Andreas Loacker: la sostenibile leggerezza di un wafer

Lui è sempre in giro per il mondo, impegnatissimo a seguire l’azienda nelle sue tante declinazioni. Ma nonostante si trovi a chilometri di distanza, ci parla dello storico marchio del Renon come se in quel momento fosse lì tra quei boschi e quei prati, a respirare l’aria fresca e cristallina che l’ha visto crescere, come persona e come manager. E allora capiamo che non si tratta di semplice “conduzione familiare”, quanto di un profondo radicamento al territorio ed alle tradizioni. 

Andreas, iniziamo con una panoramica sulla storia dell’azienda: come nasce la Loacker?

Al momento siamo alla terza generazione in azienda; personalmente, sono attivo da ben 23 anni. Ho visto il passaggio da mio nonno Alfons (classe 1901), il primo a partire con l’attività, a mio padre Armin, fino ad arrivare ai giorni nostri. Ma ci sono tanti ricordi di famiglia. Ad esempio, ho ben nitida in mente l’immagine del 1925, quando siamo partiti come “Loacker”. Il nonno era stato mandato da Innsbruck – era originario di Götzis, a un paio d’ore dalla città austriaca – a Bressanone per fare la scuola di pasticcere, all’età di 13 o 14 anni. Finiti gli studi, è andato a lavorare a Bolzano, in una pasticceria sotto i portici. I titolari non avevano figli e lui con il suo entusiasmo ha convinto il proprietario ad affidargli la gestione del negozio. Poi ha messo il suo cognome sull’insegna. 

Alfons Loacker con alcuni collaboratori davanti alla sua pasticceria a Bolzano

È vero che il vostro “cammino verso il wafer” ha a che fare con lo sport?

C’è a riguardo un aneddoto molto divertente. Il nonno era anche un calciatore molto appassionato. Il problema è che la pasticceria lavorava bene specialmente nel fine settimana, chiaramente quando si giocavano le partite. Insomma il buon Alfons per anni si è diviso tra le due passioni. Dopo un po’ ha cominciato sempre di più a tralasciare i prodotti freschi, in modo da poter produrre durante la settimana e vendere ancora il sabato e la domenica. Quindi ha abbandonato del tutto la pasticceria fresca, puntando sulla gastronomia con i prodotti dolci. Ecco svelato il motivo del passaggio alla produzione da laboratorio! Non posso proprio dire “industriale”, perché si realizzava tutto a mano, ma il calcio ha di fatto dato origine a quello che è la Loacker oggi. 

Incredibile, merito del pallone!

Si è trattato del primo bivio professionale. Il nonno ha privilegiato i prodotti di più lunga durata. E tra cioccolatini e biscottini e wafer – nella nostra sala riunioni ci sono ancora le vecchie foto – ha puntato dritto verso il wafer. 

Poi, però, dal wafer siete arrivati alle caffetterie “firmate”.

Tra il 2007 e il 2008 abbiamo fondato la nostra linea di caffetterie, da un’idea di mio fratello Martin. Anche lui pasticcere. L’idea era quella di tornare alle origini. Le cinque caffetterie attuali sono dislocate tra Bolzano, il Brennero e l’Austria. Ma non è tutto; abbiamo ripreso alcune ricette vecchie e Martin ha cominciato a rifare un po’ di storici dolciumi. 

Controllo della qualità

Torniamo un attimo alla storia: dopo nonno Alfons è arrivato papà Armin. 

Quando mio papà è entrato in azienda a 16 anni, nel ’56, si producevano esclusivamente wafer. In mezzo c’era stata anche la Seconda Guerra, situazione in cui il nonno aveva dovuto interrompere più volte le attività a Bolzano per i bombardamenti. Ricordo i primi anni di mio padre: a Bolzano in piazza Domenicani, accompagnavo incuriosito i miei genitori… Il passaggio dal nonno al papà ha dato l’avvio alla produzione in serie. Armin ha studiato pasticceria in Svizzera. Per noi è fondamentale studiare all’estero, per apprendere nuove nozioni e culture. Con Armin la produzione ha raggiunto quantitativi più alti e ha fatto il primo passo per diventare un’azienda industriale. Lui aveva la passione per le macchine e si è dedicato anima e corpo a quantità e qualità. Una sfida, la sua, che è diventata il nostro punto di forza. 

L’attenzione alle materie prime è la filosofia di Loacker.

Siamo molto attenti nella scelta, a tutto quello che dà un gusto naturale al prodotto. È la nostra missione: dare gioia con il gusto. L’attenzione alle materie prime è qualcosa che ha cominciato già mio padre: scegliere quelle più idonee. Vent’anni fa ho deciso di capirne di più. E qui è partito il progetto agronomico: andare sul campo e vedere dove nasce la qualità. Da più di 10 anni ormai abbiamo cominciato un progetto per l’integrazione verticale con le materie prime. Siamo partiti con le nocciole, in Toscana, con un campo sperimentale, in collaborazione con le università. L’obiettivo era quello di impostare una filiera, a partire dagli agricoltori. Sulla nocciola, abbiamo realizzato un’importante filiera che ha contribuito a rafforzare la produzione italiana.  Non dimentichiamo che fino agli anni ‘60 l’Italia era produttore mondiale di nocciole. Ecco da dove viene il gusto del Napolitaner, il nostro prodotto principe. 

La sede Loacker ad Auna di Sotto / Renon, a 1.000 metri, con lo Sciliar sullo sfondo

Il discorso vale anche per la vaniglia?

La usiamo fresca. Siamo andati in Madagascar, papà ed io, per scegliere le bacche di vaniglia più buone; a livello industriale siamo stati i primi a lavorare con la vaniglia fresca e non con la vanillina. E non vaniglia qualunque, ma la più buona che c’era sul mercato. Attualmente siamo i consumatori più grandi in Italia: parliamo di 4 tonnellate. Per noi è stata una scelta impegnativa e anche un po’ rischiosa. Non sapevamo se la scelta sarebbe stata compresa dai clienti… I fatti ci hanno dato ragione. 

Questa ricerca sulla vaniglia nasce da una storia interessante. 

La situazione politica all’Isola della Reunion ed in Madagascar era abbastanza critica. A causa di questo, il progetto stava per saltare. Il caso ha voluto che  la nostra responsabile vendite della zona europea avesse un fratello sposato con una ragazza originaria proprio del Madagascar, che tra l’altro stava cercando un modo per aiutare il suo paese d’origine. Ecco come è partito il progetto.  

Parliamo anche di cacao e solidarietà.

Qui abbiamo realizzato progetti attivi con l’associazione Altromercato; poi abbiamo trovato altre fondazioni onlus che ci hanno dato una mano, sempre in accordo con la gente del posto. Con queste iniziative abbiamo attivato importanti progetti sociali in Africa e in Sudamerica. Per noi era eticamente fondamentale non solo ottenere una buona materia prima, ma anche dare un contributo al contesto sociale. 

Dulcis in fundo, il latte. 

Il discorso non cambia. Tre anni fa abbiamo aperto lo stabilimento montano di latte alpino. Tutto è cominciato un giorno, quando con mio cugino e mio fratello eravamo su un prato davanti allo stabilimento – che è a mille metri di altitudine, con una vista fantastica verso le Dolomiti. In quel periodo il latte lo prendevamo dalla Germania o dall’Olanda. È nata lì l’idea di prendere il latte autoctono, delle Alpi.  

Armin con suo padre Alfons Loacker, fondatore dell´azienda

L’attenzione alle filiere è frutto di un grande lavoro d’equipe. 

È motivo d’orgolio per noi. Tutte le materie prime derivano da una filiera integrata. Diamo lavoro all’agricoltura e alla pastorizia e, allo stesso tempo, i nostri prodotti sono genuini. E più apprezzati. 

La sostenibilità si mette in campo anche con la ricerca. 

È indispensabile. Ad esempio, per capire come ridurre ogni anno il quantitativo di acqua consumato a chilo di nocciole. O come ridurre il consumo di energia. Abbiamo all’uopo un team che si occupa di diminuire gli sprechi, per avere una struttura efficace anche dal punto di vista energetico. E c’è ancora molto da fare. La sostenibilità è oramai parte integrante del nostro spirito aziendale. Abbiamo una grande responsabilità e dobbiamo gestirla con coscienza. Non solo per noi, ma anche per le prossime generazioni. 

Questa preoccupazione ambientale viene direttamente dall’infanzia…

Noi siamo cresciuti qui. La mia infanzia l’ho trascorsa nei boschi del Renon. La mamma si arrabbiava perché quando tornavo da scuola non rientravo subito a casa, ma andavo in giro per i boschi con gli amici. Qui la vita ha un’altra velocità. È innegabile la bellezza dei nostri luoghi. Sono tanti i visitatori attratti anche dalla scenografia che si erge sullo sfondo degli stabilimenti. 

La terza generazione al timone dell´azienda: Ulrich Zuenelli e i cugini Andreas e Martin Loacker (da sin a dx)

Conduzione familiare e direttivo, un tassello importante.

Quando sono partito, vent’anni fa, c’erano ancora alla guida mio padre e mia zia; noi eravamo più nell’ombra. Da un po’ di anni abbiamo fatto il cambio generazionale; adesso siamo alla terza generazione, composta da me, mio fratello e mio cugino. Nella prossima generazione – tra i miei figli e quelli di mio cugino – saranno più di dieci. Per questo abbiamo pensato alla Loacker Family Holding: una struttura in cui viene organizzata proprio la gestione della famiglia. I numeri aumentano, con essi cresce la complessità; per questo abbiamo bisogno di un management forte. 

Come vede l’azienda nel futuro?

Abbiamo tante sfide all’orizzonte. La prima è appunto l’organizzazione: l’azienda è costituita da persone, siamo noi, tutti insieme, la Loacker. Significa tenere questo spirito familiare anche parallelamente alla crescita, e non è facile. L’altra sfida è sicuramente rendere l’azienda pronta per il futuro. Io ho cinque figli, per questo ho l’interesse che anche loro possano  anzitutto vivere bene, proprio come io vivevo da bambino nei boschi. L’obiettivo non è solo quello di ridurre gli sprechi, ma anche quello di riflettere ogni giorno su cosa si può migliorare. La terza è di trovare altre idee belle, innovative. Poi naturalmente c’è anche la parte economica. Ma la sostenibilità è la sfida più grande, personale, che porto nel mio cuore.

La famiglia Loacker negli anni Sessanta
Domande fisse ad Andreas Loacker
Il libro che sta leggendo? Un testo che spiega come trovare un equilibrio tra lavoro e vita personale. 
Il suo numero preferito? L’8. Io sono nato l’8 dell’8 del 1968, alle 8 di mattina. Sì, l’8 per me è speciale. 
Il suo colore preferito? Verde, come il bosco, i prati, la natura. 
Il piatto che ama di più? Gnocchi di patate di mia nonna, passati in forno con pomodoro e formaggio. 
Il film del cuore? Guardo poco la tv… (questa domanda è più complicata di quella del libro!). Ammetto che non mi viene in mente niente. 
La squadra di calcio? Alla partita Austria-Italia degli ultimi Europei tutta la mia famiglia ha tifato per l’Italia. Io ero un po’ combattuto: mia mamma è di Vienna, mio papà era oriundo. Insomma, percepivo le mie origini. Che dire? Tifo per l’Italia – mia moglie è italiana di madrelingua –, ma un po’ anche per l’Austria….
L’automobile preferita? La hybrid della BMW, anche se adesso sto guidando una Tesla, ideale per i viaggi lunghi. Sono diversi anni che guido solo macchine alternative: prima idrogeno, adesso elettrico.
Il viaggio che non è ancora riuscito a fare? L’India, per i colori, per il senso religioso. Un paese bellissimo ma molto complesso, che mi interessa proprio per tutte quelle differenze che la caratterizzano. 
Ha animali domestici? Ho un cane, un labrador nero.
Cantante, compositore o gruppo preferito? Mi piace la varietà musicale di Jovanotti. 
Qual è la qualità che apprezza di più in una persona? La sincerità, l’apertura mentale. 
Il difetto che negli altri le fa più paura? Il contrario, quando la gente ti racconta bugie.
La sua idea di sostenibilità? Per me la sostenibilità è la missione della vita. Con cinque figli, automaticamente il pensiero che posso fare è che anche loro stiano bene. Per me questa è sostenibilità. 
La cosa che le fa più paura? Tutti questi cambiamenti climatici e le epidemie. Mi angoscia il numero di abitanti del pianeta, non so quanto le risorse potranno reggere.
Ha un suo sogno notturno ricorrente? Sì, io sogno tanto. Sono una persona creativa, emozionale e per questo nel sonno elaboro tutto quello che vivo durante la giornata. La notte mi passa tutto davanti, il positivo e il negativo. 
Se non avesse fatto quello che ha fatto, cosa avrebbe voluto fare? Bella domanda, perché guarda caso sono in una fase di riflessione. Volevo diventare o falegname o guardia forestale, perché sono cresciuto in montagna. Poi mio papà mi ha convinto a fare l’ingegnere tecnologico. Ogni tanto penso a come sarebbe la mia vita se fossi ogni giorno nel bosco o a lavorare la legna, a fare qualcosa di pratico e naturale. Ho una nostalgia atavica di quel mondo.

(Andreas Loacker ci ringrazia per le bellissime domande, che lo hanno portato a riflettere… Nel suo viaggio da Firenze a Bolzano penserà soprattutto all’ultima.)
Stabilimento produttivo Heinfels

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Pubblicato da Tiziana Tomasini

Nata a Trento ma con radici che sanno di Carso e di mare. Una laurea in materie letterarie e la professione di insegnante alla scuola secondaria di primo grado. Oltre ai grandi della letteratura, cerca di trasmettere agli studenti il piacere della lettura. Giornalista pubblicista con la passione della scrittura, adora fare interviste, parlare delle sue esperienze e raccontare tutto quello che c’è intorno. Tre figli più che adolescenti le rendono la vita a volte impossibile, a volte estremamente divertente, senza mezze misure. Dipendente dalla sensazione euforica rilasciata dalle endorfine, ha la mania dello sport, con marcata predilezione per nuoto, corsa e palestra. Vorrebbe fare di più, ma le manca il tempo.