
Delle mani infarinate, impastate di bianco. Sono segnate dagli anni che le hanno viste lavorare in bottega, a stringere altre mani, a giocare a carte. Delle mani che raccontano una storia diversa a seconda di chi le ascolta, di chi le osserva. Per molti, erano quelle che aprivano il negozio di alimentari e gastronomia storico di Trento in Largo Carducci che prendeva il cognome di famiglia: Postal. Tra i vari prodotti apprezzati, i canederli erano forse il suo cavallo di battaglia. Anche dopo la chiusura del negozio, spesso alcuni clienti affezionati gli chiedevano se per caso fosse disposto a farne ancora privatamente, tanto erano speciali.
I canederli, o knödel, non sono certo una invenzione trentina. Probabilmente la ricetta proviene dalla Baviera, un modo per riproporre gli avanzi in un piatto appetibile: pane raffermo, latte o acqua, uova. Una delle prime attestazioni del piatto è nell’affresco del 1180 del castello di Hocheppan d’Appiano. L’origine del piatto viene raccontata da una leggenda che parla di soldati lanzichenecchi. I mercenari, secondo la leggenda, avrebbero minacciato l’oste sequestrando la moglie e la figlia. Per salvarsi, con quel poco che c’era in cucina, avrebbero cucinato i canederli.
Nonostante la leggenda, il mistero riguarda anche quelli del nonno Luciano. Nessuno in famiglia è mai riuscito a replicarli come lui, che cambiava ricetta ogni volta, sperimentando. Spesso nascondeva dei chicchi di pepe che avevano il duplice effetto di spezia e scherzo. Attraverso il canederlo, il nonno ha sempre insegnato in famiglia che i valori dell’arrangiarsi, curiosare e riciclare, nel cibo così come nella vita, sono essenziali e che di tanto in tanto mangiare un grano di pepe può anche farti sorridere.