Crocicchi: lì dove tutto può accadere

Ogni volta che all’entrata di un paese mi imbatto nella grande croce di pietra o lignea che si staglia lì dove le strade si biforcano, mi torna alla mente quando ero piccolo e mia nonna, ogniqualvolta si ritornava dalla campagna, mi faceva fare il segno della croce. Questo gesto doveva essere fatto sia entrando in paese sia uscendone. Il segno, ormai diventato un rito, era accompagnato da una spiegazione semplice e chiara, ma non per questo meno paurosa: lì si aggiravano le streghe. Mi raccontava che queste potevano annebbiarti il cervello, confonderti la mente e farti sbagliare strada. Invece che percorrere quella che portava a casa, luogo della sicurezza e della certezza, con la vista e la mente annebbiata avresti proseguito per l’altra strada, via verso Vattaro, e poi su verso Carbonare, lì dove il bosco diventava foresta e la strada sfiorava burroni e dirupi. E saresti stato perduto per sempre. Per me quindi è sempre stato naturale, e ancora lo è, che al vertice di questa Y formata da una strada che diventava due strade, ci fosse un frammento di territorio dove tutto poteva accadere. Il fratello di mia nonna poi andava giù pesante a questo riguardo: lì, attorno alla croce, si potevano incontrare strane bestie, non solo i lupi ma anche gli orchi che nottetempo girovagavano in cerca di bambini da portare nelle loro catapecchie isolate nei boschi. 

Passati gli anni, la paura non è scomparsa, anzi. Leggendo miti e riti del passato, si scopre che un’asina, fecondata da Aristonimo di Efeso, abitante nel mondo sotterraneo, spaventa col suo aspetto spettrale i viandanti che si soffermano a fare sacrifici ai crocicchi: essa viene chiamata “immagine demoniaca” mandata da Ecate. Talvolta è la stessa dea ad apparire e spaventare, perché è una divinità che sta sulla strada, che appare nelle strade a coloro che sono in viaggio, ed è connotata da una natura mostruosa, come la capigliatura di serpenti ricordata da Sofocle in un frammento dei Rhizotomoi. Forse per tutto questo terrificante via vai i greci, e poi i romani, avevano posto delle erme in pietra a protezione, con la testa di Hermes/Mercurio protettore, tra le tante cose, degli attraversamenti e degli incroci.

Rovereto, frazione Toldi

Le croci in pietra che ogni paese trentino innalza all’entrata del proprio abitato – altre croci si trovano anche in campagna, lì dove la strada si separa, ai bivi e ai trivi – e che si trasformano in crocifissi lignei lungo i sentieri sudtirolesi, sono poste lì da centinaia di anni a difesa di chi sta dentro nei confronti di chi sta fuori. Oppure sono erette per non far perdere la bussola, perché il viandante non sia disorientato al bivio. Perché lì ci troviamo di fronte ad un punto liminale, ad uno spazio di transizione. E i greci, ben conoscendo pericolosità di quel luogo, allestivano rituali offerti alla dea Ecate (la paleo veneta Ikate, divinità sanatrice, rappresentata con tre corpi, chiamata anche trimusiiate), scaricando dei rifiuti domestici ritenuti potenzialmente contaminanti, oppure recitavano parole e frasi magiche, fino ad arrivare alla deposizione, alla lapidazione o al rogo di cadaveri virtualmente pericolosi in quanto macchiati da colpe specifiche. Non dimentichiamo che Edipo uccide Laio proprio ad un trivio.

Un tempo al posto delle croci venivano innalzati dei piccoli tempietti dedicati ad Ecate con delle statue raffiguranti la dea stessa, colta nel suo aspetto di dea triplice, sotto forma di tre giovani fanciulle addossate sulla schiena contro una colonna centrale.

Altopiano di San Genesio

La celebrazione di specifici rituali nei luoghi di passaggio si è tramandata da tempi immemorabili fino ad oggi: alcuni sono stati completamente dimenticati e rimossi, altri sono variati e qualcuno è ancora patrimonio della memoria degli anziani. Queste celebrazioni riflettono sia l’aspetto politico del confine – proteggendo tutto ciò che sta al di qua, separandolo dall’alterità di tutto ciò che è estraneo – che l’aspetto dell’anima che si trova in questo spazio liminare. La sacralità del confine stesso rispecchia sia l’inquietudine verso ciò che è all’esterno, sia la volontà di preservare ciò che sta all’interno. Non dimentichiamo che le stesse processioni legate alle Rogazioni avevano come tappa ogni croce in pietra o lignea del territorio di appartenenza: lì ci si fermava e il prete la benediceva con l’acqua santa alzando l’aspersorio, facendo il segno della croce e pronunciando A fulgure, tempestate, a flagello, terremoto, a peste, fame e bello, mentre i fedeli recitavano le litanie o il rosario rispondendo Libera nos Domine

Da Pindaro, a Platone, agli scrittori latini il trivio è considerato sinonimo di incertezza, punto di rottura rispetto alla sicurezza della semplice strada percorsa fino a poco prima.

Ecate, protettrice dei passaggi fisici e temporali, è diventata poi Diana e quindi la medioevale strega, la Perchta cimbra, la signora del bon zogo, come l’hanno chiamata le donne torturate nel castello di Presule a Fiè o nel Palazzo Nero a Coredo. 

Oggi più che mai ci troviamo quotidianamente ad un bivio, a dover scegliere da che parte andare. È importante sapere che qualsiasi strada intraprendiamo non siamo soli, una pletora di esseri e spiriti ci accompagna, sempre e comunque.

Avelengo, verso Santa Caterina
Dres, Val di Non
Lì restano anime inquiete e disturbatrici
Nelle valli ladine si dice che certi sacerdoti, quelli impegnati nella lotta contro le invadenti creature ultraterrene, possano scacciare dalla casa le anime inquiete e disturbatrici e relegarle accanto ai crocicchi. Per questo, ricorrentemente, il sacerdote tornava in quel luogo per ammansire l’anima o costringerla a rimanere lì, spiritualmente legata alla croce o al crocifisso. Più di una volta i sacerdoti furono chiamati nei paesi per allontanare da qualche luogo queste anime infestanti. A Trafoi, in alta val Venosta, si narra che ci sia il fantasma di un pastore che erra per i sentieri, inerpicandosi fino alla cima che da lui ha preso il nome, Geisterspitze, la Punta dello Spirito. Attorno ai crocicchi si radunavano anche die armen Sealen, le anime dei morti, confuse talvolta con le streghe. 
Qualche viandante raccontava che, transitando nei pressi, gli era apparso un enorme e infernale cane nero, animale in stretta relazione con la dea Ecate. Si credeva infatti che nelle notti senza luna lei vagasse per la terra con un branco di cani neri fantasma che ululavano, scorrerie antesignane delle famose cacce selvagge notturne che imperversavano nelle foreste e ai piedi dei castelli. 
Due uomini che abitualmente percorrevano la strada tra il Livinallogono e la val di Fassa erano felici di compiere il tragitto in compagnia, in modo da aiutarsi a vicenda. Una volta arrivati ad un crocifisso innalzato ad un bivio, improvvisamente uno dei due sente urla, grida e imprecazioni: Aiutami, vuole afferrarmi, non abbandonarmi. L’altro, pur non vedendo niente, gli dà una mano e lo trascina per un tratto di strada finché sente dire ora sono salvo.
Ad ogni bivio bisogna farsi il segno della croce, la morte sarà così pietosa quando segnerà la nostra ora. Era un’esortazione un tempo ricorrente, faceva parte del bagaglio dell’apprendimento per riuscire a sfuggire alle mille trappole del demonio, della strega e della morte.
Nella valle de la Mot, a Pinè, bisogna evitare di percorrere i sentieri di notte. Secondo alcuni, in quei luoghi dove i bivi si ripetono a passi ravvicinati, sul far della sera è possibile imbattersi in un essere mostruoso, un po’ uomo, un po’ orso e un po’ maiale. Il mostro se ne sta sempre rannicchiato su se stesso, come nell’atto di cercare in terra un oggetto perso, e nel far ciò borbotta sommessamente: chi mi aiuta, chi mi aiuta? Ma chi lo fa sparisce dal sentiero per non tornarci mai più.
I nostri avi credevano che i crocicchi fossero divenuti la sede degli aspetti più oscuri delle credenze antiche. Mettere un mazzolino di fiori ai piedi di un crocifisso è un gesto che ripete la deposizione dei pasti per Ecate nell’antica Grecia e nei territori romani: solitamente erano delle focacce dolci impastate con miele e sesamo oppure delle mezze pagnotte di pane. E poteva succedere anche che qualcuno, più povero, si recasse appositamente ai crocicchi per rubare di che sfamarsi, come ci ricorda Aristofane nel Pluto: «Si dovrebbe chiedere a Ecate se sia preferibile l’essere ricchi o l’essere poveri. Lei stessa dice che i benestanti e i ricchi le mandano ogni mese il pranzo, e i poveri se lo arraffano ancor prima che sia offerto!».
Sopramonte
Su Ecate
Si rimanda allo splendido libro di Nicola Serafini, La dea Ecate nell’antica Grecia, Edizioni Aracne 2015, che indaga nascita e sviluppo di questa dea polimorfa, una protettrice dalla quale proteggersi
La Ecate Chiaramonti, Musei Vaticani
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Pubblicato da Fiorenzo Degasperi

Fiorenzo Degasperi vive e lavora a Borgo Sacco, sulle rive del fiume Adige. Fin da piccolo è stato catturato dalla “curiosità” e dal demone della lettura, che l’hanno spinto a viaggiare per valli, villaggi e continenti alla ricerca di luoghi che abbiano per lui un senso: bastano un graffito, un volto, una scultura o un tempio per catapultarlo in paesi dietro casa oppure in deserti, foreste e architetture esotiche. I suoi cammini attraversano l’arte, il paesaggio mitologico e la geografia sacra con un unico obiettivo: raccontare ciò che vede e sente tentando di ricucire lo strappo tra uomo e natura, tra terra e cielo, immergendosi nel folklore, nei miti e nelle leggende. fiorenzo.degasperi4@gmail.com