La via dei castagni, memoria del mondo

Primavera, i primi tepori, le prime gite a mezzacosta, dove la neve se ne è andata e le primule sbucano dai prati ingialliti dell’inverno. È tempo di passeggiate e cosa c’è di meglio che camminare per sentieri e mulattiere dove natura, cultura e gastronomia si abbracciano. Ed eccoci quindi a calpestare i luoghi delle “castagne”, i frutti degli antichi alberi messi in rima da Giovanni Pascoli, entrati nel patrimonio alimentare del popolo come elemento integrativo o sostitutivo del grano grazie alla farina che se ne ricava, o come ingrediente per le minestre al pari dei legumi. Nel medioevo la castagna era considerata anche cibo per i morti, assieme alle fave e ai ceci. Non è un caso che i frutti maturino in novembre, il mese dei morti. In molti paesi della Francia era abitudine mettere una castagna sotto il cuscino affinché gli spiriti girassero alla larga da quella camera da letto.

62 chilometri di cammino, 2680 metri di dislivello in salita e 2950 in discesa, 1001 metri di altitudine massima raggiunta, durata media 21 ore. È questo il Keschtnweg, il sentiero dei castagni che da Novacella, passando per il lago di Varna, attraversa a mezzacosta tutta la valle dell’Isarco, calpestando le chine dei Sarentini orientali e del Renon, seguendo sempre il logo della castagna che ne contraddistingue i sentieri e le mulattiere. Non è un trekking dove si mettono in conto soltanto l’usura degli scarponi o i tempi di percorrenza. È un tuffo nella storia, nell’archeologia, nell’antropologia e nel folklore. Si cammina per arcaiche piste preistoriche che si sovrappongono alle antiche e moderne vie di pellegrinaggio, a tratti ci si identifica con chi intraprendeva la Via Imperiale, transitando per gli Strassendörfer, i villaggi costruiti lungo le medioevali strade. Soprattutto è un viaggio nella cultura del castagno (castanea sativa) e di un frutto che costituì un’importante fonte di alimentazione per chi viveva tra i 400 e i 1100 metri di altitudine. Il legno poi era molto ricercato per la grande capacità di resistere alle intemperie. Il frutto, difeso da vari strati, non nasconde le sue valenze sacrali e sono molti i riti che lo vedono coinvolto. In questo itinerario ci facciamo aiutare dal bel libro di Rosmarie Rabanser Gafriller, Keschtnweg Südtirol (Ed. Tappeiner, 2023, pubblicato per il 25° anniversario del sentiero).

Giovani castagni nei pressi di Verdines
Il sentiero dei castagni, sopra Chiusa

Altri sentieri dedicati ai castagni si trovano in Trentino: il Sentiero dei Castagni a Sardagna (giro circolare), quello di Vigo Cavedine e, forse il più famoso, il circuito del Castagno a Roncegno, tra castagneti secolari e Masi antichi: sono itinerari che testimoniano l’importanza della cultura della castagna che lentamente sta ritornando a essere uno degli ambiti produttivi dell’agricoltura di montagna. A Cembra si tiene ancor oggi l’antica processione della castagna. Si fa ogni anno nella seconda domenica di ottobre prima della Messa cantata, girando per il paese e per la Campagna Rasa. Dal Registro Parrocchiale dei morti di Cembra risulta che il giorno 11 ottobre 1693 un immane incendio scoppiato di notte distrusse in sole tre ore ben 70 case di Cembra: numero ingente se si pensa che allora Cembra contava solo 700 anime. Una vaga tradizione orale riporta che l’incendio fu provocato dallo scoppio di una castagna messa a cuocere nella brace; secondo un’altra diceria sarebbe invece successo per lo sparo di una fucilata. A ogni modo la processione è chiamata tutt’ora “della castègna”.

In tutta Italia il castagno fu per secoli al centro della cultura popolare e non solo. Iovis glandes, le ghiande di Zeus: così erano soprannominate le castagne dai latini, i quali in questo albero dal tronco possente e dai rami che si allargano in tutte le direzioni identificavano il dio supremo, reggitore dell’universo. Proveniente dalle terre dell’antica Persia si è esteso in ogni regione, disdegnando però i terreni calcarei. È un albero estremamente longevo: può vivere fino a 1000 anni, trattenendo nella corteccia la memoria del mondo. Il tronco può raggiungere i 15 metri di circonferenza e i 30 metri di altezza e i rami si possono dilungare fino a ospitare centinaia di persone sotto la propria chioma. Tra questo universo vivono diverse specie di animali e di uccelli, dando luogo a leggende che ancor oggi vengono tramandate. Il ghiro, l’allocco e il picchio verde sono di casa e le castagne cadute a terra, oltre a un gran numero di insetti, attirano gli ungulati e il cinghiale. Le foglie poi venivano utilizzate dai contadini come lettiera per il bestiame.

Vigo Cavedine, Malga Pian e i castagni secolari

Nell’862 d.C. il monastero di Bobbio, nei pressi di Piacenza, noto per aver ospitato il monaco irlandese San Colombano, pretendeva dai suoi contadini le castagne come parte dei tributi dovuti (castaneis modia).

L’importanza del castagno per la stessa viticoltura era già nota ai romani. Columella, un contemporaneo di Seneca, nei suoi studi sull’agricoltura si occupa estesamente della coltivazione del castagno, che forniva ai viticoltori romani legno pregiato per i pali da vigneto. Anche Plinio scrive dell’uso del legno di castagno nella viticoltura (Naturalis Historia, XVII, 147-150). Il legno dei castagni innestati è più adatto a essere impiegato nei vigneti di quello degli alberi selvatici: Castanea roboribus proxima est, ideo stabilendis vineis habilis (Columella), «la castagna si avvicina alla natura della quercia, perciò si considera adatta a sostenere le viti». Infatti c’è una continuità ininterrotta dall’epoca dei Romani a oggi nell’uso di pali di castagno come base del sostegno, sia che si coltivassero le viti con il sistema a filari, a raggi, a cordoni sovrapposti o con quello a pergola che richiedeva l’impiego di molto legno.

L’intensificazione della viticoltura, l’ingresso trionfale del vitigno molto produttivo della Vernaccia e del sistema a pergola, fecero crescere vertiginosamente il fabbisogno di legno, tanto che nel XVI secolo si emanarono ripetutamente dei divieti di abbattimento eccessivo. Le leggi comunali del paese di Marlengo (XVI secolo), nel Burgraviato, limitano l’abbattimento annuo di alberi per i pali da vigneto a 50 pali per i masi e 25 pali per le case dei braccianti «affinché i boschi non vengano distrutti inutilmente». Nel 1418, nelle sale della giustizia del castello di Pergine, in Valsugana, si tenne un processo tra i monaci del monastero di San Cristoforo e la comunità di Canale a riguardo del bosco che lambiva i canneti del lago di Caldonazzo. Il bosco, detto anche azo, si trovava presso la «palude di San Cristoforo, sulla rupe dell’Aquila, tra la chiesa e il lago» e la comunità del piccolo villaggio era accusata di aver tagliato piante, «alberi fruttiferi e alberi sterili» e, soprattutto, di aver tagliato i castagni per far pali per le vigne. Il processo si concluse con la pesante condanna di Canale e con una nuova collocazione dei termini di confine.

La corteccia è come la pelle umana: vi si può leggere un’intera storia

Nel regolamento forestale di Castelvecchio e Caldaro del 1604 si scrive che lo «spreco di legno per i vigneti e l’abbattimento di castagni, noci, ciliegi, meli, peri e altri alberi da frutto che offrono cibo alla selvaggina è vietato, i contravventori verranno puniti con un’ammenda di 10 lire o col taglio della mano destra». La pena draconiana del taglio della mano la troviamo già in un’ordinanza del 1381 che riguarda i beni del convento di Weihenstephan in Tirolo, nella quale si punisce in questo modo l’abbattimento di qualsiasi smerbaum. Questo termine stava a indicare i faggi, le querce, i castagni e altri alberi da frutto selvatici che servivano a ingrassare i maiali (smer = grasso; baum = albero). Nel medioevo i boschi si misuravano in base al numero di maiali che riuscivano a nutrire. Ancor oggi a Foiana, villaggio che incontriamo salendo da Lana verso il Passo Palade, i contadini usano innestare una parte degli alberi, lasciando crescere gli altri spontaneamente. Usavano poi per i pali da vigneto i polloni cresciuti durante l’anno, che spuntavano numerosi dai ceppi degli alberi abbattuti.

Al maso Platteid a Foiana, nel Burgraviato, la famiglia di Alfred Malleir coltiva da generazioni castagni ricavandone la principale fonte di guadagno: 15 ettari di castagneto, 1500 quintali di castagne, innumerevoli pali da vigneto venduti ogni anno. 

Oggi noi ricordiamo le castagne quando i primi freddi iniziano a gelare le mani e agli angoli delle strade del centro appaiono i caldarrostai. Oppure quando, tra la fine di ottobre e quella di novembre, capitiamo in un maso dove si svolge il famoso torggelen, l’assaggio di castagne arrosto e vino novello. La castagna ha una storia millenaria e nella nostra regione ha modellato l’ambiente naturale e quello culturale, offrendoci un’armonia che sapremo apprezzare mentre, passo dopo passo, ci inoltriamo in una dimensione variegata.

Bressanone
La via dei castagni, segnaletica
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Pubblicato da Fiorenzo Degasperi

Fiorenzo Degasperi vive e lavora a Borgo Sacco, sulle rive del fiume Adige. Fin da piccolo è stato catturato dalla “curiosità” e dal demone della lettura, che l’hanno spinto a viaggiare per valli, villaggi e continenti alla ricerca di luoghi che abbiano per lui un senso: bastano un graffito, un volto, una scultura o un tempio per catapultarlo in paesi dietro casa oppure in deserti, foreste e architetture esotiche. I suoi cammini attraversano l’arte, il paesaggio mitologico e la geografia sacra con un unico obiettivo: raccontare ciò che vede e sente tentando di ricucire lo strappo tra uomo e natura, tra terra e cielo, immergendosi nel folklore, nei miti e nelle leggende. fiorenzo.degasperi4@gmail.com