Il racconto del Conte: Ulrico Spaur e Castel Valer

È stato l’ultimo abitante di Castel Valer, gioiello architettonico incastonato nella Valle di Non.  Ulrico Spaur – scomparso all’inizio del 2021 – ci accolse nel maniero e ce ne mostrò le meraviglie…

Lo confesso. Quando arrivo nel paese di Tassullo non posso non pensare di essere improvvisamente diventato l’agrimensore K., il protagonista del celebre romanzo “Il castello” di Franz Kafka. In un allegro (e un po’ puzzolente) via vai di trattori, mi infilo in un bar per prendere un caffè e chiedere qualche informazione sul maniero che sovrasta il centro abitato noneso e sul suo unico abitante, il Conte Spaur, appartenente all’unica linea di discendenza superstite delle sette originarie dell’antica famiglia tedesca.

Gli avventori mi descrivono il luogo con dovizia di particolari, mi indicano la strada d’accesso, quindi provano a capire quale sia il motivo della mia visita mattutina. “Sono un giornalista” confesso. Devo intervistare il Conte. Beh, è normale, commentano… Oramai non si può più parlare di Valle di Non senza parlare di Castel Valer.

Per il Presidente dei castelli medievali europei, questa costruzione è la numero uno, per stato di conservazione, per preziosità e rarità dei beni contenuti e per molti altri aspetti. Vista da lontano, invece, non appare imponente come invece è realmente, pare davvero camuffarsi nel territorio, come una bella donna che fa di tutto per celare il proprio fascino.

Il mastio è il più alto del Trentino, l’unico a forma ottagonale dell’intero arco alpino. L’intero complesso architettonico è formato in realtà da due strutture: la più antica, risalente al XIV secolo, denominata “Castel di sotto”, e l’altrettanto antica, ma del XVI secolo, struttura di “Castel di sopra”. Insomma, una vera e propria cittadella fortificata nella quale pare sia facile perdersi: sia con la mente, sia in senso stretto.

Eccolo il Conte Ulrico Spaur, imponente, con portamento elegante, agile nonostante il bastone. Mi fa accomodare in una delle ottanta sale presenti, giusto accanto alla gabbia del loquace pappagallo Archie, che continua a ripetere cose imitando la voce del suo titolato padrone.

Ci si aspetterebbe che il Conte viva da sempre a Castel Valer, ed invece è nato a Milano nel 1940, dato che suo padre dirigeva le Assicurazioni Pace. Non fa a tempo a nascere che la famiglia è costretta a scappare in Renon, sopra Merano, a casa dei nonni, in seguito alla dichiarazione di guerra del 10 giugno. Il nonno Volmaro era stato un ufficiale austriaco, impegnato in guerra per tutta la durata del primo conflitto mondiale, quando il Castello venne requisito dall’esercito.

Finisce la guerra, con l’esito che sappiamo. “Mia nonna scriveva che fino al Brennero tutto andava bene. Ma già a Bolzano si vedevano facce strane”. Sì, insomma, erano arrivati gli italiani. Ciononostante, gli Spaur possono tornare a castello. È tutto a posto, a parte qualche stufa a olle spaccata e parte dell’argenteria sparita.

Si capisce che nei ricordi di Ulrico occupa un posto particolare lo zio Pietro, ufficiale degli alpini, caduto in Russia nel 1943. Pare abbia salvato i suoi uomini gettandosi sulle mitraglie russe. La sua camera è rimasta esattamente così come lui la lasciò quel giorno del 1943, quando poggiò il sigaro sul posacenere dicendo “questo lo finisco dopo”. E invece non tornò mai più.

Valeva la regola che i primogeniti delle famiglie di alto rango fossero prelati, diplomatici o militari. Il papà del nostro Conte, fratello maggiore di Pietro, non intraprese nessuna di queste tre strade. “Aveva un’indole un po’ ribelle. Voleva guadagnarsi da vivere per conto suo. E voleva andarsene in città”, ricorda Ulrico. Quindi divenuto manager, conosce a Berlino la tredicenne Elisabetta, figlia della baronessa Welzer, che diverrà sua moglie. Sposa la bellissima fidanzata nel 1938. Lei è identica ad Ingrid Bergman. La bellezza non si è fatta mai desiderare in questa famiglia.

Dal canto suo, Ulrico viene messo a studiare dai rigidi francescani. Il Conte Spaur si iscrive a Giurisprudenza, ma capisce subito che non è la sua strada. O meglio, la città felsinea offre troppe distrazioni. Così si sposta a Monaco, presso la locale facoltà di Economia e Commercio. Non arriva alla laurea perché riceve una proposta troppo allettante da un grosso Fondo di Investimento americano che sta cercando nuovi clienti in Europa. Come andavano gli affari? “Il primo anno abbiamo raddoppiato il fatturato…”.

Erano gli anni Cinquanta del Novecento, e al castello c’erano ancora gli anziani nonni. Saltuariamente Ulrico Spaur ci tornava, spesso solo per un saluto. Per le vacanze la famiglia continuava a preferire la residenza del Renon.

Il papà abitava a Milano, dove dalle finestre del suo ufficio di Piazza Cavour vide Indro Montanelli cadere sotto i colpi delle Brigate Rosse. Aveva anche un ufficio a Bolzano, città nella quale trascorrerà gli ultimi anni della sua vita all’Hotel Grifone, Piazza Walther, stanza 104. “Noi eravamo a Merano, ma lui lo vedevamo molto raramente. Non c’erano buoni rapporti con mia madre”, confessa il Conte.

Dopo un primo matrimonio durato un solo giorno e annullato dalla Sacra Rota, il Conte sposa una contessa Kuenburg che gli dà quattro figli: Anna, cardiologa a Monaco, Marie, disegnatrice di gioielli, Leo, che studia Economia e Commercio a Innsbruck, e Lucas, che lavora alla Apple di Monaco.

Il 1992 è l’anno in cui il Conte Spaur viene a castello, in concomitanza con la dipartita di suo padre, abbandonando così la sua residenza in Zillertall. Cominciano un serie di importanti lavori di restauro e consolidamento. “Fino ad oggi ho investito non meno di 17 milioni di Euro” confessa il Conte. Perché l’ha fatto? “Come diceva mio padre: Onere e onore”. Venticinque anni di spese e oggi il castello è in vendita. Per una questione molto semplice: non è divisibile in quattro parti, quanti sono i figli del Conte Spaur che, dopo un importante ricovero dell’autunno scorso, a 79 anni si sta interrogando sul futuro.

Alziamo gli occhi dal registratore, adesso, e ci guardiamo attorno. La magnificenza dei secoli di circonda. Non si sa veramente da dove cominciare nel raccontare quanto vediamo. Anzitutto le stanze private, quelle non visitabili dal pubblico, colme di cimeli, quadri, suppellettili che è riduttivo definire solo preziose. Si resta incantati entrando nella cappella di S. Valerio, interamente affrescata nel 1473 dai fratelli Giovanni e Battista Baschenis, i celebri pittori itineranti di origine bergamasca. 

Sarebbe davvero impossibile raccontare quello che vediamo. Possiamo solo citare i pezzi che ci hanno davvero tramortito. Ad esempio la tabacchiera regalata a Karl Spaur da Pio IX. Oppure la reliquia del lenzuolo con il quale la Veronica asciugò – secondo la tradizione – il volto insanguinato di Gesù. Nel grande salone delle feste troviamo una pendola Bertolli del XVI secolo con gli ingranaggi in legno e un clavicembalo sul quale Mozart suonò nella Chiesa di Ala. “Non è sempre stato così ben curato” dice il Conte. “Pensi che qualche decennio fa, in questo salone ci giocavano a tennis…” “A tennis?!” “Sì…” Ed in effetti, abbassando lo sguardo noto in terra ancora le linee che delimitavano il campo di gioco.

In assoluto, quello che mi colpisce di più è un cosiddetto “bastone animato” che Spaur sfodera con un colpo di spalla. Pare quasi una spada da samurai. “Questa viene dalla Prima Crociata, anni 1095-1099”. Confesso che adesso comincia a girarmi un po’ la testa. Quasi ogni stanza ha la sua stufa a olle, rigorosamente proveniente da Sfruz, la capitale di questo tipo di manufatti. Siamo ora sulla loggia, che domina l’intera valle. “Un tempo – sospira Ulrico Spaur – i possedimenti della mia famiglia di perdevano a vista d’occhio…”.

Ma è ammirando alcuni affreschi di Marcello Fogolino che porgo al Conte “la” domanda: il quesito che uno non può non fare visitando un castello. “Ma qui ci sono i fantasmi?” domando con un filo di voce. Ulrico Spaur mi fissa per qualche instante, sorride infingardo e poi mi dice: “Venga di là…”. Aspetti, aspetti un momento, vorrei ribattere. In che senso venga di là? Scherzavo, io non volevo fare veramente quella domanda. Cosa c’è esattamente di là?!

Arriviamo di fronte ad un letto. Qui comincia il racconto. “Una volta ho chiamato un medium svizzero e l’ho portato di fronte a questo letto. Chi dorme qui? Mi chiede. Beh, io, rispondo. A lui vedo che si rizzano i capelli… E dorme bene? Non tanto, confesso. Lui sorride. Vuole sapere perché? Su questo letto è stata avvelenata una ragazza di 19 anni… Si tratta di Verena Spaur, ed è accaduto nel 1670. Vado a controllare in archivio ed era tutto vero…”. Inutile dire che da quel giorno il Conte non ha più dormito in quel letto. 

Il rumore di un camioncino dei pompieri elettrico mi fa sobbalzare, e per fortuna mi porta lontano da queste storie soprannaturali. Un giocattolo, insomma, che ha una particolarità. È della fine degli anni Quaranta. Molto più vecchia la culla che accolse un bisnonno in fasce, confezionata a Parigi nel 1807.

Certo è una gran fortuna poter visitare tutto questo. Una fortuna che dal 2017 è accessibile a chiunque. Una convenzione infatti è stata stipulata tra Spaur e l’Apt della Valle di Non. Sono garantiti diversi giorni di visita dietro pagamento di un modesto biglietto. In cambio si può usufruire di una navetta e della visita guidata.

È strano uscire da Castel Valer, dopo questa ubriacatura di antichità. Il suono dello smartphone ci riporta a fatica nel 2019. Cerchiamo di ricordare quanto visto ripetendo mentalmente l’elenco, per paura di dimenticare la bellezza e l’incanto. Anzi, ci fermiamo di nuovo nello stesso bar di prima, questa volta per un aperitivo che plachi l’emozione. Guardiamo gli avventori con una certa aria di superiorità, adesso. Al contrario dell’agrimensore K., noi a castello ci siamo arrivati e abbiamo conosciuto il proprietario.

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Pubblicato da Pino Loperfido

Autore di narrativa e di teatro. Già ideatore e Direttore Artistico del "Trentino Book Festival". I suoi ultimi libri sono: "La manutenzione dell’universo. Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri” (Athesia, 2020) e "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022). Nel 2022 ha vinto il premio giornalistico "Contro l'odio in rete", indetto da Corecom e Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige. Dirige la collana "Solenoide" per conto delle Edizioni del Faro.