Lo stigma? Tutta “aria fritta”

Vivere con un disturbo mentale, o prendersi cura di una persona che ne soffre, non è facile. Perché queste patologie sono spesso accompagnate da solitudine e stigma sociale. Pregiudizi che isolano e feriscono e che il mockumentary “Aria fritta” prova a sconfiggere giocando con originalità le carte dell’arte e dell’ironia. A dare vita a questa simpatica eroina alpina, in un processo creativo iniziato nel 2021, gli utenti del Centro salute mentale di Rovereto, la Compagnia delle nuvole di Dro con il suo presidente Enrico Tavernini in qualità di regista e il Centro Didattico Musica Teatro Danza (CDM) di Rovereto. Il progetto mira a costruire nuove occasioni di incontro e conoscenza reciproca tra le persone che frequentano il Centro di salute mentale e gli altri ed è una delle numerose iniziative, laboratori, conferenze e percorsi formativi proposti per rompere gli stereotipi, supportare utenti e familiari e diffondere una maggior consapevolezza in materia di salute mentale nella società tutta. 

Tavernini, partiamo dalle basi. Cos’è un mockumentary? 

È un finto documentario. Girato con tutti gli espedienti narrativi propri del documentario: le interviste, la ricerca d’archivio. Ma in realtà quelli che si descrivono non sono fatti realmente accaduti, bensì una storia inventata. 

Aria fritta è stato girato tra il 2021 e il 2022. Però il percorso con il Centro di salute mentale nasce molto prima.

Sì. Aria fritta è l’evoluzione di un laboratorio teatrale che ho iniziato nel 2004, al Centro Didattico Musica Teatro Danza (CDM) di Rovereto. L’idea era di dar vita a un progetto collettivo, che coinvolgesse – accanto e assieme alle persone che frequentano il Centro diurno salute mentale – la società civile in generale. Così, con sette, otto utenti, costituiti nel gruppo teatrale Art’O, abbiamo iniziato un lavoro creativo, poi allargatosi a tre quattro operatrici, una psichiatra e una ragazza in servizio civile. Dal laboratorio, siamo passati alla webserie, alle pillole teatrali, col desiderio di andare incontro a un pubblico via via più ampio. Per farlo abbiamo deciso di approfondire il tema dei super eroi, figure particolari che devono superare sfide e difficoltà. In fondo, infatti, anche la malattia mentale è una prova di vita da affrontare. Ed ecco che da questo lavoro collettivo è emersa la super eroina Aria fritta, chiamata così perché, quando compie le magie, si sente intorno a lei uno sfrigolio di cipolle e un forte odore di fritto. 

Torniamo al mockumentary dedicato a questa enigmatica figura.

Il “finto documentario” racconta di Ines C. Pollone, una donna che si trasferisce in Vallarsa e, lì, si trasforma in Aria fritta. In compagnia di una talpa gigantesca, corre tra i boschi in mutande e comincia a fare delle scorribande notturne per liberare gli animali da fattoria, lasciando al loro posto grandi ceste di ortaggi. Per alcuni paesani è una salvatrice, per altri una spina nel fianco. Fatto sta che, piano piano, la sua leggenda si diffonde e supera i confini della valle, arrivando fino in India. L’idea era quella di affrontare il tema serio e delicato della salute mentale con piglio ironico e scherzoso. Di calcare la mano sulle bizze di Aria fritta, perché non importa se è una maga o una signora con disagio mentale. Quello che vorremmo arrivasse agli spettatori è il racconto della sua unicità. La consapevolezza che anche una persona strana e a volte un po’ inquietante porta con sé un vissuto speciale che merita di essere compreso e abbracciato. 

Come è stato lavorare con chi frequenta il Centro di salute mentale? 

Piacevole. Quello che abbiamo affrontato insieme, infatti, non era un percorso terapeutico, ma la libera ricerca della creatività condivisa. La partecipazione è stata incredibile. Ci siamo dedicati alla scrittura collettiva, abbiamo sperimentato. E tutti coloro che sono stati coinvolti hanno attivato risorse personali imprevedibili.

Sinergie che hanno coinvolto anche personaggi noti. Chi?

Nel mockumentary hanno recitato il presidente del MART Vittori Sgarbi e lo psichiatra Francesco Pontarollo nei panni di se stessi. E poi la danza terapeuta Marcia Plevin e lo chef Gianfranco Grisi. Insomma, un gruppo composito! 

Qualche mese fa, in aprile, il mockumentary è stato selezionato tra oltre centrotrenta opere per essere proiettato al Festival Lo Spiraglio sul tema della salute mentale al Maxxi, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma. Cosa ha provato? 

È stata la ciliegina sulla torta di un progetto che mi ha regalato tante soddisfazioni. Una volta giunti a Roma, poi, ho provato sano apprezzamento per le altre opere. Ce n’erano di davvero ben curate, professionali. Tutte parlavano di salute mentale. Eppure, noi, seppur avessimo uno stile più rustico e artigianale dal punto di vista cinematografico, eravamo gli unici che le persone con disturbi mentali le avevano messe dappertutto, in produzione, nello script, in scena come attori. Penso che questo sia il cambio di paradigma che, come società, dobbiamo sforzarci di fare: ovvero lasciare che queste persone diventino protagoniste attive della propria vita, non soggetti di racconti, anche in buona fede, di altri. 

Progetti futuri? 

Dopo il mockumentary, mi piacerebbe continuare a lavorare con le persone che frequentano il Centro salute mentale. L’idea è quella di girare una vera e propria fiction coi telefoni.

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