Quelle dita appiccicose

Dovessi scegliere fra i Rolling Stones e i Beatles, oggi sceglierei i Beatles, ma da ragazzo avrei scelto gli Stones, perché incarnavano l’anima più selvaggia del rock. Per me questo Sticky Fingers è uno dei loro dischi migliori. Non so se sia davvero il più bello, o il più amato, certamente però è un classico del loro genere (che nel corso del tempo non ha conosciuto enormi cambiamenti, come noto). Sui Beatles, confesso, avrei qualche difficoltà in più ad isolare un disco rispetto agli altri.

Sticky Fingers uscì nel 1971, grondava sesso e trasgressione e andò in testa alle classifiche di molti paesi, compresi Usa e Uk. La copertina, iconica come poche, è opera di Andy Warhol. Il pacco che si intravvede sotto ai blue jeans, comunque (jeans la cui cerniera originariamente era apribile, tipico giochino warholiano) non è di Mick Jagger, bensì di Joe Dallessandro, attore dell’entourage underground della Factory. 

La canzone di apertura è rock  nella sua essenza migliore, Brown Sugar (“zucchero di canna”, che è poi l’appellativo di una qualità di eroina, ma la canzone parla di schiavisti e ragazze nere, venne persino accusata di razzismo, figuriamoci).

Fra gli altri pezzi forti dell’album, Wild Horses, ballata country per falò notturni e cuori in subbuglio, Can’t You Hear Me Knocking, con uno dei riff più belli scritti dagli Stones, e la “maledetta” Sister Morphine, con testo di Marianne Faithfull, e chitarra slide di Ry Cooder. 

In questo disco fa anche il suo esordio alla chitarra solista Mick Taylor, guitar-man di scuola blues che aveva suonato (e avrebbe suonato anche in seguito) con molti altri grandi, fra cui John Mayall e Bob Dylan. Ma il suono, “una formula magica di heavy soul, junkie blues e macho rock”, lo definì un critico, è pura marca Stones. Sticky Fingers è stato classificato alla 63esima posizione nella lista dei 500 migliori album rock della rivista americana… Rolling Stone! Per completezza va detto che il successivo doppio Exile on Main Street, inciso dalla band durante il suo “dorato” autoesilio nel sud della Francia, occupa la settima posizione. 

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.