Ron: “Stare sul palco è un dono”

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Ron, Rosalino Cellamare, 50 anni di storia tra musica, canzoni ed emozioni in un percorso di grande qualità e coerenza umana e artistica. Lo abbiamo intervistato grazie all’avv. Giuseppe Origlia mentre sta preparando il nuovo tour “ Sono un figlio live tour” lo spettacolo nei teatri che partirà da Senigallia l’8 marzo e che farà tappa tra le altre anche a Bologna, Montebelluna, Prato, Mestre, Roma, Brescia.

Come sarà il tour?

Non sono uno che fa spettacoli alla Madonna nel senso delle cantante, preferisco  spendere qualche soldo per i concerti ma usarli per la musica. Ho con me grandi musicisti, una cantante molto brava, e sul palco racconterò la mia storia perché sono passati ormai 52 anni, questo disco, la mia passione per la vita e per tutto quello che ho avuto. Non mancheranno i grandi classici da “Joe Temerario” a “Il gigante e la bambina”, da “Chissà se lo sai” a “Piazza Grande”, da “Non abbiam bisogno di parole” ad “Anima”. Ma troveranno spazio anche canzoni che raramente ho proposto dal vivo, come “Palla di cannone” di Damien Rice e “Mi sto preparando” di Michael Kiwanuka che per me sono molto importanti, un segnale di quello che ho sempre amato nella musica. Sono contento e caricato perché cantare nella dimensione teatrale è molto bello. In Italia siamo ricchi di teatri, alcuni anche centenari che hanno una tale atmosfera nei quali ti senti addosso l’importanza che questi hanno avuto in tanti anni.

Come vivi l’emozione di un concerto?

E’ una passione a volte indescrivibile, fatto sta che quando sei sugli scalini e stai per salire sul palco per un concerto con la tua musica, le tue canzoni ma anche con quelle non tue perché secondo me sono una ricchezza in più, quello che scatta è un meccanismo di euforia e di sogno, per cui mi dedico a quel tempo sul palco totalmente agli altri, è sempre qualcosa di speciale, un dono.

Hai il dono di vestire con una luce propria le canzoni degli altri.

Se mi piacciono quelle canzoni non mi vergogno a farle, noi italiani siamo un po’ restii a cantare qualcosa che ha scritto qualcun altro invece trovo che sia una cosa bellissima e l’ho sempre fatto anche nei primi tempi, come con Jackson Browne in “Una città per cantare” erano talmente belle per me e anche per quello che dicevano. Quando Jackson venne a casa mia per fare un duetto, volle sapere cosa diceva la canzone in italiano,  il pezzo l’ha fatto Lucio Dalla che è uno che quando scrive non sta molto sulla metrica della musica perché lui giustamente dice “se voglio dire qualcosa noi italiani dobbiamo usare anche le sdrucciole non possiamo usare solo le tronche”. L’ho tradotto, mi guarda e dice “quello che avete scritto è più bello che in inglese”. Di questa cosa Lucio era felicissimo. Sono felice di essere riuscito a scrivere per gli altri, per Lucio, Fiorella, per tante persone che ho stimato molto, riempi la tua borsa di giornate e di tempi dedicati agli altri.  Io non penso mai a chi mi voglio rivolgere quando scrivo perchè mi bastano quattro note e vado avanti, non sto a pensare a chi potrebbe piacere, sarebbe una tristezza , non sarei io.

Come è cambiato il tuo pubblico negli anni?

Si è aggiunta una fetta di pubblico più giovane, non giovanissimo perchè la musica in questo momento è anche rappresentata da giovanissimi rapper che hanno un loro mondo e la loro carriera. Io sono fedele a quello che ho sempre fatto per cui cerco di scrivere delle belle canzoni che è la cosa che mi piace più fare.

Hai esordito a Sanremo giovanissimo a 16 anni con “Pà diglielo a mà”. Come sei arrivato su quel palco?

Credo di aver bruciato le tappe per uno di quei talent scout che giravano allora nei concorsi di provincia. Una sera arrivò proprio uno di questi e volle il numero di telefono dei miei genitori, ero minorenne, e dopo un anno si è fatto vivo, io facevo i miei concorsi, andavo a scuola, e mi voleva a Roma per fare dei provini perché c’era di mezzo il Festival. Quando vai nel 1970 a Sanremo che era ancora più considerato di adesso con le altre canzoni tutte bellissime, non era facile ma io ero talmente felice di questa cosa che mi sono buttato con entusiasmo e quando mi rivedo in tv con le immagini in bianco e nero tutto sommato sono stato abbastanza bravo.

Sei stato protagonista del mitico tour “Banana Republic” nel 1979 con Dalla e De Gregori.

E’ stato una delle cose più belle che ho fatto in vita mia, erano anni difficili, Lucio e Francesco hanno avuto questa idea fantastica, sono saltato in macchina insieme a loro. Davvero poi molto importante anche il “Fab Four Tour” con De Gregori, Pino Daniele e Fiorella Mannoia nel 2002.

E la vittoria a Sanremo nel 1996 con “Vorrei incontrarti tra cent’anni”?

Non avrei mai pensato che fosse così forte quando ho vinto il Festival insieme a Tosca e ho scoperto già il giorno dopo che non potevo camminare per strada cosa che normalmente faccio senza problemi e ho capito la potenza di quella manifestazione per cui mi sono reso conto che cambiava anche un po’ la vita per me, abbiamo fatto cose ancora più importanti, è stato un bel salto pieno di positività e di saggezza. E’ una canzone che in effetti meritava, purtroppo molti miei colleghi, nel tempo hanno fatto bellissime canzoni e hanno vinto ma dopo un po’ la canzone si è dileguata, nel mio caso si canta ancora un po’ ovunque,  e questa è una bella cosa.

Chi vorresti incontrare tra cent’anni?

Mia nonna, ma anche prima, è stata una donna fantastica, una delle persone più importanti nella mia vita.

Hai pubblicato da poco il nuovo album di inediti “Sono un figlio”, molto creativo.

Questo album è nato in pandemia, ho la fortuna di avere uno studio di registrazione dove faccio i miei dischi e vengono i miei colleghi a fare i loro, è bello ci si incontra, si canta e lavora  insieme. In quel periodo eravamo in studio tutti con la mascherina tranne che nel canto, si è formato un gruppo, una squadra di persone, alcune mi avevano mandato dei testi o delle musiche, abbiamo cominciato con gli arrangiamenti e poi tutto è stato molto sereno nonostante il dannato covid, abbiamo rallentato un po’ il tempo che di solito è sempre un po’ troppo veloce, anche quello dei miei colleghi. Mi sono fermato e sono uscite delle cose molto di introspezione, e mi è piaciuto tantissimo proprio raccontare in modo diverso con l’aiuto di tutte quelle persone, quelle cose che mi sono sempre piaciute. E’ un album molto intenso che mi rappresenta pienamente. In questi giorni è in radio il nuovo singolo “Diventerò me stesso”, il brano forse più autobiografico.

Hai dedicato il disco ai tuoi genitori.

Ai miei genitori, alla mia famiglia che per me sono stati di un importanza vitale. A volte si dice di non guardare indietro, invece secondo me bisogna farlo ogni tanto perché quando siamo più giovani abbiamo tante cose che ci distraggono, poi quando vai avanti nel tempo ti accorgi di tante cose. Ad esempio i miei genitori  un giorno mi hanno detto “ma tu vuoi cantare davvero?” E io dissi “si per favore” e mia madre disse “ se tu vuoi cantare, canta, canta con tutto il tuo cuore ma fallo bene”. E non è facile avere avuto dei genitori che ti abbiano detto una frase del genere perché quando si parla di musica, io canto, si ma nella vita che lavoro fai?

Il tuo incontro con Lucio Dalla?

Ho conosciuto Lucio alla RCA quando mi chiamarono agli inizi, come anche Renato Zero vestito da leopardo e si faceva notare. Lucio era arrivato ingessato per un incidente e mi fece sentire “Occhi di ragazza”, una canzone che aveva appena scritto, che bella dissi e l’abbiamo incisa. La giuria sanremese non l’ha voluta al Festival, forse era troppo moderna, per me era una bella canzone e basta. E poi diventata un grande successo di Gianni Morandi. Da lì abbiamo iniziato a scrivere insieme come nel 1972 “Piazza grande”, abbiamo cominciato subito a condividere quello che avevamo dentro anche se eravamo molto diversi, io con la West coast  americana e lui con il jazz. Probabilmente l’intenzione era la stessa, quella di far uscire quello che avevamo imparato, che avevamo dentro, eravamo molto giovani per cui tutto questo è servito insieme all’amicizia e alla stima che era molto forte, per cui devo dire solo grazie. Lucio ha avuto momenti pazzeschi da quando ha fatto “4 marzo 1943” la gente che non lo conosceva è impazzita per quella canzone e questa cosa l’ha fatto diventare immediatamente grandissimo. Ha raggiunto momenti di grandezza assoluta, non faceva canzonette per cui scriveva quello che sentiva di scrivere, pensiamo a “Futura”, un capolavoro. E’ tra noi sempre e sono sicuro che se la spassa in qualche bel posto a scrivere belle canzoni.

Come valuti il tuo straordinario percorso artistico?

Non avevo mai immaginato questa cosa e non ho mai avuto un problema di tempo davanti a me, quanto sarei potuto durare, andavo avanti a testa bassa felice e fortunato di fare il lavoro che facevo, finchè mi diverto e non mi annoio continuo con questo lavoro e la musica, vado avanti perché mi piace, la musica mi ha salvato sempre anche nei momenti più difficili.

Il confronto con il mondo musicale di adesso come lo vedi?

E’ difficile, oggi i giovani artisti hanno tutti un faro puntato molto forte su di loro, alcuni sono molto bravi. E’ un modo di vivere diverso, quelli della mia generazione hanno vissuto la musica dove i concerti erano al primo posto per cui si era sempre in tournèe, ci si trovava a volte anche nello stesso hotel, c’era quella voglia di cantare e di riuscire in qualche modo a essere qualcosa e qualcuno. Era tutto da fare, avevamo davanti il mondo, la nostra vita, anche a livello di storia del nostro paese abbiamo vissuto momenti importanti anche non belli, ma tutto è servito a fare oro di tutto quello che potevamo fare.

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Pubblicato da Giuseppe Facchini

Giornalista, fotografo dello spettacolo, della cultura e dello sport, conduttore radiofonico. Esperto musicale, ha ideato e condotto programmi radiofonici specialistici e di approfondimento sulla storia della canzone italiana e delle manifestazioni musicali grazie anche a una profonda conoscenza del settore che ha sempre seguito con passione. Ha realizzato biografie radiofoniche sui grandi cantautori italiani e sulle maggiori interpreti femminili. Collezionista di vinili e di tutto quanto è musica. Inviato al Festival di Sanremo dal 1998 e in competizioni musicali e in eventi del mondo dello spettacolo.