
Eh, mi diceva una giovane mamma l’altro giorno, parlando del figlio che “sogna” di fare il giornalista: “Gli dico sempre di leggere i giornali per farsi un’opinione”. Un consiglio sacrosanto, ho pensato. Ma poi, sotto sotto, mi sono chiesto: sì, ma quali giornali?
Il giorno appresso è esplosa la notizia: la Corte Penale Internazionale dell’Aja (da non confondere con la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite) ha emesso un mandato di arresto per Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. Le reazioni, come prevedibile, si sono accese a livello globale.
I quotidiani italiani? Un mix di retorica e suggestioni. C’era chi titolava con la foto segnaletica di Netanyahu in stile ricercato, chi si diceva preoccupato per le manifestazioni contro Israele – “con quei fantocci incendiati” – e chi parlava biblicamente dell’“Ira di Israele”. Mi sono chiesto: che opinione si sarà fatto quel ragazzino che vuol fare il giornalista?
Le prese di posizione erano chiare e nette: per alcuni, un’aberrazione giuridica; per altri, finalmente la prova che Netanyahu e i suoi sono colpevoli di crimini contro l’umanità. Il problema, come sempre, sta nei dettagli. Se uno Stato riconosce il mandato della Corte Penale, dovrebbe arrestare Netanyahu o Gallant non appena questi mettano piede sul suo suolo. Ma in Europa le reazioni divergono: l’Olanda dice sì, l’Italia non si capisce, l’Ungheria di Orban li accoglierebbe a braccia aperte.
E poi – scusate – non c’è anche Putin?! Per lui il mandato di marzo 2023 vale, mentre quello per Netanyahu no? Insomma, la confusione regna.
Lo stesso caos mediatico si è visto con gli scontri dell’8 novembre ad Amsterdam, dove la partita di Europa League tra Ajax e Maccabi Tel Aviv si è trasformata in un campo di battaglia simbolico.
Versione uno: dieci tifosi israeliani sono stati aggrediti da una folla filopalestinese. Netanyahu condanna l’attacco definendolo antisemita, evocando addirittura la Notte dei Cristalli. Un quotidiano italiano ha titolato, senza esitazioni: “L’odio per gli ebrei che vive in mezzo a noi”. Versione due, altrettanto autorevole, ribalta la narrazione: sarebbero stati i tifosi israeliani a iniziare, inneggiando contro la Palestina. I video online raccontano un pre-partita poco edificante: ultrà del Maccabi che strappano bandiere palestinesi dalle finestre e aggrediscono un tassista di origini marocchine. Alla stampa, il capo della polizia di Amsterdam, Peter Holla, ha confermato questi episodi. (E poi ci sono i cori, al confine tra la violenza verbale e quella simbolica: “Israele distruggerà gli arabi”, “Non ci sono più scuole a Gaza perché non restano più bambini”. L’oltraggio non si è fermato neppure durante il minuto di silenzio per le vittime di un’alluvione in Spagna, interrotto rumorosamente dai tifosi israeliani in polemica con il sostegno spagnolo alla causa palestinese.)
La giornata è proseguita tra notizie confuse e voci incontrollate: dispersi, forse persino ostaggi. Ma alla fine, come spesso accade, nessuno ha davvero capito chi abbia iniziato cosa.
Ma allora, che gli diciamo a quel ragazzino che vuol fare il giornalista? Gli leggiamo il decalogo di Piero Ottone, là dove recita: Prima di scrivere nel titolo che Londra è nel panico, va’ a Londra e controlla se otto milioni di persone sono davvero uscite di testa? Un consiglio sensato, ma non sempre possibile. Andare sul posto, verificare di persona, è un lusso che pochi giornalisti possono permettersi. Il vero segreto, allora, è imparare a orientarsi tra le fonti, a distinguere il rumore dal segnale. Sviluppare un pensiero critico, insomma.
E magari accettare che la verità, a volte, sta nel mezzo. Anche se nessuno oramai vuole più sentirlo dire.