Studi giuridici secondo la tradizione familiare, il praticantato da avvocato nello studio del padre, la decisione di lavorare in ambito finanziario che è significato iniziare dallo sportello della banca per poi crescere un passo per volta fino a diventare, a 40 anni, uno dei private banker più riconosciuti d’Italia. Luigi Pompeati Marchetti è nato e cresciuto a Trento, dove ha deciso di continuare a vivere anche se la sua carriera in banca Mediolanum lo porta spesso a lavorare in altre città, da Bolzano a Firenze, da Milano a Modena.
Chi è un private banker?
Si tratta di una figura professionale piuttosto ricercata nel settore finanziario. Mi occupo di gestire grandi patrimoni, offro consulenze sugli investimenti, aiuto i miei clienti a orientarsi per prendere le decisioni migliori riguardo al loro patrimonio. Non ho le risposte a ogni cosa, è evidente. Ma l’importante non è risolvere il problema nell’immediato, piuttosto sapere che il problema esiste. La consapevolezza è la base per la ricerca di soluzioni.
Un passo indietro: da dove si comincia?
Ognuno ha la sua carriera, il mio percorso è iniziato con studi giuridici: sia mio padre che mio nonno sono avvocati, un tentativo andava fatto. Ma non era la mia strada. Ho fatto la pratica nello studio di mio padre e dopo due anni, nel 2006, ho deciso che avrei lavorato in banca. Mi interessava il settore finanziario ma farlo capire alla mia famiglia e alle banche che selezionavano personale non è stato facile. Il mio profilo risultava poco convincente: il cognome raccontava storie di avvocati e i miei studi le assecondavano. È servita determinazione e disponibilità ad imparare e fare tutta la strada: ho iniziato facendo lo sportellista per crescere un passo alla volta. L’ambiente è meritocratico, se sei capace vai avanti. Per me questo era fondamentale. Ho iniziato a lavorare in Mediolanum subito, ero determinato nel voler fare carriera e quindi ho scelto un’azienda che mi garantisse possibilità di crescita. Mio padre non era inizialmente felice delle mie scelte, ora ha decisamente cambiato idea!
E gli studi giuridici?
Devo dire che la mia laurea in giurisprudenza è stata molto utile alla mia carriera in banca: mi occupo per lo più di finanza giuridica, una specializzazione che non sarebbe stata possibile con altri titoli di studio. Il mestiere di avvocato proprio non faceva per me. In realtà questo era già scritto nella mia tesi di laurea: per la mia ricerca, mi sono occupato infatti del sistema bancario nell’antica Roma. Quando dissi a mio padre il titolo della mia tesi: credo fu quello il momento in cui capì che non avrebbe avuto un figlio avvocato. O forse ancora prima. Quando da bambino mi chiedevano cosa volessi fare da grande rispondevo «il benzinaio»: mi affascinava l’idea di avere sempre un borsello pieno di banconote.
Quali sono le caratteristiche più importanti per un private banker?
Credo la cosa più importante sia la capacità di astrazione. Il denaro va gestito secondo la redditività del patrimonio, certamente, ma non si può prescindere dalla contestualizzazione. Che età hanno i clienti? Qual è la realtà in cui sono inseriti? Qual è l’andamento del mercato e quali previsioni sono disponibili? Sono queste le domande che mi devo continuamente porre. Senza assolutamente tralasciare tutta quella parte di immaterialità del patrimonio che è affettivo ed emotivo. Non si prescinde dalla relazione. Anzi, direi che per me è la dimensione principale, dedico molto tempo a conoscere bene i miei clienti e non è raro che si instaurino rapporti di amicizia. Divento una persona di fiducia e mi rendono spesso partecipe delle vicende della famiglia! Credo accada perché considero questa la parte più importante del mio lavoro ma anche perché è davvero quella che preferisco. Avevo questo approccio con i clienti anche quando lavoravo allo sportello e ho capito il valore di questo metodo quando ho lasciato quell’attività per dedicarmi al mondo private: i clienti erano dispiaciuti che me ne andassi e al tempo stesso felici per il mio scatto di carriera. È stata una bella conferma.
Vince la relazione anche nel tempo della spersonalizzazione dato dalle nuove tecnologie? Anche il settore bancario è piuttosto mutato con la rivoluzione digitale…
Sono certo di sì. La relazione viene prima di tutto e sono convinto che dovrebbe essere così non solo nel settore private ma anche in quello più tradizionale. Oggi paradossalmente quelli che hanno più bisogno di relazione sono i giovani. Quando mi relaziono con le famiglie chi apprezza di più il mio approccio e mostra più esigenza di relazione sono proprio i più giovani: credo considerino la cosa molto più “strana” rispetto ai loro genitori che vengono da un tempo in cui era “normale” avere relazioni umane più dirette, anche nel mondo della finanza. La presenza fisica, il tempo dedicato al cliente sono considerati un grande valore, i ragazzi addirittura se ne stupiscono.
A 40 anni è uno dei private banker più ricercati del Paese: una carriera che lo ha portato velocemente in una posizione molto importante. E adesso?
In questo momento crescere ulteriormente significherebbe trasferirmi a Milano, lasciare il Trentino e perdere la relazione diretta con i clienti. Ma per ora queste sono cose che non sono disposto a negoziare, sia in termini professionali che personali. Credo di poter dare qualcosa ancora a questo territorio: ho fatto carriera qui, mi piacerebbe ora creare qualcosa, in una logica di scambio. Il Trentino è un luogo dove c’è un benessere diffuso ma mancano i grandi patrimoni: in questo senso non c’è grande concorrenza nel settore private e il terreno è fertile per fare questo lavoro come preferisco, valorizzando le relazioni. Ho clienti anche in altre città e intendo continuare a curarli ma ho scelto di vivere in Trentino. Conosco altri professionisti che hanno fatto scelte simili: mi vengono in mente importanti medici che hanno scelto di lavorare a Trento, rifiutando offerte da cliniche di altre città che li pagherebbero il doppio. Qui però sostengono di vivere la relazione garantita dagli spazi piccoli, la corsia, la dimensione umana del lavoro.
Come si investe in Trentino?
Il comportamento dei trentini è in linea con quello italiano, purtroppo governato da una grande confusione. Gli investimenti si basano sui tassi di interesse ma in questo momento i tassi sono a zero e quindi sembra che nulla sia più redditizio. Credo che proprio per questo motivo sia fondamentale una consulenza perché non esiste una ricetta precisa o una risposta che vada bene ber tutti: come dicevo, il contesto, le relazioni, l’età, lo stato di una famiglia, determinano la strada da seguire. Il private banker si occupa di grandi patrimoni ma, visto il momento economico che stiamo attraversando, sarebbe importante valutare la possibilità di un consulente anche per patrimoni minori. C’è grande necessità di azioni “su misura” per evitare disastri.
Una ricetta non c’è ma esiste una domanda che ogni investitore dovrebbe farsi?
Credo ci si debba porre sempre il problema della perdita. Se il mercato va bene, andrà tutto bene. Non è necessario considerare la possibilità di un andamento positivo. Serve considerare il contrario, quindi la domanda giusta credo sia questa: se il mercato andasse male, come fare a minimizzare la perdita in un orizzonte temporale prestabilito e condiviso? Bisogna considerare sempre il patrimonio come qualcosa da proteggere.
Un private banker ha tempo libero?
Diciamo che il concetto di tempo libero è liquido! Il mio lavoro è un’attività molto libera: gli impegni possono essere una cena o una giornata allo stadio. È difficile considerare lavoro questo genere di impegni, a me piace passare il tempo con i miei clienti. Ho rapporti d’amicizia con loro. E, nonostante tutto, ho una moglie e coltivo interessi che poco hanno a che vedere con la finanza.
Per esempio?
Per esempio adoro il calcio, amo le vacanze al mare e mi piace molto cucinare. Mi definirei un cuoco capace, che adora le sfide. Non preparo la pasta al pomodoro, mi piace confrontarmi con ricette complicate. Il mio piatto forte è la carne. Un piatto su tutti: l’ossobuco alla milanese, con la ricetta tradizionale.
Ama vivere a Trento e allo stesso tempo le vacanze al mare?
Proprio per l’abitudine di stare tra le montagne, il mare mi dà il senso della vacanza. È un orizzonte aperto che mi rilassa molto.
Un’ultima domanda: che lavoro avrebbe fatto se non quello che ha scelto?
Credo avrei seguito la mia passione per la cucina e avrei aperto un ristorante. Oppure avrei fatto il giornalista: mentre studiavo, la mia passione per il calcio mi ha portato a scrivere sulle pagine sportive. O il numismatico, visto il mio interesse per le monete antiche.