Bisòn aver rispét

Finalmente era arrivato il grande giorno. Dopo circa tre anni di attesa, M. avrebbe potuto rivedere la sua amata. Ogni sorta di cataclisma si era abbattuto sulla loro storia d’amore: sembrava infatti che il destino facesse di tutto per mettere il bastone tra le ruote ai due innamorati, rovinando irrimediabilmente tutti i piani. Prima la malattia di sua madre, poi una pandemia a livello globale, per non dimenticare dei problemi a lavoro con suo zio! Era tutto un continuo rimandare. M. ormai era quasi convinto che quella storia non doveva proprio esistere. Lui abitava in una valle sperduta del Trentino, nota ai più solamente perché migliaia di anni fa degli individui avevano deciso di costruire delle ridicole palafitte dove vivere. Ma non potevano inventarsi niente di meglio? Quante volte M. aveva maledetto la sua valle, quante volte pieno della sua collera per il suo luogo natio avrebbe voluto prendere una motosega e buttare giù quelle orripilanti costruzioni che ogni anno portavano orde di roditori a visitarle. Si vabbè, una volta c’erano le paludi e quindi questo era stato un ingegnoso metodo per sopravvivere e blablabla. Ma siamo nel 2024 cribbio! Anche basta con questa sacralizzazione dell’osceno, vi prego! L’unica cosa buona che quelle maledette palafitte avevano portato nella sua vita era stata T., una ragazza romana della sua età. La povera T. era stata costretta dalla sua famiglia in quel pellegrinaggio dell’assurdo, e così i due si erano incontrati. L’amore fu fulmineo, coadiuvato e alimentato dal comune odio per la divinizzazione cieca del passato. Iniziarono uno scambio epistolare lunghissimo, che avrebbe dovuto trovare la sua conclusione e sintesi proprio nella giornata odierna.

Eccitatissimo M. si stava mettendo le scarpe quando entrò sua madre di corsa. “L’è vegnuda zo! L’è vegnuda zo tuta!”. M. odiava il loro dialetto, lo trovava bifolco e stupido. Chiese subito a sua madre cosa fosse venuto giù. La pioggia, la santissima madonna, LE PALAFITTE? Per un attimo M. ci sperò con tutto il suo cuore: sarebbe stata davvero una giornata perfetta. “Ma valà stormenito! Sa diset su? L’è vegnuda zo la montagna! Tonnellate e tonnellate de roba! La strada l’è tuta blocada, sem rovinadi”. M. rimase pietrificato. La montagna? La strada? Era davvero successo? L’unica strada che poteva riunire lui e T. era ora bloccata da circa 300 tonnellate di roccia. Corse a perdifiato sul posto dove i vigili del fuoco volontari stavano mettendo in sicurezza la zona. M. si avventò su di uno di loro, suo compagno di classe all’epoca, implorando di fare qualcosa, che proprio quel giorno no, non era possibile, che ci doveva essere un modo, che avrebbe scavato a mani nude e risolto la situazione nel giro di un paio d’ore. “Ma valà semo, ti no te gai tute le fasine al coert. Chi ghe volerà almen almen do tre stimane. Beh, al manco l’è rivà algeri quel dela bira, basta che no ne beven masa e ghe la fen!”.

M. rimase impassibile alla battuta, alla frana, al disastro della sua vita. Ormai era chiaro: la sua valle, il suo luogo natio, che tanto aveva odiato, si era finalmente vendicato. Le rocce sembravano deriderlo, come a dirgli: “Te hai vist che te l’aven fata pagar alla fin? Ingrato che no te sei altro! Bison aver rispet bison!”.

M. non volle nemmeno tornare a casa. Si diresse invece al lago. Le palafitte stavano lì, immobili, come era da migliaia di anni. M. entrò piano nell’acqua, era fredda ma lui non la sentiva. Tirò fuori dalla tasca il suo amato coltello a serramanico, lo guardò, guardò il palo che sorreggeva quella maledetta casa per degli istanti che parvero interminabili. Poi lanciò il coltello, abbracciò il pallo e iniziò a piangere sommessamente, lasciandosi cullare dalla cheta acqua matrigna che ora governava totalmente la sua vita.

Il crollo

Lo scorso domenica 11 febbraio, verso le 18:45, uno sperone di roccia lungo venticinque metri è crollato sulla statale 240 della Val di Ledro, rendendola impraticabile.

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Pubblicato da Fabio Loperfido

Nato allo scadere del millennio, Fabio è uno studente errante che ancora non ha ben chiaro cosa potrebbe volere il mondo da uno come lui. Nel mentre prova ad offrire ciò che vede con i suoi occhi tramite una sua lettura, con la speranza che il suo punto di vista possa essere d'aiuto a qualcuno martellato dai suoi stessi interrogativi.