Soldi per restare o luoghi per vivere? Il vero nodo dello spopolamento

Le soluzioni ai problemi della nostra società sono per lo più calate dall’alto e passano immancabilmente dal denaro, perché per noi umani contemporanei il denaro è la soluzione a tutto. Così, l’annosa questione dello spopolamento delle valli del trentino, che in realtà fa parte di una più vasta tendenza nazionale di spopolamento delle periferie, è diventata di dominio nazionale e internazionale quando i titoli dei giornali hanno strillato che la provincia autonoma aveva deciso di mettere sul piatto fino a 100mila euro per chi sceglieva di trasferirsi in alcuni comuni a rischio di spopolamento. Un’operazione vestita di buone intenzioni e di numeri allettanti, ma che lascia aperte molte domande: davvero bastano dei soldi per invertire la rotta di un declino che affonda le radici in problemi complessi? In fondo vivere in periferia non implica solo comprare una casa in un luogo ameno e isolato. Implica anche servizi limitati, offerte culturali inesistenti, interazioni ridotte al minimo, un maggiore tempo destinato agli spostamenti casa-lavoro, attese estenuanti di mezzi che passano una volta ogni tre ore. Una soluzione commerciale a un problema di tipo antropologico, sociale, identitario è come dare la tachipirina a chi ha da un anno la febbre a 39. Forse è il caso di capire da dove arriva l’infezione, più che abbassare la temperatura. Così, “trasferisciti qui e guadagni fino a 100mila euro” sembra uno spot pubblicitario, che non è in grado, come tutte le pubblicità, di tenere in conto i bisogni delle persone. Primo tra tutti, dare un senso all’esistenza. Questo senso- soprattutto per i più giovani- deriva dalle opportunità e dalle esperienze che possono vivere: culinarie, artistiche, di eventi, di formazione ma anche di reti sociali. Sono sempre meno gli umani sotto i 35 anni, che hanno voglia di rinunciare all’esperienzialità offerta dai centri urbani in cambio di un po’ di denaro per vivere fuori, magari dove non c’è nemmeno un supermercato pressocché nessun coetaneo. E non è nemmeno  solo questione di vizi o di FOMO (fear of missing out- paura di perdersi qualcosa) La realtà dello spopolamento, a parte per i gusti personali, è anche legata all’oggettivo calo demografico di tutto il territorio italiano e all’invecchiamento della nostra popolazione. Siamo meno e siamo più vecchi. Questa è la realtà. L’assenza di opportunità lavorative e forse anche il fallimento di quella modalità flessibile che, durante la pandemia, è stata la possibilità di lavorare da casa, con il rientro di quasi tutti i lavoratori e le lavoratrici  alla modalità “in presenza” ha definitivamente dato il colpo di grazia alle periferie. La misura trentina corre il rischio di essere un’ operazione che si riduce a un puro gioco di numeri: nuovi residenti che cambiano la residenza per incassare l’incentivo, case ristrutturate che restano vuote la maggior parte dell’anno e, sullo sfondo, comunità che continuano a svuotarsi. Un incentivo economico può convincere qualcuno a provare, ma senza un vero piano di rilancio economico e sociale, senza una visione che vada oltre la logica del “ti pago per venire”, si rischia di mettere una toppa su un problema strutturale. E la toppa, si sa, alla lunga si stacca.

Forse la vera domanda non è “quanti soldi servono per far tornare la gente nei piccoli comuni?”, ma “come possiamo rendere questi luoghi davvero attrattivi, al di là del denaro?”. Cosa ci faccio, in poche parole, in quella periferia? Perché se vivere in un piccolo paese significa doversi spostare per ogni necessità, non avere servizi adeguati e trovare difficoltà nel costruirsi un futuro lavorativo, nessun incentivo potrà davvero risolvere il problema.

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Pubblicato da Sara Hejazi

Cittadina italiana e iraniana, ha conseguito un dottorato di ricerca in Antropologia culturale ed Epistemologia della Complessità. Accademica, scrittrice, giornalista, collabora con molte università e fondazioni italiane oltre a scrivere su diverse testate. Ha pubblicato i saggi L’Iran s-velato. Antropologia dell’intreccio tra identità e velo (2008), L’altro islamico. Leggere l’Islam in Occidente (2009) e La fine del sesso? Relazioni e legami nell’era digitale (2017). Il suo ultimo libro è “Il senso della Specie” (Il Margine 2021).