Waimer Perinelli: “Benedetta Provvidenza!”

Caldoazzo. Alla presentazione di un volume. Il fondale è di Luigi Prati Marzari

Waimer Perinelli: tanto lavoro culturale fatto, tante cose da dire. Da dove cominciare? Be’, cominciamo da una strada di Trento, via Grazioli, la più bella strada della città fuori del centro storico, una contrada lunga mezzo chilometro che partendo da Piazza Venezia va su al rione della Busa e al Fèrsina. Perché cominciare da una strada? Perché Waimer ci ha abitato per 24 anni in un palazzotto di fronte al Bar Sayonara, dove ha abitato anche don Mario Bebber, il grande poeta religioso che insegnava nel Vicino Tambosi, dove il suo primogenito ha uno studio di avvocato (Via Grazioli è la “Strada degli avvocati”) e dove da oltre mezzo secolo ci abito anch’io, che con Perinelli mi sono incrociato per anni, scambiando qualche battuta. 

Nato a Verona nel 1948, si iscrisse alla da poco nata Sociologia nel fatidico ’68. Suo padre, “uomo forte, coraggioso, generoso e fragile”, faceva il macchinista: come il protagonista del film di Germi, che fece lacrimare Waimer quando lo vide la prima volta. Stava guidando un camion nella ritirata di Russia quando fu fermato da un tedesco che gli disse di caricarlo: avrebbe procurato lui la benzina. L’autocarro avrebbe potuto caricare al massimo una quarantina di persone. Ma i soldati in ritirata continuavano a salire aggrappandosi al camion. Faceva così freddo che dopo un po’ erano stecchiti, assiderati. Il padre di Waimer raccontava che ogni tanto si doveva fermare per scaricare i morti… Quel tedesco si chiamava Waimer: procurando la benzina all’italiano, probabilmente gli salvò la vita, così come ai sodati italiani che non morirono assiderati. Ed ecco perché Waimer si chiama così (anche se all’anagrafe, per via d’una legge fascista, dovettero battezzarlo Walter). Quando Waimer dopo essersi diplomato disse a suo padre che voleva proseguire gli studi: “Lo vidi sconcertato quando gli dissi che sarei venuto a Trento per l’università: Sono contento – mi disse – ma tu sai che non abbiamo soldi…“.  Così per mantenersi Waimer fece diversi lavori, di sera e di notte: vinse anche un concorso da macchinista ferroviario, come suo padre, e vi lavorò qualche tempo. 

Con Marco, neolaureato a Padova. Waimer è qui con la moglie Laura Mansini e la madre Antonia

Nel 1971, a 23 anni sposò Laura Mansini, ragazza veronese, figlia di un affermato pittore, abilissimo restauratore di quadri e affreschi. Si chiamava Mario, era oriundo trentino perché sua madre era nonesa, di Smarano. Lui amava il Trentino; arrivava da Verona anche in bicicletta, almeno una volta all’anno, a trovare i parenti. Di cognome faceva ”Manzini”, ma quando lo avevano registrato all’anagrafe avevano scritto “Mansini”. Lui però continuava a firmarsi Manzini. Si sa che i veneti odiano la zeta e la sostituiscono con la esse (quando studiavo a Padova all’Università i miei amici veneti mi chiamavano ”Renso”). 

Molti anni dopo, divenuto presidente del Centro d’Arte La Fonte di Caldonazzo,  nel dicembre del 2011, Perinelli organizzò per Manzini, scomparso nel 1992, una bella mostra con catalogo.

1985. Con Valeria Ciangottini, in scena con “L’impresario delle Smirne”

Waimer e Laura, una coppia molto affiatata e collaborativa, che ha messo al mondo due figli, Zeno e Marco Nicolò: il primo, nato il 28 febbraio 1978, mezz’ora prima che suo padre si laureasse in sociologia, abita a Rovereto, è avvocato a Trento, sposato con un’avvocata. Il secondo, Marco Nicolò, pubblicista e autore di libri, è stato eletto sindaco di Tenna lo scorso anno. Ci sono anche due nipoti, Giulia e Azzurra, figlie di Marco Nicolò, che abitano nella stessa casa. 

Waimer aveva cominciato a scrivere su varie testate: la più nota era Tempo illustrato, pubblicata a Milano, su cui scriveva gente come Pier Paolo Pasolini e Giancarlo Vigorelli. Peccato che la rivista fallì e dovette chiudere nel 1976. Nel 1980, il Nostro divenne direttore giornalistico di Radio Dolomiti e addetto stampa del Teatro Stabile di Bolzano: begli anni in cui scoprì il teatro dal di dentro e conobbe gli attori dietro le quinte. 

Nel 1988, supportato dalla sua bella voce da speaker, fu assunto dalla Rai di Trento, andando in pensione nel 2013 con l’incarico di vicecapo redattore. 

Oltre a innumerevoli articoli, ha pubblicato due ricerche sociologiche ed un libro sui duecento anni del Teatro Sociale di Trento. Nonostante questo dice di sé: “Scrivo molto, ma non pubblico nulla, perché ho paura di rivelare la mia fragilità…”. E che cosa gli è rimasto dell’esperienza di sociologia? “Sono un sociologo non rivoluzionario. Considero la rivoluzione studentesca del ‘68 un atto borghese che, come sta succedendo oggi per i top manager, spostò solo la competizione sociale fuori della scuola italiana e aprì varchi di mobilità sociale alla media borghesia. Rispetto la rivoluzione operaia del ’68, stroncata dal terrorismo rosso, nero e da pezzi deviati dello Stato… Avevo il privilegio di essere studente lavoratore e ritardai tre mesi la tesi di laurea perché quando dovevo sostenere l’ultimo esame, a novembre del 1972, la facoltà venne occupata. Solo dopo lunghe trattative riuscii a dare l’ultimo esame a dicembre”. 

1978. Pensieroso davanti alla nascente tesi di laurea

Prima di scegliere Sociologia, aveva pensato di studiare filosofia a Padova. Ma è anche appassionato di storia romana. Uno dei temi che più lo appassionano è quello della Provvidenza: “Credo fermamente nella Provvidenza; non nella manzoniana, ma la De Providentia di Lucio Seneca. Credo in Dio e nell’Ordine cosmico, temo il disordine umano”. Racconta accadimenti della sua vita: uno soprattutto. “Mia madre, fervente cattolica, è morta a 93 anni. Non la vedevo da un mese ed ero in Val Rendena, dove avevo accompagnato mia moglie, sindaco di Caldonazzo, per un incontro fra amministratori. Mia madre stava bene, ma nel primo pomeriggio, senza alcun motivo, sentii che dovevo andare a trovarla. Quando arrivai nel suo appartamentino, in una casa protetta a Peschiera sul Garda, era a letto. Fiacca, mi disse, stanca. Poi si addormentò. Le rimasi accanto tenendole mano e polso. Le dissi quanto era stata brava e del bene che le volevamo. Sentivo il battito del suo cuore, lento, sempre più lento. Poi si spense…”.

Waimer abita con Laura a Tenna, in località Terrazze, con una splendida vista sul più grande lago del Trentino. Ha acquistato una villetta, alzandola di un piano per farci stare la famiglia del suo secondogenito. Quando risiedeva a Caldonazzo, nel 2010, fu eletto presidente del Centro d’Arte La Fonte, dando nuovo impulso a questa associazione fondata dal pittore Luigi Prati Marzari, oltre mezzo secolo fa, soprattutto rilanciando gli artisti di Caldonazzo (paese ricchissimo di artisti quali i fratelli Eugenio e Giulio Cesare Prati, il nipote Romualdo, Angelico Dallabrida, Edmondo Prati, Marzari, esponendo inoltre artisti famosi come Schweizer, Winkler, Verdini, Aldo Pancheri, con cataloghi curati dallo stesso Waimer, ospitando mostre in cui hanno figurato un centinaio di artisti). 

Insomma, dai tempi in cui era studente-lavoratore, gli anni ruggenti di Sociologia, di lavoro culturale Waimer Perinelli ne ha fatto un bel po’…

Con il grande Pablito

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Pubblicato da Renzo Francescotti

Autore trentino dai molti interessi e registri letterari. Ha al suo attivo oltre cinquanta libri di narrativa, saggistica, poesia in dialetto e in italiano. È considerato dalla critica uno dei maggiori poeti dialettali italiani, presente nelle antologie della Garzanti: Poesia dialettale dal Rinascimento a oggi (1991) e Il pensiero dominante (2001), oltre che in antologie straniere. Sue opere sono tradotte in Messico, Stati Uniti e in Romania. Come narratore, ha pubblicato sei romanzi: Il Battaglione Gherlenda (Paravia, Torino 1966 e Stella, Rovereto 2003); La luna annega nel Volga (Temi, Trento 1987); Il biplano (Publiprint, Trento 1991); Ghibli (Curcu & Genovese, Trento 1996); Talambar (LoGisma, Firenze 2000); Lo spazzacamino e il Duce (LoGisma, Firenze 2006). Per Curcu Genovese ha pubblicato Racconti dal Trentino (2011); La luna annega nel Volga (2014), I racconti del Monte Bondone (2016), Un Pierino trentino (2017). Hanno scritto prefazioni e recensioni sui suoi libri: Giorgio Bàrberi Squarotti, Tullio De Mauro, Cesare Vivaldi, Giacinto Spagnoletti, Raffaele De Grada, Paolo Ruffilli, Isabella Bossi Fedrigotti, Franco Loi, Paolo Pagliaro e molti altri.