Il futuro della stupidità: una distopia digitale che si avvera?

A livello cinematografico (anche se non di eccelsa qualità), uno spaccato sul mondo del futuro e della distopia digitale, ce lo offriva, nel 2006, Idiocracy di Mike Judge. Al centro della storia, Joe, un soldato di non particolari doti intellettive o fisiche, che viene scelto per un progetto sperimentale di ibernazione dei corpi e che finisce quindi, a causa di una serie di sfortunate vicende, per svegliarsi nel 2506. Ad attenderlo, una società di idioti. 

La premessa del collasso dell’umanità, per Judge, si lega al fatto che le persone intelligenti hanno smesso di fare figli, mentre remore sulla procreazione non hanno mai toccato chi, d’altro canto, non brilla per intelletto, impegno sociale e civile, possibilità economiche. Una visione fortunatamente ancora distante dalla realtà del mondo contemporaneo, dove certo, la media dei figli si è ormai assestata poco sopra l’1 e l’età per la genitorialità femminile è slittata oltre i 31 (dati 2023), ma dove anche, va ribadito, ancora non sono state rilevate correlazioni tra i titoli di studio e la scelta o meno di costruirsi una famiglia. Pur buttando il tutto “in caciara”, con una commedia a tratti di discutibile gusto, il regista vuole insomma provare a creare un manifesto sull’importanza dell’educazione e della cultura: a partire da una delle frasi finali pronunciate da Joe alla sua compagna di viaggio Rita, con cui la esorta a tornare indietro (nel tempo) per dire a tutti di “leggere dei libri e fare arte”. 

Il mondo che Judge rappresenta è, del resto, un mondo votato all’estetica, in cui la scienza si impegna a studiare una migliore crescita dei capelli e una più lunga tenuta dell’erezione maschile, ma ha dimenticato altri suoi scopi più nobili; in cui le tv sono diventate multischermo e la tecnologia impera in ogni settore, dalla pulizia alla sanità; e in cui la sessualizzazione è ormai estrema. Un mondo che, 18 anni dopo l’uscita della pellicola, pur senza questi tratti drammatici, sembra cominciare effettivamente a muovere i suoi primi passi anche qui nella realtà. Quella di Idiocracy è, ancora, una società in cui l’acqua è stata sostituita da bevande energetiche, i supermercati sono diventati città e i rifiuti accumulati hanno provocato veri e propri tsunami, ma soprattutto in cui c’è stata un’estrema volgarizzazione generale e un drastico impoverimento intellettivo. Il dubbio è, la tecnologia e la digitalizzazione potranno un giorno condurci a trovare artistico un primo piano di un lato B in un film intitolato “Culo”? Potranno condurci a perdere le nostre proprietà lessicali in favore dell’imperante parolaccia? Potranno “instupidire” davvero il mondo?

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Pubblicato da Katia Dell'Eva

Laureata in Arti dello spettacolo prima, e in Giornalismo poi, nel quotidiano si destreggia tra cronaca e comunicazione, sognando d’indossare un Fedora col cartellino “Press” come nelle vecchie pellicole. Ogni volta in cui è possibile, fugge a fantasticare, piangere e ridere nel buio di una sala cinematografica. Spassionati amori: Marcello Mastroianni, la new wave romena e i blockbuster anni ‘80.