le castronerie che ti passano per la mente senza rischiare il “giudizio”, lì capisci che al risultato, quando ci arrivi, non ci saresti arrivato senza gli errori precedenti. E impari la matematica davvero, che non è imparare una lista di formule o come si usano.
La ragione per cui tale didattica viene ancora applicata poco è che richiede un grosso lavoro preparatorio da parte del docente. E i docenti, a dispetto dei pregiudizi diffusi, hanno già un sacco di lavoro da svolgere, e poco tempo per preparare le lezioni, e per questo ancora pochi (ma per fortuna il numero va aumentando) docenti brillanti e volenterosi mettono in atto attività laboratoriali.
Non aiuta il fatto che il sistema scolastico, a mio parere, chieda ai docenti non solo di matematica un surplus di lavoro extra (che definerei “burocrazia”) che mi pare aumenti ogni anno e toglie tempo e energie che potrebbero forse meglio spendere nel progettare le proprie attività.
Quanto è utile usare calcolatrici o app o addirittura l’A.I.? Possono davvero aiutare a capire meglio la matematica?
No!!! Il modo in cui vengono usate le calcolatrici oggi a scuola (mi diceva un’insegnante “gli studenti si divertono”) nella maggior parte dei casi toglie allo studente il desiderio di capire che cosa sta facendo (“tanto lo fa la calcolatrice”). E mi trovo adulti incapaci di capire se 2/3 è più o meno di 3/5 senza una calcolatrice, o di controllare il resto del caffè… una manna per i venditori di contratti di compagnie elettriche.
L’intelligenza artificiale è in grado di sostenere con argomenti perfettamente convincenti, grazie a una padronanza linguistica degna dei migliori retori viventi, qualunque cosa, vera o falsa che sia, e solo chi già conosce la materia è in grado di individuare le frequenti falsità che scrive. La capacità di sviluppare e riconoscere argomentazioni corrette, che è uno degli obiettivi principali (vedi le linee guida ministeriali) dell’insegnamento della matematica già dalla primaria, è il contrario di ChatGpt, perfettamente in grado di sostenere in maniera convincente argomentazioni intrinsecamente contraddittorie.
La tecnologia può aiutare molto l’insegnante, per esempio con software dedicati come Geogebra, ma va usata con grande attenzione da docenti preparati.
Se le chiedessimo cosa c’entra la matematica con la realtà che ci circonda?
Hardy, un matematico del XIX secolo, nell’incipit del libro Apologia di un Matematico diceva che il suo libro non si sarebbe occupato di spiegare l’utilità della matematica perché… sarebbe stato superfluo, tanto era evidente a tutti. Non mi spiego come mai a distanza di due secoli tale consapevolezza diffusa sia scomparsa, a dispetto della crescente importanza della matematica nella vita di tutti i giorni. L’intelligenza artificiale, le carte di credito, le app di messaggistica (WhatsApp, Telegram…), la moneta virtuale (bitcoin), il modo in cui Amazon ci “suggerisce” le cose che vorremmo comprare (Ma mi spia? No, usa la matematica), la Brexit (referendum vinto dalla matematica con l’aiuto di Cambridge Analytica), il cellulare, il mutuo, gli investimenti finanziari, gli acquisti a rate, l’organizzazione del traffico aereo e terrestre, la logistica della grande distribuzione… persino nelle arti, a cominciare dalla musica o dalla pittura (la prospettiva, per esempio) c’è tantissima matematica. Faccio più fatica a trovare qualcosa che non c’entra con la matematica… forse noi matematici, ahimé, siamo poco bravi a comunicare.
Chi è
Roberto Pignatelli, nato a Bari nel 1971, ha studiato Matematica alla Scuola Normale Superiore di Pisa e all’Università di Pisa. Dopo alcune esperienze all’estero, è al Dipartimento di Matematica dell’Università di Trento dal 2003, dove è oggi titolare di una cattedra di Geometria.