Scene da un saccheggio

Ecco ciò che rimane dopo l’estrazione delle sabbie bituminose, dove un tempo era la foresta boreale (ph. Walter Thorne – Kitimat, BC)

“Non abbiamo ereditato la Terra dai nostri padri, l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli.” Recita un antico proverbio indiano.

Il rispetto dei nativi per il pianeta si traduceva in una vita all’insegna di un uso sobrio delle sue risorse, in un’ottica di equilibrio e lungimiranza. Eppure questo messaggio di valenza universale è stato ignorato, calpestato dalla cecità di un’ideologia del profitto che si è sempre ritenuta superiore, tanto da sottomettere a sé le altre culture.

La violazione dei diritti umani, purtroppo, va spesso di pari passo con lo sfruttamento dell’ambiente. Perché rispettare l’ambiente è la forma più alta di rispetto dei diritti di tutti gli umani, presenti e futuri. E un problema ambientale è sempre anche un problema sociale.

Un tema questo troppo spesso trattato separatamente, su cui fa invece riflettere anche l’ultimo volume di Massimiliano Unterrichter, funzionario del corpo forestale e membro dell’Accademia Italiana di scienze Forestali, Il risveglio del totem, Cambiamento climatico e diritti umani. Viaggio tra le foreste, le genti e le follie del Canada occidentale. Un viaggio attraverso le bellezze e le contraddizioni del Canada occidentale, incontaminato e selvaggio agli occhi dei più, ma che nasconde invece serie problematiche ambientali e sociali. Un lavoro a cui hanno collaborato anche la criminologa nativa X’staam Hana’ax alias Nicole Halbauer e l’ambientalista canadese Walter Thorne.

Non hanno bisogno di alcun commento i volti di questi bimbi Haisla davanti ad una Scuola Residenziale. Primi anni del ‘900

Anche il tranquillo e boscoso Canada, infatti, si è macchiato di insopportabili violenze contro i popoli nativi, seppur in maniera meno eclatante dei vicini Usa.

Persino qui i coloni europei da secoli hanno discriminato, e discriminano ancora, gli aborigeni, considerati incapaci di vedere un futuro di sviluppo. Hanno sfruttato avidamente le risorse delle loro terre: foreste, fiumi, e più recentemente, anche immense quantità di materiale bituminoso da cui estrarre, con un procedimento altamente inquinante, combustibili fossili. La colonizzazione di questi luoghi è passata anche attraverso una massiva operazione di annientamento della cultura locale, che presenta i caratteri di un vero e proprio genocidio.

Il ritrovamento di centinaia di scheletri nella British Columbia e nella provincia del Saskatchewan di qualche mese fa ha ricordato infatti una verità terrificante: la scolarizzazione forzata dei bambini nativi nelle Indian ResidentIAL SchoolS, per cancellarne identità, cultura, lingua, ricorrendo anche ad abusi e torture. Queste scuole fondate alla fine dell’800, gestite da tutte le Chiese cristiane, fino alla fine degli anni ’90 hanno strappato 150.000 piccoli alle loro famiglie, destinandoli a più di 100 istituti in tutto il paese. In migliaia non sono più tornati a casa. Un orrore che ha lasciato cicatrici indelebili nei sopravvissuti e nelle loro famiglie, passando un testimone di sofferenza e disagio. 

Intervento selvicolturale “certificato” come gestione sostenibile. Il confronto con la tempesta Vaia viene spontaneo

La scoperta di questa violenza sta contribuendo a far luce sulle disuguaglianze che ancora oggi in Canada subiscono i nativi. Negli ultimi anni però la loro voce si sta facendo sentire con più forza, per combattere le proprie battaglie e le battaglie di questo pianeta che loro meno di noi hanno contribuito ad inquinare. 

Le ondate di protesta delle varie organizzazioni delle First Nations negli anni sono riuscite ad ottenere anche importanti vittorie. La più recente ha contribuito a evitare la costruzione dell’oleodotto Keystone XL, un enorme serpentone che avrebbe dovuto portare 800mila barili di petrolio al giorno dal Canada agli USA attraversando terre sacre ai nativi, contro il quale comunità di indiani e ambientalisti si sono opposti strenuamente. Respinto dall’amministrazione Obama e riportato in auge da Trump, finalmente il progetto è stato archiviato per volontà del neo eletto Biden. 

Chi ha scelto di contrastare quest’opera era disposto a rinunciare ai posti di lavoro sbandierati da chi la promuoveva, per porre in primo piano la preservazione dell’ambiente. 

Una vittoria, tra tante sconfitte storiche, che splende come un faro di speranza in un contesto sempre più allarmato, mostrando la via da seguire: il rispetto dei diritti umani e ambientali, un rispetto che nelle popolazioni native è connaturato alla loro cultura, sopravvissuto anche a secoli di oppressione. Ma che ora, forse, può tornare a farsi sentire, per chiamarci a lottare con loro, come loro. Dovunque, anche qui, nel verde Trentino, dove il rapporto con la natura e la sua bellezza è impresso nel dna degli abitanti e non va sbandierato solamente come spot turistico, ma introiettato come modus vivendi, oggi e domani.

Solidissime case in legno di 300 metri quadri, non tende, ospitavano i Nativi del Nordovest. Hazelton: villaggio ricostruito
Il libro
Il libro di Unterrichter affronta i temi legati alla storia recente e la realtà odierna delle popolazioni Native, alle loro lotte per una parità troppo a lungo negata e ancor oggi spesso solo di facciata e alla gestione forestale e sfruttamento dei combustibili fossili, con le loro implicazioni su scala planetaria. 
Tutti gli introiti del libro sono devoluti a sostegno delle lotte native grazie alla Pro Loco di Castello Molina di Fiemme che ha sostenuto le spese.
Info: munterr@tin.it
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Pubblicato da Silvia Tarter

Bibliofila, montanara, amante della natura, sono nata tra le dolci colline avisiane, in un mondo profumato di vino rosso. La vita mi ha infine portata a Milano, dove ogni giorno riverso la mia passione di letterata senza speranza ai ragazzi di una scuola professionale, costretti a sopportare i miei voli pindarici sulla poesia e le mie messe in scena storiche dei personaggi del Risorgimento e quant'altro. Appena posso però, mi perdo in lunghissimi girovagare in bicicletta tra le abbazie e i campi silenziosi del Parco Agricolo Sud, o mi rifugio sulle mie montagne per qualche bella salita in vetta. Perché la vista più bella, come diceva Walter Bonatti, arriva dopo la salita più difficile.