Ciao Marco, “pittore selvaggio”! 

Era il 2 settembre del 1943 quando i bombardieri alleati, sorvolando il monte Bondone, giunti dal Garda, spianarono il rione popolare della Portèla. Marco Berlanda aveva 11 anni: la casa dei Berlanda, all’angolo con Via Roma rimase in piedi, ma danneggiata dagli scoppi, crollò qualche settimana dopo. Lui con i suoi famigliari fuggì: tra le urla della gente terrorizzata, i lamenti dei feriti, il polverone accecante, la montagna di macerie, i cadaveri lacerati e sfigurati. A distanza di anni, preso in cura per problemi nervosi i medici dissero che non sarebbe mai guarito completamente dalle conseguenze di quel trauma. Diventerà pittore, soprattutto di dolorose figure espressioniste. Gli uomini e le donne in quei quadri non cercano di sorridere, digrignano i denti… Lui ha avuto una lunga vita, è resistito a lungo: vecchio alpino che non mancava mai alle manifestazioni se n’è “andato avanti” a 90 anni. Via dal suo laboratorio alle Androne (“la Tana del Lupo” la chiamavo io), nel quale aveva lavorato sino a qualche mese prima della sua scomparsa; via dalla amata moglie Rita, sua coetanea, ospite di una casa di riposo (li avevano ricoverati assieme, dopo che Marco era crollato al suolo nel suo laboratorio). 

Vi passavo quasi ogni giorno, tra l’odore di terre e smalti, trementina e colle, cartoni, tele e lastre di zinco, in un apparente disordine in cui solo lui si orientava. Lo osservavo mentre lavorava al suo ultimo quadro, sovrapposizione su cartone di innumerevoli strati di materiale. Perché Marco, a modo suo, guidato da un istinto feroce, era un artista sperimentale. Mariano Fracalossi lo accolse ai corsi pittorici delle Arti Visuali, in un allor dissestato palazzo Roccabruna, dove Marco, lasciato il suo lavoro di impiegato all’ENEL alle cinque del pomeriggio, arrivava per primo, apriva con le chiavi che gli avevano affidato e, mangiato un panino, impugnava il carboncino come un pugnale, cominciando a lavorare selvaggiamente, rifugiandosi negli scantinati per non essere disturbato, disegnando anche fino a mezzanotte. Finché gli sanguinavano le dita e si temeva per la sua salute…

Mentre la maggior parte di chi vede quei primi lavori li guarda con perplessità o li rifiuta per la loro apparente “rozzezza”, Fracalossi è un estimatore di Berlanda e gli organizza le prime mostre nella Galleria che dirige, la ”Fogolino” e, fuori regione, a “Il Bacchiglione”di Vicenza. In quell’occasione scrive, magistralmente, parlando di “un’ingenua ignoranza nei confronti dei modelli, per essere candidamente irrispettoso nel confronto dei soggetti”. E ancora: “Allora ogni cosa si ritrova, si scioglie in immagini inusitate, disinvolte, circolari nei segni, scandite da un colore sobrio e registrato su pochi toni a stesura, giallo, grigio, rosso e blu, libere, spavaldamente innocenti, disarmanti e sconvolte nelle forme, però nuove perché diverse, vive perché sicuramente attive”. 

Arriva il 1995 e una serie di valenti critici (Luigi Serravalli, Renzo Margonari, Dino Formaggio) parlano della pittura del nostro Marco. Formaggio, filosofo e storico dell’arte contemporanea, docente di estetica all’Università di Padova, creatore del Museo di Arte Contemporanea a lui intitolato, è quello che ha analizzato più a fondo la pittura di Berlanda, apparendo letteralmente innamorato della sua produzione. Di lui scrive: ”Classificato naïf senza esserlo, primitivo ma non primitivista, visto che non fa il verso al primitivo, non recita da selvaggio come non recita da ingenuo naïf tra troppi furbastri di questa categoria, poiché tutto in blocco, vita e pittura, selvaggio e primitivo autentico egli è, e lo è con tutta la sua natura, con tutta la corposità dei suoi gesti, dei suoi segni, dei suoi colori, né potrebbe anche per un solo istante essere altrimenti.” 

Con il 2000 il nostro Marco incassa prestigiosi riconoscimenti: del 2005 è la pubblicazione presso la TEMI della mia monografia dal titolo “Marco Berlanda pittore selvaggio“, una monografia di 125 pagine, la prima su questo artista, a tutt’oggi è rimasta unica, supportata dal mecenatismo di Mauro Giacca (allora giovane imprenditore di costruzioni elettriche, che diventerà poi “patron” dell’A.C. Trento, portandolo in Serie C) e che scrive in premessa: “La nostra è una modesta e giovane azienda, ma con la passione per l‘arte e la cultura”). 

Mi contattò l’anno seguente Marcello Camillucci, direttore della Galleria Civica e, assieme, organizzammo nel Foyer del Centro Santa Chiara una grande esposizione, la più vasta e importante mai dedicata a Marco Berlanda. Dove figuravano i suoi ritratti “feroci”; i suoi paesaggi “ubriachi”; i suoi quadri di arte sacra primitivamente misteriosi; le sue puntesecche visionarie. Fu una rivelazione per chi ancora non conosceva questo singolare artista, una consacrazione. 

Vorrei concludere questo mio ricordo di Marco rispondendo a una domanda: Berlanda è stato un pittore naïf? Scrive Formaggio: ”Berlanda non è un naïf, almeno nel senso che egli non riuscirebbe mai a frequentare terreni resi innaturali (come ormai spesso succede) da inquinamenti commerciali e industriali.” Quanto al mio parere, penso che possa essere considerato un naïf al venti per cento: come quando, nel suo horror vacui riempie le piazze vuote di ingenui omini, quasi avesse paura del vuoto e li chiamasse a fargli compagnia. Per il restante 80% è un enorme artista, espressionista e surreale, visionario e commoventemente umano.

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Pubblicato da Renzo Francescotti

Autore trentino dai molti interessi e registri letterari. Ha al suo attivo oltre cinquanta libri di narrativa, saggistica, poesia in dialetto e in italiano. È considerato dalla critica uno dei maggiori poeti dialettali italiani, presente nelle antologie della Garzanti: Poesia dialettale dal Rinascimento a oggi (1991) e Il pensiero dominante (2001), oltre che in antologie straniere. Sue opere sono tradotte in Messico, Stati Uniti e in Romania. Come narratore, ha pubblicato sei romanzi: Il Battaglione Gherlenda (Paravia, Torino 1966 e Stella, Rovereto 2003); La luna annega nel Volga (Temi, Trento 1987); Il biplano (Publiprint, Trento 1991); Ghibli (Curcu & Genovese, Trento 1996); Talambar (LoGisma, Firenze 2000); Lo spazzacamino e il Duce (LoGisma, Firenze 2006). Per Curcu Genovese ha pubblicato Racconti dal Trentino (2011); La luna annega nel Volga (2014), I racconti del Monte Bondone (2016), Un Pierino trentino (2017). Hanno scritto prefazioni e recensioni sui suoi libri: Giorgio Bàrberi Squarotti, Tullio De Mauro, Cesare Vivaldi, Giacinto Spagnoletti, Raffaele De Grada, Paolo Ruffilli, Isabella Bossi Fedrigotti, Franco Loi, Paolo Pagliaro e molti altri.