Piera Graffer: la vita è un viaggio, l’arte il suo linguaggio

Le opere di Piera Graffer sono esposte alla Galleria “Il Transito” di Arco, via Segantini 81, dal 18 al 31 maggio 2024

Entrare in casa di Piera Graffer, artista e scrittrice trentina, figlia del noto imprenditore del settore funiviario Giovanni, detto Nino, è come fare un viaggio. Un viaggio in altre dimensioni, in nuovi spazi, sospesi per un attimo dalla prosa schizofrenica del presente quotidiano. Tra quelle pareti completamente adornate di quadri, opere di altri artisti insieme alle sue, – immediatamente riconoscibili – si percepisce di essere al cospetto di un’anima estremamente attenta, sensibile e terribilmente spirituale. Una donna curiosa, grintosa e senza peli sulla lingua, che non crede nel Paradiso -“sarebbe una noia mortale” ride -, ma che quel Paradiso ha cercato di proteggerlo e di riprodurlo. Ritratti dei suoi affetti, donne bellissime dagli intensi occhi color ambra, come i suoi, i capelli raccolti in trecce fiabesche, o coperti da vistosi copricapi, tra fiori dai colori accesi. Sul soffitto di questo splendido palazzo cinquecentesco del centro di Trento, sulle travi a vista ha riportato il “Cantico delle creature” di San Francesco, “per me la più bella opera letteraria italiana mai scritta” afferma. Un lavoro certosino, realizzato con una tecnica a mosaico a foglia d’oro, che ha richiesto un centinaio di ore per ciascuna tavoletta. Piera è una ricercatrice instancabile anche di bellezza, che esprime attraverso il suo amore, folle, per l’arte, e per la vita.

A quali pittori ti sei ispirata nel tuo percorso artistico Piera?

Allora, io ho dipinto fin da piccola. Dopo il liceo classico ho frequentato la scuola d’arte, a Parigi, poi a Ginevra e Londra, e dopo ho iniziato a realizzare le prime mostre. Ho cominciato con uno stile moderno, estremo, astratto, ispirato ad artisti come Lucio Fontana. Poi ho capito che sono capaci tutti di fare quel tipo di arte. Adesso c’è Cattelan che attacca le banane con lo scotch. Come diceva mio papà “il mondo è pieno di cucchi, beato chi se li cucca”. Così, sono partita da questo e sono tornata indietro. Sono arrivata ai pittori tedeschi, che secondo me sono i più grandi. I maestri italiani, come Leonardo, Raffaello o Piero della Francesca sono tutti figli di un paese dove c’è il sole, il cielo azzurro… hanno quindi un’anima più leggera e solare, mentre nei paesi nordici caratterizzati da foreste infinite, ombre lunghe, poca luce… lo spirito è diverso. Artisti come Albrecht Dürer o i fiamminghi sono pittori delle terre fredde e io che ho avuto una vita travagliata mi sento molto più vicina a loro. Mi piacciono molto anche Frida Khalo e Nike de Saint Phalle. 

Quali tecniche prediligi?

Tutte le tecniche possibili e immaginabili. La vita è un viaggio di esplorazione e l’arte è il suo linguaggio. La vita è breve, finché non diventi vecchia non lo puoi capire, e non c’è tempo da buttare via. È un peccato mortale buttare via il proprio tempo perché è quello che hai.

“L’ape regina”

Un peccato svendere la propria anima artistica al commercio…

Delle volte ti tocca perché non hai alternativa. Io mi considero fortunata perché non ho mai venduto un quadro. Per un periodo ho fatto un mare di mostre, c’era un amico critico d’arte trentino che mi aiutava, poi è morto e ho smesso.

Che artista è Piera Graffer? 

Oddio, sai che non ci ho mai pensato? Io dipingo sempre per qualcuno, per i miei figli, per me stessa. La mia vita è stata un po’ un inferno, ho avuto tanti problemi e ho capito una cosa: fuori dalla porta c’è il mondo che è pieno di cose orribili. Io voglio mettermi in casa il paradiso terrestre. Così ho dipinto paradisi terrestri. Penso che un quadro debba essere qualcosa che ti fa piacere.

Ora dipingi?

Come una folle, è un vizio. C’è chi prende la cocaina, io dipingo. Sono 40 anni che dipingo 7-8 ore al giorno.

Mi mostra gli ultimi lavori: il ritratto della nipote, una papessa, un autoritratto in versione onirica, sempre corredati di elementi simbolici che rimandano al paradiso terrestre.  

Dal 18 al 31 maggio, Piera esporrà alcune delle sue opere ad Arco, in una personale, con l’aiuto del figlio David. 

Il paradiso terrestre, qui in Terra, per lo meno a livello ideale, lei sembra averlo trovato in un luogo lontano e complicato, affine per certi aspetti alle Alpi che le hanno fatto da culla: il Caucaso. A questa antica e travagliata regione ha dedicato infatti due dei suoi libri: Caucaso, il paradiso perduto (2000) e Seppellisci il mio cuore nella radura dei cervi. Diario di una ragazza cecena (2004).

Come mai tutto questo interesse per il Caucaso? 

Il Caucaso è simile alle Alpi, una vasta catena montuosa, più o meno alla stessa latitudine, con lo stesso clima. Vi si sono rifugiati tutti i popoli più strani, romani, discendenti dei crociati, addirittura degli assiro babilonesi, una cosa pazzesca. Ecco, per un periodo sono stata socia con un uomo che si occupava di prodotti subacquei in Oriente. Mentre lavorava in Pakistan è entrato in possesso di un testo che era stato rinvenuto nel deserto, in Asia Centrale. Nessuno capiva di cosa si trattasse. Così, abbiamo trovato il modo di farlo tradurre. Era la storia di persone che venivano dal Caucaso e da lì mi è venuta la curiosità e sono andata a cercare tutto quello che ho trovato su questi luoghi. A un certo punto mi sono rivolta all’università di Harvard, in particolare al direttore della Central Eurasia Studies Society, che mi ha dato dei contatti dei discendenti di questa gente.

“Sarabande”

Cosa hai scoperto?

Come l’Europa, il Caucaso è stato meta del primo turismo, inizialmente riservato a pochi ricchi. Principi inglesi o tedeschi, qualche francese, vi si recavano durante i loro Grand Tour. Era il luogo più remoto ed astratto. I discendenti di queste famiglie mi hanno fornito libri, informazioni, le memorie dei loro antenati…  ho conosciuto moltissime persone. Mi sono letta tutto quello che ho trovato e mi sono inventata questa storia. Parla di una famiglia di petrolieri, alla fine dell’800, che scappa da Mosca e fa ritorno a casa, nel mentre scoppia la rivoluzione russa. L’ho scritto sotto forma di romanzo, invece di scrivere un libro di storia noioso come la peste. Ci ho messo dieci anni, ma mi sono divertita da morire. 

Qual è stato il riscontro?

Qui è stato ignorato. Un giornalista, invece, Thomas Golz (per me il più grande corrispondente di guerra americano dal Caucaso), lo ha letto in inglese e lo ha portato a Baku, in Azerbaijan, dove è usato come libro di testo nelle scuole.

E l’altro libro? “Seppellisci il mio cuore nella radura dei cervi”. Il titolo è molto evocativo, cosa significa?

Queste persone che ho conosciuto, con cui sono rimasta in contatto, mi hanno mandato un mare di video in merito a quello che succedeva dopo, ai loro tempi, in Caucaso. Mi riferisco alle guerre cecene. La storia dei ceceni è simile a quella dei nativi americani. Il titolo deriva in parte da un libro sugli indiani d’America Seppellite il mio cuore a Wounded knee (Ginocchio Ferito), in parte dal nome di una città cecena, distrutta dai russi Samashki, che significa appunto la radura dei cervi. 

Anche questo è quindi un romanzo storico?

Questo libro è costruito in modo molto sistematico: si svolge all’inizio degli anni ’90; a un capitolo romanzato, ispirato a quanto mi raccontavano i miei contatti ceceni, segue un capitolo di storia, supportato da documenti. Ho scritto il diario della ragazza cecena con Anne Frank sempre nel cuore. Nemmeno questo è stato considerato. Un tema di cui nessuno voleva sentir parlare. Sappiamo cosa è successo poi ad Anna Politkovskaja… Ma quello che hanno fatto i russi in Cecenia è la fotocopia di quanto sta succedendo ora in Ucraina. Ad ogni modo, questa è l’unica cosa per la quale quando morirò potrò dire, al cospetto di San Pietro: ecco, ho fatto questo. 

Insieme ad un altro libro, “I semi dell’Apocalisse”, che mi è venuto dopo aver visitato una mostra a Coredo, a Palazzo Nero, dedicata ai processi alle streghe in Trentino.

“La dea dei sogni”

Oggi ancora molte donne vengono messe a tacere, anche con la violenza purtroppo. E spesso non viene ascoltato chi denuncia delle verità scomode, una di queste la grave crisi climatica che stiamo vivendo. Climatologi, scienziati sembrano parlare a vuoto da decenni, i ragazzini protestano… Come giudichi i giovani che imbrattano le opere d’arte, per richiamare l’attenzione sul dramma ambientale? Cosa potrebbero fare per far prendere reale consapevolezza di un problema che riguarderà soprattutto loro, in quest’epoca dove tutto passa attraverso la comunicazione virale?

Cosa c’entra imbrattare la Gioconda! Dovrebbero trasformarsi in persone serie. Qual è l’unica arma contro il riscaldamento globale? Gli alberi! Allora “te ciapi le to straze” e vai a piantare alberi. Questo è un sistema valido. Io ho tirato su treni di immondizia in Bondone. Pulite le spiagge, piantate fiori sulle terrazze delle case. A Parigi, ad esempio, in città, fanno il miele più buono del paese.

Rimanendo in tema ambiente, che so esserti caro, che ne pensi di questa ostinazione nel voler portare avanti uno sport come lo sci, che tanto ha dato alla nostra economia, ma che ora, in questo scenario, pare avere sempre meno prospettive?

Prima del ‘91 mio papà ha detto: “no fioca pù, vendo for tut.” Da tanto tempo ho quella casetta in Bondone dove ho vissuto per 40 anni, e fuori, sulla finestra, ho un termometro. Ogni anno vedevo che la temperatura aumentava di mezzo grado e negli anni ‘80 ho scritto una lettera ai giornali. Mi ricordo che dicevano: la temperatura salirà di un grado in cento anni, e io avevo scritto: guardate che ho un termometro fuori dalla mia finestra, lì da sempre, e ogni anno in media la temperatura aumenta di mezzo grado. Quante me ne han dette! Mi sono stufata di fare la Cassandra.

Ma si va avanti lo stesso, non si rassegnano a rinunciare agli enormi introiti del turismo invernale…

Quello è il punto. Se tu hai degli interessi economici nelle piste devi, secondo me, metterti il cuore in pace, capire che ormai è finita. E inventarti qualcos’altro. 

Sei favorevole alla funivia Trento Bondone?

Mio papà, che era del mestiere e sapeva fare i conti, diceva Fare un impianto a fune ti costa tot. Per ammortizzare impieghi 20 anni e dopo 20 anni cominci a guadagnare. A Bolzano funziona, perché sul Renon ci abitano, c’è un paese. In Bondone sono rimasti in 3.

Ora vivi in città, ma anche tu hai vissuto molti anni, da sola, in Bondone. Ti manca?

Era meraviglioso. La mia casa dà sulla catena del Brenta, davanti ho questa vista che è la più bella del mondo. In cima c’è questo bosco infinito e senti solo il fruscio del vento. Sono campata della bellezza che avevo fuori dalla finestra.

“La cuffietta verde”

Dici di non essere credente ma sei molto spirituale. In che cosa credi?

Non sono atea. Credo in questo universo infinito, dove si muovono delle forze. La più forte è la gravità: tutto si attira e si respinge e l’universo rimane in equilibrio. Credo che ci siano delle leggi inequivocabili: 1+1 fa due. Puoi piangere, tirarti fuori le budella, 1+1 farà sempre 2. E fra le varie leggi c’è la legge morale: se tu fai il male in un modo o nell’altro ti torna indietro. Sono convinta, anche se c’è chi mi dice di no, che se fai del male ti marcisce l’anima e dietro ci va il corpo. E penso che la vita, e questo me lo insegnava mia mamma quando ero piccolissima, sia una chance fra milioni: di tutti gli spermatozoi dei tuoi genitori ne esce uno, due, che diventano una vita. Questa vita è un dono infinito, immenso, per guardare il mondo che è pieno di cose bruttissime, mostruose, ma anche meravigliose e questo guardare il mondo è il nostro modo di pregare. Uno degli uomini più grandi per me è stato Steven Hawking: sembrava una cavalletta paralizzata, gli funzionavano solo gli occhi ed è riuscito a diventare uno dei più grandi astrofisici della storia dell’umanità. Diceva ‘non lamentatevi di quello che non avete, godetevi quello che avete’. La felicità non dipende dalla ricchezza, dipende dalla tua capacità di goderti quello che hai. Se tu guardi un filo d’erba, solo un filo d’erba, ti accorgerai che è una cosa infinitamente bella. Non hai altro? Goditi quello. 

Una grande verità. Senti Piera, tu hai avuto una vita piena di esperienze. Hai scritto, dipinto, vissuto in diverse parti del mondo dal Canada al Sudafrica. C’è qualcosa che rimpiangi?

Ho un enorme senso di colpa. Per persone che mi hanno dato tanto e dopo sono morte e io non sono riuscita a ripagare. E mi pesa terribilmente, mi schiaccia, non esser stata capace di dire grazie a chi gratuitamente mi ha dato tanto. 

E c’è qualcosa che ti fa paura?

Temo per il futuro del pianeta Terra. Siamo impazziti e stiamo correndo verso la nostra distruzione. E siccome ci sono tante cose meravigliose, ci sono città, pittori, scultori, musicisti come Bach… L’uomo è meraviglioso, c’è così tanto di bello e mi dispiace che vada perso. 

Ci sarebbero ancora tantissime cose di cui parlare con Piera. Ci congediamo da questa bella signora, che conserva uno spirito da giovane guerriera, con il cuore colmo di gratitudine e gli occhi pieni di colore.

Piera Graffer, nel 2011, ritratta nello studio della sua casa sul Monte Bondone
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Pubblicato da Silvia Tarter

Bibliofila, montanara, amante della natura, sono nata tra le dolci colline avisiane, in un mondo profumato di vino rosso. La vita mi ha infine portata a Milano, dove ogni giorno riverso la mia passione di letterata senza speranza ai ragazzi di una scuola professionale, costretti a sopportare i miei voli pindarici sulla poesia e le mie messe in scena storiche dei personaggi del Risorgimento e quant'altro. Appena posso però, mi perdo in lunghissimi girovagare in bicicletta tra le abbazie e i campi silenziosi del Parco Agricolo Sud, o mi rifugio sulle mie montagne per qualche bella salita in vetta. Perché la vista più bella, come diceva Walter Bonatti, arriva dopo la salita più difficile.