Silenzio in aula quando si parla di vizi senza età, ma anche di fragilità e disagio giovanile. E ritrovarli in uno scrittore del Novecento è una grande sorpresa…
Non servono indagini di rilevazione e studi psicologici. Né tantomeno tabulazioni e sondaggi d’opinione. Per zittire una classe non ci sono che due modalità: o pronunciare, anche a bassa voce, le parole magiche “oggi interrogo” oppure tirare fuori dal cappello magico dell’insegnante post moderno qualcosa che riesca a catturare l’attenzione. Ma non bastano più le favolette con la morale o il brano scanzonato che strappa qualche risata e che poi finiscono inevitabilmente nel dimenticatoio dello studente medio. Ci vuole qualcosa di attualmente coinvolgente, di direttamente avvinghiante, di assolutamente trasgressivo. Tanto da avere il gusto del proibito, che per sua stessa natura richiama – per assioma – il desiderio di violare la regola. Prendiamo il fumo, ad esempio. Quante volte da ragazzi ci hanno detto che fa male, che causa gravi malattie anche mortali, che crea dipendenza. Annuivamo con la testa – consapevoli forse della gravità – ma poi arrivava inesorabile, più o meno per tutti, il momento della prima boccata. Per alcuni si trattava solo di una sorta di iniziazione, per altri l’inizio di un vizio compulsivo. I dati statistici parlano chiaro: la prima sigaretta si fuma in giovane età, ancora sui banchi della scuola dell’obbligo. Società sempre più problematica? Specchio di figli sempre più lasciati a se stessi, parcheggiati davanti a schermi illusori? Ma per piacere! Rispolvero dalla grande libreria sul corridoio un cult dei fumatori compulsivi, dato alle stampe nei primi anni Venti del Novecento. Un introspettivo Italo Svevo (alias Zeno Cosini) che – tormentato dal fatto di dover abbandonare il vizio – svela sul lettino dello psicoanalista i suoi inizi di giovanissimo fumatore. Che andava a rubare i sigari lasciati dal padre su armadi e mobili. Principalmente per il gusto della trasgressione. Fumava giovanissimo, fumava fino a star male per scommessa con gli amici, fumava per sfidare gli adulti. Proverbiali le sue annotazioni maniacali per fare in modo che quella sigaretta fosse veramente “l’ultima”. Nelle classi alte capita di girare tra i banchi e sentire odore di fumo. Ti fermi un attimo. E senza chiedere niente, te lo dice lo studente stesso: “Eh, fumano a casa…” Scusa secolare. E poi arriva il momento in cui si sfoglia il libro di letteratura. Toh, Italo Svevo. Brano selezionato, “Fumavo di nascosto”. Silenzio in aula. Il protagonista viene beccato con le mani nelle tasche del panciotto del padre. “Io, con una sfacciataggine che ora non avrei e che ancora adesso mi disgusta, gli dissi che m’era venuta la curiosità di contarne i bottoni. Mio padre rise della mie disposizioni alla matematica o alla sartoria […]” Alzo lo sguardo sulla giovanissima platea e rimango senza parole. Nessuno lancia bigliettini, nessuno chiede di andare in bagno, nessuno si dondola. Tutti in attesa di sapere la sorte di questo ragazzino d’altri tempi che fregava sigarette e sigari. E fumava in maniera febbrile per sfidare gli altri e forse prima di tutto se stesso.
Racconto ai ragazzi che è uno dei pochi libri che abbia letto più volte, ciclicamente. Magari quando percepisci una certa fragilità interiore. L’ultima volta che l’ho messo in valigia è stata l’estate scorsa. E sugli scogli un amico di mio figlio mi chiede annoiato che cosa sto leggendo. Gli racconto qualche passaggio, intorno agli inizi. “Bello” – commenta – e poi nei giorni a venire torna da me. Non tanto per sapere come va, ma per vedere come procede la storia del libro. Piace ancora a tanti questo uomo “inetto”, che oggi definiremo piuttosto insicuro e un po’ sfigato. Con i suoi vizi insormontabili, ma che cercava di guardarsi dentro. Una bella lezione per i ragazzi d’oggi, perché se vero che non si vincono mai del tutto le proprie debolezze, è anche possibile cercare di prendere coscienza della vita. Come Zeno e come un giovane quattordicenne degli anni (duemila) Venti.