Non si butta via niente!

“Nulla si crea nulla si distrugge, tutto si trasforma”. La legge di conservazione della massa di Lavoisier, scienziato ed economista francese del ‘700, che riprendeva l’intuizione dei filosofi greci, è immediatamente verificabile se osserviamo il ciclo della natura dove niente, ma proprio niente, viene buttato. Le foglie che cadono dagli alberi in autunno vengono biodegradate e trasformate in sostanze nutritive dai microorganismi. In questo modo la pianta conserva energie nella stagione fredda, per produrre i nutrienti di cui ha bisogno. Gli alberi sono degli ottimi economi. Noi no. Il nostro sistema produttivo non gestisce in modo oculato e lungimirante le risorse a disposizione, ma si mantiene e si autoalimenta soprattutto grazie a uno sviluppo lineare, ovvero, con una fase di produzione-distribuzione-consumo e infine smaltimento del rifiuto. Produrre oggetti, destinati in breve ad essere declassati a spazzatura -pensiamo all’obsolescenza programmata dei dispositivi tecnologici – ci consente di crearne di nuovi, alimentando così il mercato. Ma questo meccanismo intrinsecamente imperfetto ha finito con il costringerci a gestire enormi quantità di immondizia, non sempre riciclabile, e a ridurre considerevolmente le risorse a disposizione. L’overshoot day, ovvero il giorno dell’anno in cui risultano esaurite tutte le risorse che il pianeta è in grado di rigenerare nell’arco di un anno, cade infatti sempre prima. Nel 2023 per l’Italia è stato il 15 maggio. Ma vi sono nazioni come il Qatar o il Lussemburgo dove le risorse sono finite già a febbraio. Una tendenza destinata a peggiorare nei prossimi decenni, per via dell’aumento della popolazione globale. Si stima che il consumo di risorse ad oggi sia circa di 100 miliardi di tonnellate di materiali all’anno, e da qui al 2050 ce ne servirebbero quasi il doppio. In pratica: un altro pianeta! 

In Italia, in realtà, rispetto alla media europea siamo storicamente piuttosto virtuosi in materia di economia circolare, per via della naturale scarsità di materie prime, che dobbiamo per forza importare da altri paesi. Secondo l’ultimo rapporto sull’economia circolare redatto dal Circular Economy Network ed Enea (Ente per le nuove tecnologie e l’ambiente) presentato a maggio, il nostro paese infatti ha il tasso di riciclaggio dei rifiuti più alto d’Europa, 72%, contro una media UE del 58%. Idem per gli imballaggi (71,1%). È cresciuto inoltre il riciclo dei rifiuti urbani e la produttività delle nostre risorse ha generato 3,7 euro di PIL per ogni kg di materiali consumati. Non dobbiamo però adagiarci sugli allori. Infatti, sono aumentate d’altro canto le importazioni e i consumi.

Ad ogni modo, sono sempre più le realtà imprenditoriali che integrano alcuni criteri di circolarità nelle loro attività produttive – ad esempio la riduzione degli imballaggi, e altre che fanno dell’economia circolare addirittura il loro core business.

Il mercato del second hand, l’economia di seconda mano, in particolare, ha conosciuto negli ultimi anni un vero e proprio boom, specie online. Pensiamo alle numerose piattaforme web dedicate alla vendita dell’usato. Non solo veicoli – il mercato più redditizio – ma anche abiti, accessori, prodotti per lo sport o l’infanzia. Un volume d’affari che, secondo un’indagine svolta da Doxa per Subito, nel 2023 ha generato 26 miliardi di euro, l’1,3% del PIL nazionale, di cui metà dovuti alle vendite on line. 

A comprare usato almeno una volta all’anno sono 26 milioni di italiani, soprattutto ragazzi, adulti fino a 44 anni e famiglie con bambini. Non una moda, ma un vero e proprio cambio di mentalità, in grado di superare una certa reticenza che associava l’usato ad un basso status sociale, in primis dovuto alla necessità di risparmiare, in secondo luogo per via di una crescente consapevolezza ambientale. Anche la comunicazione, come sempre, gioca la sua parte. Ora infatti gli oggetti di seconda mano vengono anche definiti pre-loved, ovvero “precedentemente amati”. Suona decisamente meglio che smessi, no? 

Prolungare la vita dei beni già in circolo è sicuramente il primo passo per la riduzione dei rifiuti, ma quando ciò non è possibile entra in gioco il riciclo. Oltre ai grandi consorzi per il recupero degli imballaggi a cui è destinata la nostra raccolta differenziata, ci sono tante diverse realtà che sfruttano i rifiuti per realizzare nuovi prodotti, riciclandoli e addirittura, in certi casi, aumentandone il valore. Si parla infatti sempre più spesso di upcycling, ovvero un recupero che aggiunge qualità al prodotto di partenza. Ad esempio, dagli scarti di bucce e torsoli di mela altoatesini si può ottenere la appleskin, un’ecopelle con cui realizzare borse e tessuti. L’azienda trentina Aquafil, per rimanere nel mondo del tessile, riesce a sfruttare anche le reti da pesca abbandonate in mare per produrre fibre sintetiche destinate a vari utilizzi, dall’abbigliamento ai tappeti; o ancora il legno schiantato dalla tempesta Vaia, grazie all’omonima startup è diventato un oggetto di design 100% sostenibile. 

Un settore chiave è poi quello dei rifiuti elettronici, la cui quantità nel mondo sta crescendo ad un ritmo spaventoso, i cosiddetti RAEE. Da computer, tablet e cellulari, quando non è più possibile ricondizionarli, si possono estrarre metalli preziosi come rame, alluminio e acciaio, validi per nuovi impieghi, ma le percentuali di riciclo sono ancora troppo basse, appena il 33,8% in Italia.

Per poter recuperare, anche solo parzialmente, dei materiali è fondamentale ragionare sulla progettazione a monte, cercando di realizzare prodotti durevoli e facilmente scomponibili. Pensiamo banalmente ad uno spazzolino da denti, di cui possiamo cambiare solo la testina quando ormai consumata, anziché buttare tutto. Puntare sulla qualità del prodotto, anche a costo di un prezzo nettamente maggiore, rende inoltre il consumatore più restio a sostituire qualcosa a cui attribuisce un certo valore. 

Infine, è di estrema importanza rendere più conveniente la riparazione dei nostri oggetti. Lo scorso aprile, a tal pro, il Parlamento europeo ha approvato la riforma al regolamento sul diritto alla riparazione, per rendere più semplice e conveniente far riparare gli oggetti difettosi piuttosto che puntare su un nuovo acquisto.

Insomma, qualcosa si muove, ma c’è ancora tantissimo da fare, perché purtroppo il tasso di circolarità, che misura quanto materiale riciclato viene reimmesso sul mercato, a livello globale è diminuito. Innescare il ciclo virtuoso del riuso e riciclo è un toccasana necessario per far fronte alla crisi ambientale, risulterebbe utile a liberare risorse economiche destinate altrimenti allo smaltimento, ma converrebbe anche a livello occupazionale. In Italia attualmente sono circa il 2,4% gli addetti impiegati in questi settori. Il Piano d’azione per l’economia circolare redatto dall’Ue stima però che l’implementazione di un modello economico circolare, previsto dal Green New Deal, potrebbe creare oltre 700,000 nuovi posti di lavoro in Europa da qui al 2030.  Buttali via!

Riduco, riutilizzo, riciclo, recupero:

Riduco: La riduzione riguarda la diminuzione della quantità di rifiuti prodotti all’origine. Questo include la progettazione di prodotti con una vita più lunga e l’uso efficiente delle risorse. Ad esempio utilizzare imballaggi meno voluminosi, preferire prodotti sfusi o con minore imballaggio, e adottare comportamenti di consumo più consapevoli.

Riutilizzo: Il riutilizzo implica l’uso di un prodotto più volte, sia per lo stesso scopo per cui è stato progettato, sia per altri scopi, senza trasformarlo in modo significativo. Alcuni esempi potrebbero essere utilizzare sacchetti della spesa riutilizzabili, acquistare abbigliamento di seconda mano, riparare e mantenere prodotti invece di sostituirli.

Riciclo: Il riciclo comporta la trasformazione dei rifiuti in nuovi materiali o prodotti. Questo processo permette di recuperare materie prime dai rifiuti, riducendo la necessità di nuove risorse. Ad esempio fare la raccolta differenziata di carta, plastica, vetro e metalli, e la loro trasformazione in nuovi prodotti come carta riciclata, bottiglie di plastica e lattine.

Recupero: Il recupero si riferisce all’estrazione di energia o materiali dai rifiuti che non possono essere riciclati. Questo può includere il recupero energetico attraverso la combustione controllata o il compostaggio dei rifiuti organici. Esempi: produzione di energia da rifiuti non riciclabili tramite incenerimento con recupero di energia, digestione anaerobica dei rifiuti organici per produrre biogas, e compostaggio per creare fertilizzanti.

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Pubblicato da Silvia Tarter

Bibliofila, montanara, amante della natura, sono nata tra le dolci colline avisiane, in un mondo profumato di vino rosso. La vita mi ha infine portata a Milano, dove ogni giorno riverso la mia passione di letterata senza speranza ai ragazzi di una scuola professionale, costretti a sopportare i miei voli pindarici sulla poesia e le mie messe in scena storiche dei personaggi del Risorgimento e quant'altro. Appena posso però, mi perdo in lunghissimi girovagare in bicicletta tra le abbazie e i campi silenziosi del Parco Agricolo Sud, o mi rifugio sulle mie montagne per qualche bella salita in vetta. Perché la vista più bella, come diceva Walter Bonatti, arriva dopo la salita più difficile.