Il mio nome è Lady V.

Il mio nome è Lady V., o Lady Vendetta. Ma tutti mi chiamano Lady Zampetta, a causa della mia abitudine a zampettare continuamente sul posto. Se fossi un cavallo direbbero che scalpito. Se fossi una donna direbbero che non sto più nella pelle, un modo di dire che mi ha sempre fatto una certa impressione: se provo ad immaginare una delle signore che porto in giro sulla slitta senza la pelle che la ricopre, non ho davanti agli occhi un bello spettacolo.

Per fortuna gli umani con cui mi accompagno la pelle ce l’hanno. Bella coperta, nella maggior parte dei casi. Da giacche a vento, tute da sci, guanti, sciarpe e scarponi che di pelle ne lasciano scoperta ben poca. Del resto, sono umani, povere creature: non hanno una pelliccia, e molti di loro nemmeno uno strato di grasso di dimensioni appena sufficienti per il nostro clima invernale, anche se, va detto, è un clima un po’ pazzo, ultimamente, un clima che scioglie la neve in fretta.

Il mio musher, il mio “padrone umano”, a volte ne parla, con i nostri clienti. 

“Se va avanti così, fra qualche anno addio sci, e addio anche alle nostre slitte”.

Qualcuno annuisce, qualcuno gli dice di non preoccuparsi, che “sono tutte balle”, che “il clima è sempre cambiato, e sempre cambierà, bisogna solo adattarsi”. 

Io però lo sento come, un inverno dopo l’altro, fa sempre più caldo. Lo sento io, lo sentono Tom Tom, Freud, Arnold e tutti gli altri. Tutti noi ce ne accorgiamo, che diventa sempre più difficile tirare le slitte, perché la neve è molle, e i pattini non scivolano bene, si incagliano nella terra, nel fango, nei sassi.  

Comunque capisco gli umani, quando cercano di minimizzare. Loro vengono qui in vacanza. Non vogliono sentire gli stessi discorsi che sentono ogni giorno in televisione. Vogliono divertirsi. Molti non conoscono realmente la montagna. Men che meno la neve. Ci sono quelli che arrivano vestiti come se dovessero prender parte ad un’esplorazione in Alaska (la terra da cui veniamo noi). Gridano, applaudono  e… sudano. Poi ce ne sono altri che credono di essere al mare, posto che io il mare non l’ho mai visto, ne ho solo sentito parlare. O se non proprio al mare, per lo meno giù al Garda, ad aprile: scarpe da ginnastica, maglietta, felpa aperta fino alla pancia, con le maniche tirate su a mostrare tatuaggi di varia foggia, fra cui anche delle teste di cani. Ci vuole il mio musher per ricordare loro che in realtà una slitta, specie se a tirarla siamo in otto, fila via veloce, che nel folto del bosco può far freddo, che a volte si cade, e questo soprattutto quando sono loro a guidarla, ed è la prima volta che lo fanno. Quelli più ragionevoli capiscono, e si coprono. Gli altri… peggio per loro. Certe volte mi scappa da ridere quando qualcuno vola sulla neve a bordo pista. Ma poi, a dispetto del mio nome, torno indietro ad aiutarli. Perché alla fin fine mi fanno tenerezza, questi umani. Credono di sapere tutto: sui lupi, sugli orsi, sulle malattie, sullo stato delle strade… E poi ignorano cose fondamentali. Per esempio, a quanti di loro ho sentito dire, riferendosi a noi (pensano che non li capiamo, ingenui!): “Mi fanno un po’ pena: non  è troppo faticoso, portarci in giro su queste slitte? Non gli fa male?”.

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 Ora, innanzitutto, com’è possibile che vengano a cercarci, per fare delle attività con noi, e poi nutrano dubbi del genere? Se credono che noi soffriamo, a fare lo sleddog, se credono davvero, qualcuno alla fine lo dice pure, che  noi staremmo meglio liberi, soli o in branco, a zonzo per i boschi senza un umano appresso, coerenza vorrebbe che girassero al largo dalla nostra pista.

Ma poi lascio perdere, perché so come sono fatti. Confusi, contraddittori, a volte prepotenti, presuntuosi, intrattabili. Eppure, cercano un contatto con noi. Sempre. E anche con altri animali, beninteso: gatti, mucche, asini, pappagalli, tartarughe, chi più ne ha più ne metta. Ce l’hanno dentro, come specie. Non riescono a starci lontano. 

Il punto è che ignorano completamente la nostra, di specie. Non sanno che siamo stati allevati per questo, per stare in gruppo, a stretto contatto con gli umani, e per correre sulla neve, per fare fatica, persino, anche se più di un certo numero di giri il padrone sa di non poterceli chiedere, ci mancherebbe. 

Pure tanti di loro son così. Amano fare fatica. Prendete il nostro musher. Non sta mai fermo e quando non è impegnato con noi dà da mangiare agli altri animali della nostra fattoria, spacca la legna, ripara i recinti…  Sembra felice, quando si dedica a tutte queste cose, so di non sbagliarmi. Brontola. Butta giù un sorso di “acqua di fuoco”, come la chiama. E sorride. A pensarci bene, le volte che mi sembra più infelice è quando si porta il cellulare all’orecchio, soprattutto se è la decima volta in un’ora che lo fa o se sta guidando il furgone con cui andiamo su e giù. 

Quando arriviamo alla nostra piana, quella che è anche la nostra pista, lunga distesa, con i pini e gli abeti ai lati, qualche cunetta, avanti e avanti per due chilometri fino all’inizio della montagna, e lì il cellulare non prende, mi sembra che all’improvviso i suoi lineamenti si distendano, gli occhi risplendano in una maniera diversa. In quel momento confesso che un po’ mi innamoro. 

Oh, sì, scusatemi se sono sfacciata: io mi innamoro di lui. Lo sento così vicino. L’aria sa di mattino. La neve brilla sotto i raggi del sole, le ombre azzurre disegnano curve sul suo manto. Mi dà una carezza fra le orecchie. E inizia una nuova giornata.

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 Mi chiamo Lady V., e V. sta per Vendetta. Ma la mia vendetta non si è mai rivolta ad un altro della mia specie, né tantomeno ad un umano. La mia è stata semmai una vendetta, anzi una rivincita, contro il destino. Sono l’unica sopravvissuta della cucciolata. Tutti i miei fratelli e sorelle sono morti piccoli. Può accadere, perché la natura è così, “crudele”, “matrigna”, dicono a volte gli umani, mentre altri pensano che sia perfetta, e che a guastarla semmai siano loro, e si battono il petto, giurano di impegnarsi a cambiare. Mi fa piacere che provino del senso di colpa, di colpe ne hanno, eccome. Ma gli animali sanno che la natura è innanzitutto ciò che è: né buona né cattiva, né crudele né perfetta, natura e basta, lo dice la parola stessa. E  bisogna starci dentro, abituarsi a farne parte. Accettarla. Questo vale sia per gli animali sia per gli umani, che a volte devono vivere separati, e a volte invece devono con-vivere, perché sono fatti l’uno per l’altro, o perché non potrebbero fare altrimenti. Noi di loro. E loro di noi. 

Mi chiamo Lady Vendetta, sono un’Alaskan Husky. Traino le slitte con sopra i turisti, giovani e vecchi, uomini, donne e bambini. Mi piace sentirli felici, alle mie spalle, mentre corro nel bosco. E quando è piena estate, non vedo l’ora che  nevichi.

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Pubblicato da Marco Pontoni

Bolzanino di nascita, trentino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione. Liceo classico, laurea in Scienze politiche, giornalista dai primi anni 90. Amori dichiarati: letteratura, viaggi, la vita interiore. Ha pubblicato il romanzo "Music Box" e la raccolta di racconti "Vengo via con te", ha vinto il Frontiere Grenzen ed è stato finalista al premio Calvino. Ma il meglio deve ancora venire.