Cara Marlene,
su TM di marzo ho letto con molto interesse la risposta che hai fornito a Massi di Riva del Garda, in merito alla possessività e alla dipendenza che spesso invadono un rapporto amoroso. Scrivi che una consapevolezza di ciò è possibile solo quando “la mente riesce a osservarsi con distacco”. Ma come si fa, accidenti?! Come possiamo farlo se siamo immersi in una cultura pervasiva che esalta in ogni dove l’amore come attaccamento, a volte palesemente morboso?
Ti ringrazio, Gil, Rovereto
Ciao Gil e grazie per la domanda che va ad approfondire un argomento già trattato, ma che evidentemente rappresenta un’importante questione per quanto riguarda i sentimenti. È vero che la nostra cultura ci abitua fin da piccoli a costruire rapporti dipendenti, dove la libertà personale viene spesso dimenticata a favore di atteggiamenti universalmente riconosciuti come gli unici possibili. Così, crescendo, siamo portati a seguire la corrente, modelli standardizzati che dovrebbero rappresentare alla perfezione i nostri desideri. Quando questo non accade, perché maturiamo bisogni differenti dalla massa, ci sentiamo spaesati, sopraffatti e decisamente persi.
Viene naturale chiedersi se in noi ci sia qualcosa di sbagliato, quando in una relazione promuoviamo la libertà invece di pretendere presenza costante e condivisione totale. Se amiamo mantenere i nostri spazi senza per forza dover coinvolgere sempre il partner. Se la relazione è un valore aggiunto alla nostra vita e non l’unica condizione possibile per la realizzazione personale…
Io credo che per allontanarsi dalla morbosità di un attaccamento dipendente, che di certo non è sano e ancora di meno può essere sinonimo di Amore, sia indispensabile tornare in noi. Mi spiego meglio: quando siamo in una relazione sentimentale o portiamo il nostro individualismo alle stelle o ci dimentichiamo di noi stessi. Nessuna delle condizioni estreme genera pace e serenità e come spesso accade, l’optimum è nel mezzo. Ecco che allora potremmo provare ad allenarci per far sì che il nostro rapporto d’amore ci assomigli, invece che affannarci per identificarci in esempi standardizzati che non ci corrispondono veramente. Avere una relazione appagante non avviene in automatico, ma necessita di cura e impegno costante. E qui qualcuno potrebbe sbuffare intendendo il termine “impegno” come “fatica”. Ma anche questo fraintendimento deriva dall’essere abituati a credere che la felicità avvenga per qualche intervento magico e non dipenda in gran parte dal nostro volere, da quanto ce ne facciamo carico. Tendenzialmente ci accontentiamo del modo che ci suggeriscono, perché uscire dagli schemi e alimentare la nostra identità richiede di essere costantemente focalizzati. Forse quando capiremo di poter essere noi autori della nostra originalità usciremo da quella che tu definisci “cultura pervasiva” e scopriremo che i nostri desideri possono essere molto diversi da quelli degli altri, ma non per questo meno degni di essere vissuti, analizzati e condivisi. Proviamo ad allenarci all’originalità, io credo ne valga davvero la pena!