Ha un’anima gentile e delicata Caterina Cropelli. Lo si comprende ascoltando le sue canzoni, anche quelle più poppettare e allegre certo, ma anche quando la si incontra, come abbiamo fatto noi per Trentinomese, per farsi raccontare il suo secondo album “In queste stanze piene”. Caterina (il cognome non ci va quando si parla del suo nome d’arte) è nata a Cles nel 1996 e mastica musica da quando aveva tredici anni. Nel 2016 Fedez la sceglie per la sua squadra, le “Under Donne”, a X Factor. Vissuta l’avventura nel talent targato Sky, inizia a scrivere e a comporre le sue prime canzoni che solo dopo quattro anni e alcuni singoli che non passano innoservati anche a livello nazionale diventeranno il suo primo disco di inediti “Caterina”. Da allora le sue canzoni hanno ricevuto milioni di clic on line e sono state ascoltate in molti live che hanno portato la cantautrice trentina in tutta la Penisola. Ma ora è tempo di farci raccontare “In queste stanze piene”.
Caterina, il secondo album non è mai facile, figuriamoci se il primo ha ottenuto una notevole visibilità.
Questo disco nasce proprio dal mio non sapere dove andare. Personalmente mi capita spesso, di perdermi ed arrivare poi in posti meravigliosi dove non sarei mai passata se non mi fossi persa. Così è partito questo viaggio, senza un’idea, lasciando che i miei piedi passo dopo passo mi portassero a qualcosa.
E cosa ne è uscito?
Direi un album che racconta di cose vissute in questi due anni, ormai quasi tre, dal primo disco. Sensazioni personali ma anche un po’ di tutti.
Il titolo, “In queste stanze piene”, richiama ad una dimensione casalinga.
Tutte le strade e i chilometri e chilometri percorsi in questo tempo mi hanno portato a questa “casa” e “In queste stanze piene” di vita, di problemi, di speranze, di amore, di ricerca di noi stessi e l’accettazione delle nostre parti più buie e profonde, per scoprire poi che tutto quello che dovevamo fare era cambiare una lampadina per vederci chiaro.
Un bisogno di casa?
Sì, e di un posto nel mondo: l’ho capito solo dopo aver concluso il disco che per me è stato guidato dall’inconscio. Forse prima di tutto siamo noi la nostra casa, dovremmo essere noi il primo posto in cui stiamo bene per poi stare bene con gli altri, ma questo lo sto ancora cercando di imparare.
Qual è la maggiore differenza nei suoni, con gli arrangiamenti affidati a Clemente Ferrari, rispetto al tuo debutto?
Lui ha voluto bene da subito a questo progetto che è cresciuto e si è trasformato insieme a noi e anche in questo secondo disco ci ha messo tutto il suo affetto. Credo ci sia molta varietà di sound, con alcuni pezzi molto tirati, brani pop, alcuni tendenti al rock, per passare poi ad ukuleli e altri un tantino più “chillout” e spensierati, ma anche gospel, e i suoi immancabili arrangiamenti d’archi che concludono con quella punta di colonna sonora. Tutto però ha un filo comune molto solido e riconoscibile.
Nelle note di “Sempre più piccola”, la bonus track del cd, racconti una parte importante del tuo vissuto.
Si tratta del primo pezzo che ho scritto nella mia vita e parla dei disturbi del comportamento alimentare di cui ho sofferto in adolescenza. È una canzone sicuramente acerba proprio perchè è la prima ma forse per questo è molto vera. Mi è capitato in questi anni di suonarla in giro, e trovarmi davanti persone che si emozionavano per questa canzone e alle volte di trovarmi io stessa a trattenere le lacrime. Per me è una cosa bella perchè significa che mi ricordo per dove sono passata. Spero che possa essere d’aiuto e di rincuoro a molte persone, a chi ne soffre, a chi ne è uscito e a chi lo sta vivendo indirettamente. Essere uscita dai Dcd è stato un grande atto d’amore verso me stessa e dare una “stanza” a questa canzone era doveroso.
Ma che musica suona Caterina ?
Mah – sorride – non so dirlo bene nemmeno io, c’è chi lo chiama indie, chi pop, chi può dirlo 🙂 Tendo a scrivere quello che mi piace, l’importante è che mi diverta a suonarle e a cantarle queste canzoni.
Ti piace il termine cantautrice per definirti?
Moltissimo, ma sulla mia carta d’identità c’è scritto “musicista” che forse è un termine che mi piace ancora di più, perchè è un nome neutro, imparziale, è l’articolo che metti davanti che determina il genere altrimenti è un nome che resta li sospeso ed include tutti.
Come nascono i tuoi brani?
“Questa è una bella domanda dalla risposta assai complicata. Ogni canzone nasce a sé, alcune sono molto più ispirate altre un po’ più cercate. Le prime parole però escono sempre in automatico e sono quelle da cui mi lascio guidare. In qualsiasi mia canzone ascoltiate le prime parole del testo sono cosi come le ho pensate la prima volta. Poi capita che andando avanti su alcune cose ci si vada di fino mentre altre restano quelle punto e basta.
E quando capisci che “ecco questa è una canzone giusta” e la registri?
Non lo capisco quasi mai, avrei buttato un sacco di canzoni se non le avessi fatte sentire a Piero, alcune di queste sono tra quelle che le persone apprezzano di più, ad esempio “Quando” inizialmente non volevo farla sentire nemmeno a Piero Fiabana che ha dovuto insistere e… per fortuna l’ha fatto.
Appunto Fiabane una figura importante della musica trentina da tempo al tuo fianco.
Se non avessi incontrato Piero questi due dischi non esisterebbero e io non avrei scritto mezza canzone.
Cosa ti resta dell’esperienza di X Factor?
Quando ho partecipato ad X Factor avevo vent’anni ed era la prima volta che mettevo il naso fuori dalla piccola realtà della mia valle. Sicuramente per quanto intensa e faticosa, perché comunque di televisione si parla, aver avuto la possibilità di fare quel percorso mi ha fatta crescere molto e mi ha indirizzata verso alcune strade che non avrei mai preso come ad esempio la scrittura e composizione di canzoni. Ogni tanto mi ricordo delle cose che ho potuto fare su quel palco e penso che è stato bello poterle fare.
La rifaresti?
Non è scontato essere presi in un talent quindi mi sento molto fortunata ad aver avuto questa possibilità. Ho anche capito che non si è mai veramente pronti per questo tipo di programmi e per quanto grata dell’esperienza che ho potuto vivere non riuscirei proprio psicologicamente a pensare di rifarlo, o meglio rifarne un altro. Una volta è sufficiente.
Da poco è andato in archivio Sanremo 2023: ti piacerebbe essere prima o poi sul palco dell’Ariston?
L’Ariston è pur sempre l’Ariston, certo che mi piacerebbe un giorno poter calcare quel palco così prestigioso che fa anche un po’ paura.
Quali sono i tuoi miti musicali?
Ne ho troppi, e da tutti prendo quello che più mi piace e cerco di metterlo nelle mie canzoni. Vengo da ascolti molto “black”, sono un’amante del Soul, del Blues, del Funk e chiaramente del Rock’n Roll. Sono cresciuta ascoltando Ray Charles, Aretha Franklin, Donny Hathaway, Stevie Wonder, Stevie Ray Vaughan, Hendrix, Beatles e moltissimi altri. La mia musica e il mio animo restano però molto pop, quindi spero che quella scintilla che mi si accende quando ascolto le loro canzoni in qualche modo si trasferisca anche nella mia scrittura.
Un disco italiano e uno straniero per te imprescindibili?
Di italiani, così di getto, me ne vengono due, “Una somma di piccole cose” di Niccolò Fabi e “Il padrone della festa” del trio Gazzè/Silvestri/Fabi rigorosamente nella versione live. Disco straniero… “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles l’ho consumato, ma come ne ho consumati molti altri.
Quali rapporti hai con le tue radici, la tua terra?
Sono molto legata al Trentino. Da piccola pensavo che me ne sarei andata via in una grande città, crescendo ho capito di essere una “montanara”, sono un’amante della natura e di conseguenza devo averla sempre a portata di mano. Fare musica mi porta molto in giro ed è meraviglioso viaggiare, vedere posti e conoscere gente nuova, forse è questo il segreto che rende dolce il ritorno a casa. Molto spesso mi si chiede se è limitante abitare in Trentino io credo che si debba stare dove stiamo bene, che prendere una macchina o un treno e spostarsi è un attimo.
Ora dove vivi?
A Trento, mi sono spostata dal mio paesino d’origine che è Monclassico, per me è il giusto compromesso tra l’essere in mezzo alla gente e a portata di natura, è una piccola realtà che mi piace molto.
Oltre la musica che passioni hai?
Beh, sono una “montanara” mi piace il trekking in montagna e l’arrampicata, che pratico solo in compagnia di mio padre, è lui l’esperto. Ho un passato da ginnasta, ho fatto agonismo per molti anni, nell’ultimo periodo mi sto rispolverando un po’. Sono tornata in palestra ma la ginnastica artistica non perdona ci sono alcune cose che non riesco più a fare, o meglio non devo fare, altrimenti resto bloccata a letto. Però è un’occasione per mantenere allenate alcune movenze che altrimenti andrebbero perdute anche a causa delle paure che ci vengono con la vecchiaia. Insomma mantengo allenata un po’ di sana incoscienza. Dimenticavo: di tanto in tanto disegno!
Hai animali?
Ho una cagnolina che amo moltissimo, lei abita a casa dei miei ma cerco di tornare spesso per fare un po’ di passeggiate assieme.
Quali rapporti hai con i social?
Probabilmente se non facessi questo lavoro non li avrei. Cerco di vederli come un modo per essere più vicina a chi ascolta la mia musica, rispondo a tutti, e li uso per comunicare tutto quello che riguarda musica e concerti.
Restando alla dimensione web: che effetto ti fanno le cifre (parliamo di milioni) legate agli ascolti dei tuoi brani?
è bello sapere che ci siano molte persone ad ascoltarmi, la vera soddisfazione arriva quando questi numeri si rivelano come volti durante i live. È una cosa su cui sto lavorando molto, stiamo lavorando, con Piero e il mio team. Con l’avvento dei social e delle piattaforme streaming si è persa quella magia dell’attesa, ora siamo continuamente bombardati da informazioni e nuova musica, una canzone non ha il tempo di sbocciare che è già finita. La nostra soglia dell’attenzione si è abbassata. Non abbiamo la pazienza di ascoltare e skippiamo.
Quanto possono condizionare un artista nel bene e nel male appunto questi numeri?
I numeri condizionano un po’ tutti, artisti e ascoltatori; sta a noi non farci condizionare ma andare un po’ più sul pratico, per quanto mi riguarda facendo quello che mi piace e cercando di costruire qualcosa che possa rimanere nel tempo e che guardandomi indietro mi faccia sentire comunque grata e fiera del lavoro svolto.
Il reale invece è fatto di live.
Infatti, tornando sempre al pratico, al concreto e a ciò che puoi toccare con mano il live è la vita vera. Un modo di comunicare che ha un linguaggio tutto suo e che tutti possono capire, è fatto di musica, di sguardi e di scambi vibrazionali. È ciò che da un senso alla fatica.