Fantasmagorie pittoriche di Giulia Tamanini

Racconta Giulia: “Quando mio nonno – che a tempo perso restaurava scrostati capitelli – mi chiedeva che cosa volevo fare da grande, rispondevo: la pittrice. “Varda che co la pittura no se magna!“ Anche se non in assoluto, aveva ragione lui, se è vero che l’arte avrebbe lasciato morire di fame Giulia, mentre dal 2010, è proprietaria a Caldonazzo della ben avviata “Le Garuda Erboristeria Olistica”, che gestisce assieme alla sorella minore, Claudia. La “zoca” dei Tamanini (in maggioranza gente di successo in cui non mancano artisti) è a Vigolo Vattaro. Pure la famiglia di Giulia Tamanini viene di lì, anche se lai è nata all’ospedale S. Chiara di Trento, all’inizio della primavera del 1985 e abita a Caldonazzo, paese in cui i pittori – non solo la dinastia dei Prati – spuntano come i finferli. 

Lei è una pittrice ambidestra, vale a dire che può dipingere anche con la sinistra. (Se è lecito un riferimento personale mi viene in mente il folgaretano Florian Grott, figlio del grande Cirillo, scomparso prematuramente, il quale mi fece un ritratto, dipingendolo con la sinistra perché si era infortunato la destra cadendo in moto. In seguito mi fece un altro ritratto, con la destra; ma a mio avviso, è più bello, con maggior forza il precedente).

“Ero mancina, ma la mia maestra non mi lasciava scrivere con la sinistra: così mi abituai ad essere ambidestra…”. racconta. Cresciuta, dopo la scuole dell’obbligo Giulia frequentò l’Istituto d’Arte a Trento e poi l’Accademia d’Arte Cignaroli di Verona. A Trento ebbe come insegnanti Marcello Pola (scomparso troppo presto) e Sergio Cara (disegno e progettazione): ”All’Accademia fui fortunata ad avere come docente Daniele Nalin, artista pop. Mi fece capire che quello che dovevo cercare non era la perfezione, ma la sorpresa che c’è dietro l’imprevisto. Un giorno che avevo dipinto su un foglio dei corpi, fissando il foglio su un pannello con delle cambrette. Il professore mi fece staccare il foglio e appoggiarlo sul pavimento, e ci versò sopra l’acqua sporcata dei colori con cui si risciacquavano i pennelli. Avevo le lacrime agli occhi per come mi aveva guastato il mio capolavoro. Aspetta domani e vedrai, mi disse Nalin. L’indomani restai sorpresa di come si era trasformato il mio disegno. Fui molto colpita. Conclusi che dovevo mettere da parte tutto quello che avevo imparato e utilizzare tecniche nuove. Partii dal bianco, poi dal bianco e nero, dal rosso e progressivamente conquistando gli altri colori. È lì che è iniziata la mia pittura!” 

Una pittura non facilmente decifrabile, onirica e simbolica, astratta e figurativa contemporaneamente; dove le figure umane che si fanno strada tra macchie di colore non mancano quasi mai, una pittura in cui l’artista dipinge frecce direzionali per indicarci piste da percorrere, se lo vogliamo seguire nelle sue esplorazioni. Giulia è apparsa con le sue opere in numerose esposizioni personali e collettive, sia in Italia che all’estero: ha esordito molto giovane (a 22 anni) con una personale nella sua Caldonazzo, al Centro d’Arte La Fonte nel 2007. Ha proseguito, con altre personali (solo per citarne alcune), assieme a Marta Maldini alla Galleria Modenarte di Venezia nel 2008. L’anno seguente all’esordio, si è presentata in una mostra curata da Daniele Nalin ( sì, quello che annacquò con l’acqua di lavaggio dei pennelli un suo lavoro all’Accademia…) Nel 2010 fu con Marta Maldini alla Galleria Modernarte di Venezia; nel 2011 Restando nel campo delle personali è stata a Trento nel 2015 con una mostra dal titolo “Dieci tele in Nove Alfieri”. In collettive si è presentata anche all’estero: ad esempio a Tokyo nel 2009, in Italian Feelings, un’esposizione portata anche a New York; a New York nel 2009-2010 con Re Made in Italy espose al Javitz Convention Center e, nello stesso anno, in una mostra dal titolo 4 Your Eyes & not Only, a Berlino. Negli anni 2005/06 Giulia lavorò ad acrilici in cui apparivano grandi macchie scure, o piccole macchie a sciami. Era un modo di elaborare il lutto per la scomparsa di una sua grande amica. Uscì dalla crisi dopo un paio d’anni riconquistando il colore, attraverso tessere fotografiche riprodotte su tela, cucite assieme con la macchina da cucire (molto femminile…), seguendo l’ispirazione del momento: ”Questa mia ricerca mi servì anche per la mia tesi di laurea che aveva come tema la ricerca sul senso della vista che attraverso l’inflazione delle immagini domina la nostra epoca…”.

Sul finire dell’Accademia, nel 2008, la Tamanini, con Adriana Agostini, collega d’Accademia, realizzò un video della durata di un minuto. Da questo e da altri video traeva fotogrammi che poi sviluppava in quadri in cui le figure sono sempre presenti. 

Nel 2012, con colui che doveva diventare suo marito, visitò il Nepal: un viaggio che finì col trasformarsi in un pellegrinaggio: ”In quel Paese vissi un salto sia umano che artistico. In una città come la capitale Katmandu c’è il caos totale. Svolti l’angolo e sei nel silenzio più totale. C’è nella gente una spiritualità molto più profonda della nostra, diversa dalla nostra esteriore e rigida…”.

Fu così che la pittura di Giulia – a livello umano rimettendo insieme le sue parti, anche quelle più oscure, e accettandole – a livello pittorico si sviluppò in quelle che si possono definire “sequenze”: come Nepal, Sbarchi, In riva al mare… Facendo una rapida carrellata, citando alcune delle su opere più significative, possiamo scrivere che nei primi anni prevalgono le macchie: in Grammatica (2006) sono macchie scure di grandi o piccole dimensioni. In Unito (2007) le macchie ancora oscure si accostano tra di loro, si penetrano, si fondono. In Ali (2009) si sciolgono in minuti segni, in una misteriosa scrittura; appare la figura sotto la forma di una giovane donna ignuda. In Sogni (2011) le macchie scure si articolano in una serie di nere figurette femminili in atteggiamenti diversi. Due opere del 2013: la prima, Campane, raffigura due campane rese fotograficamente in aloni di luce e oscure scritture; la seconda, Segui la luce, che raffigura un barcone di rifugiati, inquadrati in una feritoia, rivela la preoccupazione etica e sociale di Giulia. Infine un’opera di quest’anno, Qui: tra delicatissime nuvole dai colori trasparenti sbuca (messaggero di cosa?), un piccolo elefante. Opere che sono anche le testimonianze oniriche, fantasmagoriche, dei viaggi e degli sbarchi di Giulia Tamanini nei territori più misteriosi che esistano: quelli celati nelle pieghe del nostro cervello.

Condividi l'articolo su:
Avatar photo

Pubblicato da Renzo Francescotti

Autore trentino dai molti interessi e registri letterari. Ha al suo attivo oltre cinquanta libri di narrativa, saggistica, poesia in dialetto e in italiano. È considerato dalla critica uno dei maggiori poeti dialettali italiani, presente nelle antologie della Garzanti: Poesia dialettale dal Rinascimento a oggi (1991) e Il pensiero dominante (2001), oltre che in antologie straniere. Sue opere sono tradotte in Messico, Stati Uniti e in Romania. Come narratore, ha pubblicato sei romanzi: Il Battaglione Gherlenda (Paravia, Torino 1966 e Stella, Rovereto 2003); La luna annega nel Volga (Temi, Trento 1987); Il biplano (Publiprint, Trento 1991); Ghibli (Curcu & Genovese, Trento 1996); Talambar (LoGisma, Firenze 2000); Lo spazzacamino e il Duce (LoGisma, Firenze 2006). Per Curcu Genovese ha pubblicato Racconti dal Trentino (2011); La luna annega nel Volga (2014), I racconti del Monte Bondone (2016), Un Pierino trentino (2017). Hanno scritto prefazioni e recensioni sui suoi libri: Giorgio Bàrberi Squarotti, Tullio De Mauro, Cesare Vivaldi, Giacinto Spagnoletti, Raffaele De Grada, Paolo Ruffilli, Isabella Bossi Fedrigotti, Franco Loi, Paolo Pagliaro e molti altri.