“Il commercio equo ha come obiettivo un profitto che si traduce in prosperità per tante persone dei paesi poveri del mondo”.
Ci accoglie così Fausto Zendron, sessant’anni ben portati, in quella vera e propria bottega della solidarietà che è Mandacarù. Siamo in Piazza Fiera a Trento, dove inizia via Mazzini, una delle vie principali del centro storico, piena di negozi e attività. Proprio a fianco del Torrione, ci sono le vetrine di un grande negozio. Apparentemente un esercizio commerciale uguale a tanti altri, in esposizione eleganti oggetti di artigianato, eppure dietro a questa normalità si nasconde una realtà veramente diversa. A svelarcela è appunto Fausto Zendron, che nella vita fa il consulente aziendale a Trento ma che dedica tutto il suo tempo libero a questa cooperativa sociale dove fa il volontario un po’ speciale, da cinque anni ne è il presidente. Ci invita ad entrare e tra gli scaffali pieni di prodotti alimentari ed artigianali si dirige, con passo deciso, verso quello del caffè, prende un pacco e me lo mostra.
“Tutto inizia da qua, da questo prodotto: il caffè UCIRI… “
è un pacco di caffè come tanti, eppure Zendron me lo mostra quasi fosse una sorta di reliquia e mi racconta la sua storia.
“Un missionario, un prete operaio olandese, Frans van der Hoff, morto proprio quest’anno, dopo aver vissuto in varie missioni nell’America Latina, verso la fine degli anni 70 approda in Messico, nella regione meridionale di Oaxaca. Qui si rende conto delle condizioni di estrema miseria in cui versavano i contadini che producevano caffè in aggiunta al lavoro minorile diffusissimo e remunerato con paghe giornaliere miserevoli. Così nel 1981 Padre Frans lancia l’idea de l’UCIRI (Union de Comunidades Indigenas de la Region del Istmo), una cooperativa di piccoli produttori creata per “bypassare” i grossisti locali e cercare di accedere direttamente al mercato mondiale. Aveva inventato il Commercio Equo e solidale… una piccola grande rivoluzione”.
Zendron è quasi commosso, mentre si gira tra le mani la confezione di caffè UCIRI, rievocando l’intuizione di quel prete olandese.
“Il principio del commercio equo e solidale era così 40 anni fa e ancora adesso è lo stesso. Semplice ma come tutte le cose semplici spesso rivoluzionarie: pagare il giusto prezzo ai produttori di quello che chiamavamo Terzo mondo.“
Prendo la confezione da 250 grammi dello storico caffè messicano, che si vende ancora con lo stesso nome e guardo il prezzo.
“5 euro e 90, costa caro però … al supermercato il caffè lo trovo quasi alla metà di questo prezzo…”
Zendron annuisce ma non arretra. “Certo che costa di più, ma questo prezzo è giustificato, non dal nostro profitto di venditori ma da una giusta remunerazione dei produttori locali. In questo caso parliamo del caffè messicano ma questo vale per tutte le filiere dei nostri prodotti. C’è il giusto compenso al produttore e questo permette il finanziamento per queste cooperative locali. Ma non ci siamo fermati alla visione iniziale degli anni ‘80 e il rapporto con i produttori non è più quello di 40 anni fa …”
Mi invita a seguirlo nel grande negozio di Trento pieno di colori e profumi esotici e mi presenta Beatrice De Blasi, coordinatrice dei progetti di cooperazione di Mandacarù. Capelli a caschetto, occhiali rotondi, un sorriso coinvolgente.
“Beatrice, allora quali sono le nuove sfide del Commercio Equo e solidale ?”
“Si, in effetti c’è un’evoluzione anche nei progetti di cooperazione allo sviluppo che portiamo avanti con i produttori per rispondere a sfide nuove, in particolare quella ambientale. La sfida ambientale è tra quelle che sono più rilevanti per assicurare un futuro alle produzioni di caffè ma anche per assicurare condizioni di vita dignitose ai produttori e quindi rafforzare la sostenibilità ambientale ed economica delle loro produzioni. Nei decenni passati questa iniziativa ha dato accesso ad un mercato equo ai contadini, ora stiamo lavorando per dare loro un accesso anche al mercato dei crediti di carbonio in modo da differenziare gli introiti ed aumentare anche il loro reddito, raccogliendo non solo caffè ma anche carbonio”.
Quando Beatrice cita il carbonio la mia perplessità si fa manifesta.
“Cosa c’entra il carbonio con il commercio equo e solidale?“
Beatrice sorride, evidentemente non nuova a questo tipo di reazione.
“Semplice, perché i nostri agricoltori fanno, tra l’altro, una produzione di tipo biologico organico, cioè preservano la foresta attraverso l’adozione di pratiche agricole climaticamente intelligenti. Custodiscono i suoli e prevengono così anche degli eventi catastrofici perché la deforestazione porta anche disastri ambientali. Nel nostro caso per i produttori di caffè ad esempio del Nicaragua, ma vale per tutti i nostri produttori di caffè, non parliamo mai di piantagione ma parliamo di coltivazioni in agro-foresta proprio perché le piante di caffè sono sparse e coltivate all’ombra di piante forestali o piante da frutto.”
A questo punto interviene Zendroni, che fino a questo momento aveva ascoltato annuendo la spiegazione della sua collaboratrice, aggiungendo dei dati importanti.
“Quest’anno, in totale, distribuiremo 76.140 piante forestali e da frutto per rafforzare l’agro-foresta e 250.000 nuove piante di caffè per rinnovare i campi con varietà più resistenti ai cambiamenti climatici. In particolare, in Nicaragua il finanziamento andrà a 405 produttori di caffè, di cui 156 sono donne, soci della cooperativa Uca Soppexcca. È prevista anche la realizzazione di un vivaio di piantine di avocado e di ortaggi in serra attraverso forme di agricoltura biologica. Anche questo fa parte del nostro impegno di volontariato”.
Sono senza parole. In questo che sembrava un negozio come tanti ho scoperto una realtà impensabile di solidarietà, nata e cresciuta in Trentino. Ma le sorprese non sono finite.
“Presidente, ho capito i principi del commercio equo ed eco solidale ma quello che mi stupisce, se ho ben capito, è che le vostre attività si basano tutte sul volontariato…”
“Assolutamente, fin dalla sua nascita, che è avvenuta 35 anni fa ad opera di un gruppo di allora giovani trentini, l’impresa si è sviluppata su una base di indispensabile presenza di volontari. Oggi sono quasi 400 e operano in tutti gli aspetti dell’impresa Mandacarù: all’interno dei negozi, nel magazzino, negli uffici, nello sviluppo dei progetti. Il volontariato è veramente fondante e senza volontari questa roba non funziona.”
Ma quanti negozi avete?
Ne abbiamo 15, fra il Trentino e l’Alto Adige ma da quest’anno ne abbiamo aperto uno anche in Valtellina, a Sondrio.
E tutti gestiti da volontari? D’altronde anche lei, presidente, è un volontario…
Zendron, presidente volontario di una realtà che fa girare ogni anno oltre due milioni di euro, sorride compiaciuto.
“Si, dodici dei quindici negozi sono gestiti totalmente da volontari, ma qui nel negozio di Trento abbiamo anche dei dipendenti. In tutto siamo quasi 3mila soci, quasi 400 volontari e 14 lavoratori dipendenti, tutti accomunati dall’idea che un commercio equo e solidale, una finanza solidale e l’educazione allo sviluppo siano i mezzi per coniugare riflessione e tensione ideale con scelte concrete di cambiamento in campo economico e finanziario”.
E quasi per rafforzare le sue parole, mentre mi snocciola questi dati, mi presenta Agnese, una ragazza giovanissima che sta inscatolando dei pacchi di cous cous.
“Questa, ad esempio, è Agnese, volontaria in negozio ma anche membro del consiglio di amministrazione. Il cous cous che sta inscatolando proviene dalla Palestina…”
“Dalla Palestina? Una realtà di drammatica attualità …”
Agnese, grandi occhiali neri, capelli corti, l’aspetto di una studentessa, si ferma, mi porge un pacco di cous cous e mi spiega.
“Sì, un’attualità drammatica e il progetto nasce proprio dall’esigenza di dare una mano alle donne palestinesi in questo contesto di conflitto permanente. È un progetto che nasce proprio a Gaza, gestito dall’ONG palestinese Parc (Palestinian Agricoltural Relief Committee) e vede le donne palestinesi come protagoniste proprio perché è una produzione che può essere interamente realizzata all’interno delle mura domestiche. Purtroppo a causa dei prolungati coprifuoco le donne non possono uscire e quindi serviva un prodotto che potesse essere realizzato tra le quattro mura di casa e potesse garantire un reddito per le famiglie palestinesi. In aggiunta a questo, cosa non secondaria ed importante per noi, le donne attraverso il lavoro, la lavorazione del cous cous, riescono anche a imporsi con un ruolo sociale all’interno della comunità.”
“Progetto ancora operativo nonostante la guerra?”
“Sì, comprando e sostenendo il progetto del cous cous, ma che in realtà riguarda anche i datteri, le mandorle e l’olio di oliva, non si aiutano soltanto le famiglie delle donne produttrici, quelle residenti in Cisgiordania, ma anche le 1.400 famiglie che lavoravano a Gaza ma che con la guerra sono rimaste senza lavoro.”
“Presidente, siamo circondati da cose belle e buone che vengono da ogni parte del mondo e che voi vendete ad un giusto prezzo, eppure c’è ancora qualcosa di invisibile, e non secondario, che voi realizzate… ”
Qui lo sguardo di Zendron, se possibile, si riempie ancor più d’orgoglio.
“Non ci limitiamo ad acquistare i prodotti, le materie prime, per poi vendere gli oggetti a volte trasformati, a volte in natura, ma attraverso la finanza solidale riusciamo a finanziare dei microprogetti. I nostri tremila soci, in maggioranza trentini, ci hanno prestato più di 4 milioni di euro che utilizziamo, appunto, per la finanza solidale. Questi soldi li destiniamo o a piccole attività locali in prestito o direttamente all’interno di progetti, oppure attraverso delle strutture dedicate a queste. Per esempio la più importante che stiamo finanziando in questo momento è il ”Banco Codesarrollo de los Pueblos” in Ecuador che è un istituto strutturato come le nostre vecchie casse rurali e che destina i suoi investimenti solo alle micro imprese familiari contadine che non ottengono e non otterrebbero nessun finanziamento dal credito, diciamo classico, dell’Ecuador.
Ecco quindi, Presidente, in questo negozio, che da fuori sembra uno dei tanti negozi di Trento, abbiamo scoperto una realtà veramente incredibile… c’è un grosso messaggio che arriva da qua.
“Sicuramente c’è un grosso messaggio… secondo me il fatto che delle belle idee, delle grandi idee, possono essere portate avanti anche da persone che mettono quello che possono, sia in termini di tempo che di risorse ma tutti assieme riusciamo poi a portarle in fondo.
Quindi il messaggio è questo… non bisogna sempre stare alla finestra e dire che sono cose più grandi di noi, che non possiamo fare niente… voi dimostrate che anche le piccole cose cambiano la realtà.
“Esatto, piccole cose però organizzate all’interno di un sistema che possa aiutare come il commercio equo, la cooperazione internazionale, la finanza solidale. Tutti assieme si riesce a portarle avanti, tutti assieme mettendoci un po’ del proprio tempo, delle proprie disponibilità, che alla fine poi è l’essenza del volontariato. La volontà di fare, di donare il proprio tempo, il proprio amore. Questa è la lezione di Mandacarù.”
Zendron mi stringe la mano e si congeda da me. Beatrice ha bisogno di lui, un problema da risolvere riguardo una spedizione dal Guatemala. Un progetto che coinvolge alcune donne indigene che si occupano di artigianato tessile. Lo guardo allontanarsi veloce tra gli scaffali. Chi avrebbe mai detto che un piccolo gruppo di visionari trentini sarebbe riuscito, con poche cose e tanta buona volontà, a migliorare la vita di tante persone. Ci penserò anche la prossima volta che andrò al supermercato a comprare il caffè.