Quando l’amore non basta

Mondo del cinema e mondo delle serie televisive viaggiano, da sempre, su due binari distinti, l’uno (il primo) accompagnato da un certo atteggiamento snobistico nei confronti dell’altro (il secondo). Eppure, oggi più che mai, riuscire a distinguere le due vie, è diventato assai complesso: dalle serie presentate in anteprima ai più importanti festival cinematografici internazionali, passando per gli innumerevoli registi e attori da Oscar che si sono “prestati” alla serialità, di fatto, i due binari sembrano essere ormai molto poco distanti. A ben guardare, tuttavia, non è poi cosa così nuova: era il 1973 quando Ingmar Bergman, una delle pietre miliari indiscusse della settima arte, firmava “Scene da un matrimonio”, la storia di tradimento e dolore con Erland Josephson e Liv Ulmann nei panni di una coppia sposata, adattato prima su cinque puntate, poi in un unico film. Una storia che oggi Hagai Levi, nome certo meno noto al grande cinema, ripropone, quasi speculare, con Oscar Isaac e Jessica Chastain, per HBO e per Sky. La trama è fondamentalmente la medesima, la sceneggiatura quasi identica parola per parola, il sentire generale, di certo, immutato: è il dolore, il protagonista di “Scene da un matrimonio”, il dolore di due individui che dicono di amarsi, che di fatto forse si amano, ma che allo stesso tempo vivono nella propria solitudine, finzione, incomunicabilità ed egoismo. È la rappresentazione di quando “l’amore non basta”, dell’impossibilità, delle difficoltà del singolo, della rabbia, del confronto con chi tira fuori il meglio ma allo stesso tempo il peggio da noi. Una prova magistrale che, nonostante le cinque puntate, niente invidia al grande schermo (basti quel piano sequenza di 38 minuti nel secondo episodio), e ricorda da vicino pellicole come “Kramer contro Kramer” del 1979 o il più recente “Storia di un matrimonio” di Noah Baumbach. E omaggia l’originale, questo riadattamento di Levi: lo fa non solo – come detto – nella fedeltà di scrittura, bensì anche nella ricerca dei colori, sempre tenui e dai rimandi scandinavi, e nella scelta di mostrare la teatralità del processo narrativo. Se Bergman svelava solamente alla fine la macchina da presa, infatti, la versione moderna apre e chiude ogni singolo episodio sul set. È la dimostrazione di come le relazioni restino immutate nel tempo, eppure, nella volontaria inversione dei ruoli di genere, di come la società si sia trasformata dagli anni Settanta ad oggi: è la moglie, qui, a tradire, a chiedere il divorzio; ed è il marito, il “caregiver”, la figura che cura, che accoglie. Un’attenzione alla modernità che si riscontra anche nei piccoli dettagli, come per esempio la richiesta dell’intervistatrice, nella prima puntata, su quale pronome utilizzare per rivolgersi alla donna.

Infliggere dolore a chi ci ferisce

Osservando le dinamiche di coppia di “Scene da un matrimonio” (e in particolare l’episodio due), così come la quasi totale assenza di cast dovuta alla pandemia, non può non tornare alla mente un altro film dell’ultimo anno: “Malcolm e Marie” di Sam Levison. Pellicola di enorme successo, nonostante l’inesistente uscita al cinema (è passato direttamente dalla registrazione, alla distribuzione su piattaforme), grazie alla coppia Zendaya – John David Washington (figlio di Denzel), anche questa racconta “il lato oscuro” dell’amore e della vita matrimoniale, in un crescendo di egoismi, incapacità di sentire e comprendere, di rabbia e liti. Il film, che ricerca una sua estetica nell’eleganza del bianco e nero e degli interni di una casa lussuosa, di fatto verte dunque tutto sul reciproco, viscerale istinto di infliggere dolore a chi ci ferisce, indipendentemente dal rapporto amoroso.

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Pubblicato da Katia Dell'Eva

Laureata in Arti dello spettacolo prima, e in Giornalismo poi, nel quotidiano si destreggia tra cronaca e comunicazione, sognando d’indossare un Fedora col cartellino “Press” come nelle vecchie pellicole. Ogni volta in cui è possibile, fugge a fantasticare, piangere e ridere nel buio di una sala cinematografica. Spassionati amori: Marcello Mastroianni, la new wave romena e i blockbuster anni ‘80.