Il reddito di cittadinanza? Non è un regalo

Iosif Brodskij (1940-1996) venne accusato nel 1964 e condannato a cinque anni di esilio per “parassitismo sociale”. Nel 1987 vinse il Nobel per la letteratura

“Percepiva il reddito di cittadinanza ed era ai Caraibi”: questo è solo l’ultimo titolo di giornale di una campagna che sembra tesa quasi scientificamente a screditare il reddito di cittadinanza, o reddito minimo di garanzia, come venne chiamato in Trentino quando introdotto, nell’autunno del 2009, prima esperienza in Italia, dopo la crisi finanziaria internazionale, per venire incontro a quei nuclei familiari il cui reddito complessivo scivolava sotto la soglia di povertà (circa 6.500 euro annuo per una persona, andando a crescere progressivamente).  

La tesi è vecchia come il mondo: gli aiuti ai poveri creano pigrizia e parassitismo, favoriscono i furbi, quelli che non avendo voglia di lavorare, vogliono vivere alle spalle degli onesti lavoratori che pagano le tasse. È, questa, una tesi figlia di un’altra idea, radicata forse ancora più in profondità nella nostra cultura (in verità più nella cultura protestante che in quella cattolica): la povertà è una colpa, è il prodotto di una sorta di disfunzione morale, di una cattiva attitudine, se non di qualcosa di ancora più grave, una condanna in qualche modo ancestrale, “divina”, che bisogna scontare. Corollario di questa tesi ve ne è infine un’altra: la ricchezza è il frutto di maggiori capacità e maggiore intelligenza, ma è anche il segno che alcune persone sono predestinate, dalla sorte o dal nostro Creatore, a comandare e regnare sulle altre. Un po’ come avveniva all’epoca delle monarchie assolute, quando i re e le regine si riteneva fossero tali perché Dio lo aveva voluto (non diversamente la pensavano  gli egiziani all’epoca dei faraoni, segno questi che il progresso dell’umanità procede, attraverso i secoli, assai lentamente).

Che i poveri siano poveri perché sono pigri, o perché colpevoli di qualcosa, mi sembra, di tutte le idee, una delle più detestabili. Ora, certamente il mondo è pieno di furbi e ci sarà sempre chi approfitta delle politiche riequilibratrici che lo Stato è tenuto a mettere in campo per temperare le diseguaglianze sociali, tantopiù in un’epoca di precarietà quale è quella che stiamo attraversando. Perché: i ricchi forse non ne approfittano? Forse che l’Italia non è uno dei paesi con la più gigantesca evasione fiscale in Europa? Forse che nella storia del capitalismo del nostro Paese non abbiamo assistito ai peggiori comportamenti, da parte di chi già aveva tantissimo, dalla corruzione dei pubblici poteri all’allegra esportazione all’estero, nei cosiddetti “paradisi fiscali”, di ricchezze costruite qui, spesso con l’aiuto pubblico? 

Far sì che il welfare sia efficace, selettivo ed equo è ovviamente un impegno che tutti i paesi europei si sono assunti, in varia misura, anche se non ha portato ad una legislazione unica in materia. Così, da un paese all’altro variano anche considerevolmente le condizioni di partenza necessarie per accedere al reddito di cittadinanza, e variano i cosiddetti “criteri di condizionalità”, espressione che in soldoni significa: i beneficiari devono dimostrare un atteggiamento positivo nei confronti del lavoro, e darsi da fare per superare la loro condizione di indigenza. In cambio dell’aiuto pubblico, fra le altre cose, il percettore  potrebbe ad esempio essere utilizzato per realizzare opere in favore della collettività, come accade in Trentino con il famoso Progettone.

Comunque, attenzione: il reddito minimo è una misura che l’Italia ha adottato come buona ultima in Europa, assieme alla Grecia. Non siamo affatto un Paese generoso o di manica larga, su questo terreno (lo siamo stati forse fin troppo in altri campi, invece: vi ricordate le pensioni statali concesse con 15 anni, 6 mesi e un giorno di lavoro?). Alcuni paesi, come l’Olanda o il Belgio, ce l’hanno già dagli anni 70. Gli altri si sono aggiunti nel tempo: Germania, Francia, Inghilterra, Austria (dove c’è la Sozialhilfe) e così via. Le esperienze sono diverse, e sono in continua evoluzione. Per favore, non fermiamoci all’idea che chi ha bisogno del sostegno pubblico, in un determinato momento della sua vita, è un approfittatore o un nullafacente.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.