Acqua. Quanto ci sta a cuore?

Un danno all’immagine della farfalla del Trentino: una farfalla con ali sempre più pesanti e sporche. Ci volevano i francesi per dare la sveglia. Non bastavano le contestazioni sulla gestione dell’orso nei boschi e in montagna. Non bastavano il bypass ferroviario che attraverserà Trento da parte a parte, i veleni delle aree contaminate dell’ex Sloi ed ex Carbochimica, il materiale di risulta degli scavi del cantiere milionario da destinare alla discarica di Sardagna, il cementificio di Sarche che produce davanti al Distretto Biologico della Valle dei Laghi. Non bastavano le inchieste sul traffico di rifiuti tossici provenienti dal Centro e Nord Italia e che avevano come destinazione finale la Valsugana trentina (l’indagine della Procura e del Corpo forestale dello Stato affonda le radici nel 2007 e i rifiuti sono ancora là, basta fare una breve ricerca online per averne conferma). Non bastava l’uso massiccio di pesticidi in Val di Non ma in realtà in tutto il Trentino. Adesso a sporcare l’immagine di questa terra baciata dalle Dolomiti e dall’autonomia speciale ci sono anche i Pfas. Stiamo parlando di sostanze perfluoroalchiliche, impermeabilizzanti usati dalla grande industria e presenti anche nel magico Trentino. Parliamo di sostanze che servono per rendere idrorepellenti pentole, tessuti sportivi, pellicole. Sono utilissimi e, se rilasciati nell’ambiente, entrando in contatto con gli esseri viventi, pericolosissimi. Sono l’inquinante perfetto: inodori, incolori, insapori e indistruttibili. Sono ovunque e, a “sorpresa”, anche qui da noi. Un danno all’immagine, alla vetrina… un danno alla sostanza, a ciò che c’è oltre la vetrina: è un danno all’ambiente, al territorio, all’acqua che è vita. E ci sono dei colpevoli, con nomi e cognomi. 

Il problema Pfas è tristemente noto in Italia per il “caso Miteni”, la società che aveva il centro di produzione a Trissino (Vicenza) e che è finita sotto la lente della magistratura perché, negli anni, si è rivelata essere a capo della più grande contaminazione ambientale registrata in Italia negli ultimi decenni. Con il rilascio dei Pfas nell’acqua e nel terreno è stata infatti compromessa una falda idrica grande come il Lago di Garda, la seconda più grande in Europa. Al momento sono sotto processo 15 ex manager Miteni. I reati contestati sono disastro innominato e inquinamento delle acque. In Veneto, fra le province di Vicenza, Padova e Verona, la questione è di enorme attualità, anche perché queste sostanze sono finite anche nell’acqua potabile. Per anni le famiglie si sono bevute quei contaminanti. Hanno usato quell’acqua anche per cucinare, per lavarsi. Le aziende agricole l’hanno usata per irrigare i campi e per abbeverare il bestiame (ricordiamo che quel pezzo di Veneto è uno dei granai d’Italia; parte del cibo che arriva sulle nostre tavole arriva da quelle zone). Ora la Regione Veneto ha messo dei filtri a carboni attivi e sta facendo dei lavori per portare acqua pulita da altre zone, ma tanti cittadini – che avevano dato fiducia agli amministratori pubblici – non si fidano più, continuano quindi a bere acqua in bottiglia, che usano anche per cucinare. E comunque ci sono delle zone in cui si continua ad utilizzare acqua di pozzo, quindi contaminata. Il problema in Veneto oggi riguarda 300mila famiglie e, in prospettiva, 800mila. Ma perché parliamo del Veneto? Per spiegare che con i Pfas non si scherza. Sono all’origine di tumori, infertilità, sviluppo anomalo dell’apparato maschile dei bambini (il cosiddetto “scroto disabitato”), patologie della tiroide e del sistema nervoso centrale.

Dove c’è la discarica Maza si sta lavorando ad un collegamento viario considerato strategico: il collegamento Loppio-Alto Garda. Lavori in corso, l’idea è di non rallentare il cantiere per nessuna ragione

Il problema Pfas in Trentino è ben lontano da quello del vicino Veneto, perché le concentrazioni non sono le stesse e perché i perfluoroalchilici non sono finiti nell’acqua di acquedotto. L’Appa (Agenzia provinciale protezione dell’ambiente) ha rassicurato. Nelle scorse settimane si è però scoperto che, a livello di tutela ambientale, le cose non sono così tranquille come siamo abituati a pensare. Insomma forse è il caso di indossare degli “occhiali da sole” per proteggerci dall’abbagliante pubblicità su carta patinata dell’azienda di promozione turistica del Trentino, che è meno sano e meno bello di quanto si immaginava. Ci sono voluti i francesi per dare la sveglia e per farci fare qualche riflessione sullo stato della nostra acqua e del nostro territorio. A fine febbraio il quotidiano “Le Monde” ha infatti pubblicato la mappa dei veleni persistenti in Europa: una cartina geografica interattiva (si trova sul sito del giornale) riguardante le acque superficiali (non i terreni e non gli acquedotti) e “viva” nel senso che i dati (pubblici, verificati e verificabili) si arricchiscono di dettagli col passare del tempo, nel senso che ne arriveranno altri per rendere ancora più nitida la “fotografia” dell’inquinamento da Pfas nel Vecchio Continente. Il sito di “Le Monde” è la piattaforma su cui ha avuto spazio un’equipe internazionale di giornalisti scientifici. Sono loro i protagonisti del “Forever pollution project”. Il rappresentante italiano di questa squadra è Gianluca Liva. «Tutto nasce da un nucleo di colleghi – ha raccontato a “Il nuovo Trentino”. Insieme a me hanno lavorato Stéphane Horel (Francia), Tim Luimes (Paesi Bassi) e Sarah Pilz (Germania). Abbiamo messo insieme tutti i dati (verificati e verificabili) che abbiamo raccolto dalle agenzie per la protezione dell’ambiente. Le Monde ha una divisione di sviluppatori di data journalism. Abbiamo unito ed elaborato i dati che erano disomogenei (ogni agenzia lavora con diversi standard, unità di misura e tempi). Abbiamo dato un ordine. Invito tutti, soprattutto i giovani, ad andare a leggerli e magari utilizzarli per fare ricerche scolastiche (…) Dal 23 febbraio continuano ad uscire articoli su questo lavoro. Ne abbiamo scritto anche sulla rivista Le Scienze. Su Radar Magazine (Liva è fra i fondatori, n.d.r.) usciranno altre mappe».

Il fronte della discarica della Maza, nel territorio comunale di Arco: ad un passo dal Lago di Garda la gestione dei rifiuti. Perché, vista l’accertata presenza di Pfas, queste sostanze non sono state rimosse?

Fino a qui la parte nazionale e internazionale. Il 3 marzo sul quotidiano “Il nuovo Trentino” abbiamo pubblicato la versione di dettaglio della mappa dei veleni: una cartina (che potete vedere anche qui sopra) in cui si mostrano le zone dove l’inquinamento da perfluorocalchilici è accertato (sulla mappa di “Le Monde”, in azzurro, si mostrano anche le aree di contaminazione potenziale, come aeroporti e aree militari dove, a causa dell’uso di schiume anti incendio che contengono Pfas, inevitabilmente questi vengono rilasciati nell’ambiente). Subito salta agli occhi il dato riguardante il Rio Salone, che passa sotto la discarica Maza nel Comune di Arco. Il rio, che fino a qualche tempo fa conoscevano solo gli arcensi, è diventato improvvisamente molto famoso e non per cose belle. Sulla mappa compare una concentrazione di Pfas molto alta 451,6 nanogrammi litro. Un’enormità, dicono i chimici. Interpellata, Appa prima ha smentito dicendo che gli unici siti di contaminazione da Pfas conosciuti sono quelli dell’area industriale ex Gallox di Rovereto (oggi di proprietà del gruppo bancario Bnp Paribas) e della Valle del Chiese (Condino). Poi ha fatto una mezza retromarcia dicendo che in realtà ha contribuito alla diffusione del dato sulla mappa, per poi arrivare a dire che in realtà quel dato è un errore materiale di Arpav (Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto) che ha fornito un dato non corretto (una cifra riferita ad altra zona, Chioggia, e ad altre questioni) ad Appa (era il 2018 e i trentini non avevano ancora strumentazioni di analisi e competenze) che lo ha comunicato ad Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale), che è poi rimbalzato sul sito di “Le Monde”. Fatto sta che in cinque anni non è stata cambiata la cifra: nessuna correzione. Il caso è finito in consiglio provinciale a Trento, dove l’assessore all’ambiente Mario Tonina – relazione Appa alla mano – ha parlato di allarmismo e di giornali che amano pubblicare “notizie scandalistiche”. Una linea, quella del racconto sui giornali bugiardi, che ha seguito in consiglio comunale a Villa Lagarina (dove i rilievi degli anni successivi hanno evidenziato la scomparsa dei Pfas) e in consiglio comunale ad Arco. Tutta colpa della stampa insomma. Solo che ad Arco i Pfas ci sono eccome e non si tratta solo di qualche traccia. Nella discarica Maza nella primavera 2019 sono stati individuati 6000 nanogrammi/litro di una famiglia di Pfas. Ma, analizzando il rapporto di prova, si vede che in realtà la concentrazione è maggiore: considerando anche le molecole più pericolose (Pfos e Pfoa) si arriva a quota 7800 nanogrammi/litro. L’opera a base di camomilla, messa in atto dall’assessore provinciale Mario Tonina e dai suoi tecnici, è una “missione impossibile” perché a parlare sono le carte. E cosa dicono? Dicono che i tecnici Appa che quel giorno di aprile hanno controllato l’autobotte con il percolato proveniente dalla discarica di Arco hanno fatto bene il proprio mestiere. Prima che il liquido prodotto dai rifiuti venisse travasato nel depuratore di Rovereto hanno fatto delle analisi per verificare che non ci fossero gli indistruttibili Pfas. Queste sostanze non possono essere fermate dai filtri del depuratore. Una volta arrivate là non possono essere depurate e quindi vengono sversate nelle acque del fiume Adige. Disperse nell’ambiente, diluite, ma non eliminate. La legge non dice nulla in materia di percolato e quindi “tutto a posto”. Ci penserà qualcun altro. Il problema, una volta che tutto finisce nel fiume, riguarda gli ignari “vicini di casa” (in questo caso i veneti).

La mappa interattiva pubblicata dal quotidiano francese “Le Monde”. In rosso i punti di accertata contaminazione da Pfas. In azzurro i punti di contaminazione potenziale. La cartina dei veleni è online: nella foto grande si vede “il quadro trentino” (www.lemonde.fr)

Ma la Provincia autonoma di Trento, con i suoi tecnici e i suoi servizi, è incolpevole? Poteva fare qualcosa? Cominciamo col dire che il depuratore e la discarica sono in capo all’Adep (Agenzia provinciale per la depurazione) quindi non ci sono dubbi circa le competenze. E Appa? Sono tre le domande a cui non si è data risposta, né nei consigli comunali di Villa Lagarina ed Arco né tanomeno in consiglio provinciale dove il vicegovernatore Tonina si è limitato a leggere una tranquillizzante nota tecnica condita da interessanti considerazioni riguardanti la stampa. E le domande sono queste: 1) se nel percolato sono state individuate concentrazioni così importanti di Pfas (per conferma chiedete ad un qualsiasi chimico che che si è occupato del dramma Miteni in Veneto), perché l’Agenzia per la protezione per l’ambiente del Trentino non ha provveduto a fare ulteriori analisi? 2) perché non ha dato tempestiva comunicazione alla popolazione di Arco, magari al sindaco che davanti alla legge è il responsabile della difesa della salute dei suoi cittadini? 3) se quell’autobotte piena di percolato e di Pfas ha sversato tutto nell’impianto di depurazione che non può depurare i Pfas, quanti perfluoroalchilici sono stati buttati nel fiume dopo quel controllo?  

Arco vista dalla zona della Maza

In una terra che un giorno sì e l’altro pure racconta e si racconta di essere un esempio per il resto dello sciagurato Paese l’impressione è che, di fronte ai problemi, ci si giri dall’altra. Solo che i problemi, a forza di nasconderli, si accumulano. A forza di mettere la polvere sotto il tappeto, il tappeto c’ha le gobbe. E non è – lo diciamo per chi leggendo queste parole pensa alle elezioni provinciali che ci aspettano in autunno – una questione di destra o sinistra, ma di sistema, di tecnocrazia. Il sottotesto pare essere: “Lascia stare! Si è sempre fatto così”. Ed è così che si accumulano i veleni, in questo caso i Pfas. Sono passati quattro anni da quando si è saputo che queste sostanze pericolose sono presenti nella discarica Maza di Arco. Silenzio assordante. Si sente solo il rumore delle ruspe che lavorano alacremente nel cantiere che tange proprio la discarica. Parliamo del collegamento viario, in buona parte in galleria, Loppio-Alto Garda: un’operazione che, di soli lavori, vale 125 milioni di euro. Danno fastidio i Pfas e chi ne parla. A fronte della scoperta della loro presenza, si sarebbe potuto fare un monitoraggio. Questo controllo non c’è stato e non c’è. Si è fermi ad un’unica analisi del percolato, quella del 2019, ma niente altro. Il punto di questa vicenda è che la bonifica in corso alla Maza di Arco non prevede la ricerca e rimozione dei Pfas. Per toglierli bisogna cercarli e questo ovviamente richiede tempo. Si tratta quindi di una “bonifica a metà”. Nella discarica dovrebbe essere cercata la fonte della contaminazione. In consiglio comunale ad Arco i tecnici ambientali che rispondono al dirigente generale Enrico Menapace – che risponde alla giunta provinciale che risponde agli elettori trentini – hanno dichiarato che la concentrazione “eccezionale” di Pfas è forse dovuta ad un inquinamento storico, dovuto forse al rilascio dal pentolame (il teflon è realizzato coi Pfas). Ma quanti tir di pentole e tegami con teflon sono stati scaricati per arrivare ad una concentrazione di 7800 nanogrammi/litro? I chimici ed esperti ambientali interpellati dalla redazione de “Il nuovo Trentino” hanno detto che quel livello, che è elevatissimo, non può che essere frutto del deposito di liquido industriale. Arrivato quando? Da dove? Non si sa. Negli incontri pubblici non viene detto. Ciò che sappiamo noi è che quando i rifiuti vengono trasportati questi viaggiano con un codice identificativo. Si chiama Cer (Codice europeo dei rifiuti) ed è una sorta di “passaporto” delle sostanze depositate: il Cer ci dice da dove provengono quei materiali. Altra cosa che sappiamo oggi è che il percolato prodotto dalla Maza, una volta trattato, è finito e finisce nel fiume Adige (e prima nel depuratore del Linfano e quindi nel Sarca e quindi nel Lago di Garda). Insomma con la diluizione di una sostanza pericolosa – che non doveva esserci, che non si sta cercando e che non si sta eliminando – abbiamo “risolto i problemi”, almeno per oggi. Il pericolo non riguarda la salute di noi oggi ma del nostro ambiente domani. Attualmente c’è un progetto di messa al bando degli inquinanti organici persistenti. Detto ciò, il regolamento 1021/2019 vieta la diffusione nell’ambiente di queste sostanze. L’acqua ringrazia.

Il libro

L’autore di questo servizio, Andrea Tomasi, ha scritto anche un docu-romanzo ispirato alla video-inchiesta «Pfas, quando le mamme si incazzano». Sostanze perfluoroalchiliche scoperte nella falda acquifera in Veneto, tracce presenti anche in Lombardia, Piemonte, Toscana… Lo choc di chi crede di vivere nel “migliore dei mondi possibili” e invece realizza che proprio l’acqua, la fonte della vita, è inquinata con i rifiuti tossici di un’azienda che opera indisturbata. Prende le mosse da questi fatti e queste emozioni Le insospettabili che rapirono Salvini, il docu-romanzo che vede protagoniste quattro donne, quattro mamme che attraverso un’azione eclatante vogliono imporre all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica il dramma di chi vive in un territorio contaminato. Salvini è l’ostaggio ideale: prigioniero in un vecchio camper, viene portato in tour da nord a sud. Il rapimento è invenzione, la contaminazione è realtà. Un racconto on the road tutto al femminile, in cui si intrecciano tragedia e comicità, e che è anche un omaggio a quelle mamme che da anni si battono affinché venga fatta giustizia.

Andrea Tomasi, Le insospettabili che rapirono Salvini, Terra Nuova, pag. 260 €  15

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Pubblicato da Andrea Tomasi

Giornalista e documentarista, si occupa di ambiente, salute e incazzature varie. È autore di libri e docufilm: "Fotocamera con Vista" (Il Margine, 2009), "La farfalla avvelenata" (Città del Sole edizioni - 2012), "Veleni in paradiso" (docufilm - 2014), "Un filo appeso al cielo" (docufilm - 2016), "Pesticidi, siamo alla frutta" (docufilm - 2018), "Pfas, quando le mamme si incazzano" (docufilm - 2019), "Donne Dolomitiche" (Accademia della Montagna - Tms, 2020). Il su oultimo libro è "Le insospettabili che rapirono Salvini" (Terra Nuova edizioni, 2022).