L’incontro è appena giunto al termine. Le tenniste si sono date battaglia in una cornice da sogno, gli spettatori paganti hanno esultato durante i loro scambi più concitati. Il campo è uno dei più prestigiosi al mondo, il Philippe-Chatrier di Parigi. Il torneo, uno dei più blasonati. Si tratta infatti di uno dei tornei del Grande Slam, il Roland-Garros, con una storia ultra centenaria. Dopo l’ultimo colpo, è consuetudine per i tennisti, avvicinarsi a rete per scambiarsi una stretta di mano, per congratularsi con l’avversario per la battaglia sportiva appena trascorsa. Una rottura di questa consuetudine è di norma molto rara, visto il più delle volte come una mancanza di spirito sportivo. Eppure, questa volta la situazione sembra essere diversa.
Una delle due tenniste nello scenario in questione è la bielorussa Sabalenka, all’epoca numero 2 della classifica WTA. La sua avversaria, dall’altra parte della rete, è l’ucraina Svitolina, ex numero 4 della stessa classifica, poi scivolata nelle retrovie in seguito alla sua prima gravidanza. Al termine dell’incontro, la bielorussa si è avvicinata a rete, attendendo l’avversaria per complimentarsi per l’incontro da lei appena vinto con il punteggio di 6-4 6-4. L’ucraina, però, ha deciso di dirigersi direttamente verso la postazione dell’arbitro, per poter stringere a lui la mano.
Da una parte il pubblico ha fischiato. Molti, invece, hanno supportato la tennista ucraina, convinti che la guerra non si combatta soltanto con armi atte ad offendere, ma anche con gesti politici come questo.
La guerra è un qualcosa che, nel mondo di oggi, per le persone privilegiate che non hanno mai dovuto averci a che fare, sembra un qualcosa di estremamente assurdo e lontano, una dinamica difficilmente spiegabile.
Decidere di non stringere la mano è a tutti gli effetti un atto politico. Essendo in questo caso giudicabile come una politica bellica, può essere visto a livello concettuale come un vero e proprio “atto di guerra”. In un’epoca nella quale si è sempre più portati a considerare i confini come un qualcosa di vetusto e superabile, discriminare una persona per il suo paese d’origine sembra essere un passo indietro. Per quanto sia vero che la guerra non si fa con i fiori e con i gesti d’amore, decidere di non stringere la mano appare una scelta che va nella direzione opposta alla pace.
Come da lei detto in conferenza stampa, Aryna Sabalenka di professione è tennista. Non militare, non politico, non giornalista. Tennista. E in quanto tennista, il suo ruolo è quello di giocare a tennis. Sono molti gli esempi di sportivi che hanno, attraverso i loro gesti, portato a cambiamenti importanti. L’istantanea dei guanti neri alzati dagli atleti a Messico ‘68 come protesta per i diritti civili delle persone di colore, rappresenta una delle foto più famose del secolo scorso. Quel che è importante ricordare, però, è che questi gesti sono una possibilità, non un dovere. Nella società odierna appare sempre più importante schierarsi, prendere una posizione che, il più delle volte, si rivela essere più uno stare contro qualcosa che a sostegno di una causa vera e propria.
Sarebbe complesso oltre che inutile trovare posizioni giuste e sbagliate in questa storia. Quel che forse appare, però, è che il contesto nel quale Svitolina ha deciso di combattere la sua battaglia può non essere quello migliore per i suoi intenti di pace. Non stringendo la mano ad una persona che, di diverso rispetto a lei, ha quasi unicamente il luogo di nascita, con ogni probabilità non sposterà alcun equilibrio bellico. Anzi, aiuterà ad accrescere un clima di stigma tra persone comuni, che di questa guerra non ne vorrebbero nemmeno sentire parlare, figuriamoci sostenerla. Le strette di mano non faranno vincere a nessuno nessuna guerra, però almeno aiuteranno a ricordare che siamo tutti simili, figli di nazioni diverse nati sotto lo stesso cielo. E se c’è un modo pacifico per combattere la bruttura della guerra, quello è forse far fiorire la propria umanità.